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Analisi del bilancio dello Stato - Modello di conto economico riclassificato per il bilancio dello Stato ed analisi empirica sul ruolo del debito pubblico

Liberismo e protezionismo a confronto

Per definizione, il liberismo è una dottrina e una politica economica che considera come condizione ottimale di funzionamento del sistema economico quella risultante dalla libera iniziativa dei singoli individui, che nel perseguimento del proprio interesse non devono essere condizionati né ostacolati da nessun vincolo esterno imposto dall'interferenza dello Stato. Quest'ultimo infatti deve limitarsi a garantire con norme giuridiche la libertà economica e a provvedere ai bisogni della collettività soltanto quando non possono essere soddisfatti privatamente.
Da tale definizione risaltano i tratti essenziali della teoria liberista: la libertà di iniziativa economica individuale e il sostegno all'economia di mercato, senza alcun correttivo da parte degli enti pubblici.

Tra i contributi storici più importanti vi sono quelli di Adam Smith, considerato il padre dell'economia liberale, che coniò il termine “mano invisibile” intendendo con ciò l'utilità che trae l'intera società dall'attività di un singolo individuo che, sebbene mosso da interessi egoistici, inconsciamente supporta e fa beneficiare delle sue azioni l'intera collettività (Smith, 1776) e decretando l'individuo come unico attore del suo successo, gettando di fatto le basi del libero mercato.
Smith fu inoltre colui che sviluppò il concetto di “divisione del lavoro”, ritenendo che fosse l'arma principale per ottenere i maggiori vantaggi economici; ciò in quanto se alla persona viene lasciata autonomia decisionale, egli riuscirà ad ottenere i maggiori benefici per lui e per la sua famiglia.

Questa teoria di base fu poi affinata scientificamente da David Ricardo e da John Stuart Mill, che fecero trionfare in tutta Europa la loro tesi sui vantaggi del commercio internazionale.
Sottostante a questa idea vi era la formalizzazione della teoria dei vantaggi comparati: secondo l'impostazione ricardiana, tutti i Paesi che partecipano ad un'operazione commerciale internazionale traggono vantaggio da essa.
Infatti, anche se un Paese dovesse essere più efficiente di un altro nella produzione (In valore assoluto) di due beni, conviene ugualmente procedere alla divisione e specializzarsi nella produzione di un solo bene, che è quello dove ha i minori costi comparati, a patto che la ragione di scambio sia compresa tra i due costi comparati.

A livello teorico ebbe dunque grandissimo rilievo, ma nella pratica bisognerà attendere la metà del XIX secolo, con il libero scambio che fu pienamente raggiunto prima in Inghilterra e successivamente in tutta Europa.
Ciò fu possibile grazie alla diffusione dell'industria specializzata, all'incremento demografico e soprattutto alla rivoluzione dei mezzi di trasporto che erano la chiave per favorire gli scambi internazionali.
In Italia fu Francesco Ferrara nell'Ottocento a fornire i maggiori contributi per lo sviluppo del liberismo, sebbene in quell'epoca la presenza dello Stato rimaneva abbastanza pesante.
Nel complesso, però, il sistema economico si può definire liberale, almeno fino allo scoppio della Prima guerra mondiale.

Il liberismo si indebolì in prima battuta già verso la fine del XIX secolo con il moltiplicarsi delle leggi sociali per far fronte alla crescita del movimento operaio, la concentrazione industriale (che portava a situazioni di tipo monopolistiche) e il ritorno a dazi protettivi (dovuti al minor costo dei trasporti).
Il pensiero liberale subì poi una profonda crisi in seguito al crollo di Wall Street del 1929 e soprattutto a causa del successo delle teorie keynesiane.

Keynes sosteneva, infatti, che il reddito potenziale è sempre superiore rispetto al reddito effettivo, e lo Stato ha il compito di colmare questo gap. In particolare, in condizioni di recessione economica, il compito dello Stato sarebbe quello di spendere (aumento della spesa pubblica) per rilanciare i consumi, fulcro di un andamento positivo di qualsiasi economia.

Contrapposta alla visione keynesiana era quella monetarista ideata da Milton Friedman, che lanciò il c.d. “neoliberismo”.
Questa scuola di pensiero parte dal presupposto che l'operare delle forze di mercato assicura stabilità economica in assenza di intervento pubblico.
Esiste infatti, per i monetaristi, una tendenza naturale dell'economia al conseguimento del pieno impiego e di una crescita stabile.
La politica economica deve accompagnare la tendenza all'equilibrio del sistema capitalistico con regole automatiche (e non discrezionali come sostiene Keynes), sebbene i detrattori di tale tesi sostengano che gli automatismi presuppongano obbligatoriamente una costanza nel funzionamento del sistema economico, cosa non riscontrabile nella realtà se vi sono crisi congiunturali o cambiamenti strutturali.

Friedman è stato un fiero sostenitore del libero mercato, in quanto partiva dal principio filosofico che la libertà è un valore morale fondamentale e il mercato è il degno meccanismo che consente di esprimere al massimo la propria libertà, e nello stesso tempo condannava lo Stato in quanto non forniva servizi in maniera adeguata e perché non aveva il fine di aiutare i meno abbienti ma di arricchire categorie definite di soggetti (politici, sindacalisti ecc.).
L'alternativa proposta è l'imposta negativa sul reddito, utile a combattere la miseria. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

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Informazioni tesi

  Autore: Bonaventura Cimella
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2015-16
  Università: Università degli Studi della Calabria
  Facoltà: SCIENZE AZIENDALI E GIURIDICHE
  Corso: ECONOMIA AZIENDALE
  Relatore: Bernardina  Algieri
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 220

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