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The Human Library: dove i libri sono le persone

Metodo Photolangage

Il metodo photolangage è stato creato nel 1965 da un gruppo di psicologi e psico-sociologi di Lione che lavoravano con adolescenti difficili, tra cui Claire Belisle e Alain Baptiste 30.

In tale contesto, proposta di utilizzare delle fotografie come supporto alla parola, laddove gli adolescenti mostravano difficoltà a raccontare ed esprimere, in gruppo, le loro personali esperienze i propri vissuti talvolta dolorosi.
I primi dossier fotografici vedono la luce nel 1968 e rapidamente il metodo fu applicato in ambito formativo, educativo e aziendale, dove tutt'oggi, trova un'importante area di applicazione, sia in Francia che all'estero.
Il linguaggio iconico o per immagini è il primo utilizzato dall'uomo per comunicare con i suoi simili, trasmettere idee, sentimenti, speranze e paure.
Tra gli strumenti che utilizzano i linguaggi iconico un posto privilegiato è ricoperto dalle immagini fotografiche.
La fotografia riflette il mondo reale attraverso un filtro personale e possiede un grande potenziale simbolico e metaforico che permetta l'individuo di raccontare qualcosa di sé 31.
La fotografia aiuta a pensare, intrecciare storie, mettere in relazione eventi e trovare nuovi significati alle cose e all'esperienze.
La fotografia, attraverso la sua funzione mediatrice, costruisce ponti in grado di connettere passato, presente e futuro in una trama di significati allo stesso tempo capace di far comunicare mondo interiore e mondo esteriore.
Essa si caratterizza per la compresenza di diverse dimensioni strettamente interconnesse: una dimensione materiale, poiché si tratta di un oggetto fisico, tangibile e manipolabile; una dimensione mediatrice, perché ci consente di mediare tra conscio e inconscio, tra passato e futuro, tra soggetto e gruppo, tra immaginario soggettivo e immaginario collettivo; una dimensione metaforica, perché consente di rappresentare comunicare all'esterno un'altra realtà, spesso non direttamente osservabile, percepibile e accessibile agli altri.
Oggi, il photolangage è largamente utilizzato non solo in campo psicoterapeutico ma anche da orientatori, formatori e counselors in percorsi di orientamento formativo professionale, nella formazione degli adulti, nel campo sociale e aziendale, con le seguenti finalità: facilitare la presentazione in gruppo dei singoli partecipanti; favorire la socializzazione e la risoluzione di situazioni conflittuali all'interno di un gruppo; far emergere e condividere vissuti, ricordi, sentimenti, punti di vista, esperienze e progettualità; contenere e canalizzare paure e ansie che possono limitare la capacità progettuale; acquisire maggiore consapevolezza e conoscenza del proprio sé; valutare gli obiettivi raggiunti e le ricadute formative di un percorso orientativo-formativo.
La specificità del photolangage riguarda da un lato gli elementi del dispositivo e dall'altro le dinamiche di gruppo che emergono e che possono essere identificate nella loro strutturazione.
Per quanto riguarda il dispositivo, una delle peculiarità del metodo è determinata dal fatto che il conduttore pone un tema al gruppo, a cui chiede di rispondere con l'aiuto di una foto.
Questa componente è essenziale poiché definisce da un lato lo spazio di gioco tra la mobilitazione del pensiero in parole, il pensiero logico, organizzato e secondario per rispondere a una domanda, e dall'altro la mobilitazione del pensiero per immagini 32, attraverso cui il soggetto risponde associati vivamente secondo il pensiero analogico proprio del processo primario.
L'utilizzo del photolangage per finalità formative o orientative prevede che la metodologia sia solitamente distinta in quattro fasi: presentazione del metodo al gruppo; osservazione e scelta individuale della fotografia; presentazione della foto selezionata in dimensione gruppale; condivisione feedback e valutazione finale del lavoro svolto dal gruppo.
Ogni seduta inizia con una domanda posta dal conduttore ai partecipanti che introduce il tema su cui il gruppo dovrà lavorare.
La domanda posta dal conduttore consiste in una frase semplice e lineare, comprensibile per ogni partecipante, che faciliti l'avvio all'introspezione e alla presa di coscienza senza comportare interruzioni o inibizioni nel flusso del pensiero.

Le tipologie di domande che possono essere poste attraverso il photolangage sono molteplici; la scelta dipende dal gruppo di lavoro con il quale si procede e dagli obiettivi che si vogliono raggiungere.
L'espressione dei vissuti personali costituisce il punto di partenza e dà significato all'intero metodo.
L'obiettivo che si persegue è quello di consentire alle persone di esprimere il proprio modo di vedere le cose e di confrontarlo con quello degli altri.
Condizione essenziale affinché si possa realizzare l'espressione personale e l'esistenza di un luogo di ascolto, in senso sia fisico che psicologico.
Apparentemente sono le fotografie al centro della comunicazione ma quello che è veramente importante e coinvolgente sono le parole di ciascuno e il modo in cui vengono espresse.
Per questo il conduttore deve fare in modo che chi parla venga ascoltato, compreso, accettato e non giudicato.
Il ruolo del conduttore è molto importante.
Gestire una seduta di photolangage richiede una specifica preparazione psicologica e metodologica al fine di poter esperire sia al ruolo di coordinatore che a quello di facilitatore del processo 33.
Come coordinatore, è direttamente responsabile del corretto svolgimento del lavoro, occupandosi in particolare della scelta del dossier fotografico, di predisporre un ottimale ambiente di lavoro, di definire la domanda da porre al gruppo e controllare il corretto svolgimento di tutte le fasi del percorso.
Come facilitatore, dovrà intervenire per affrontare eventuali momenti di difficoltà e motive e relazionali legate a problemi personali relative all'espressione di idee ed emozioni, all'espressione di commenti e giudizi sulle fotografie mentre una persona sta parlando o a saper gestire eventuali momenti conflittuali all'interno del gruppo.
Dopo aver enunciato il tema che apre la sessione di gruppo e che determina la scelta di una o due fotografie da parte dei membri del gruppo, il conduttore dispone con cura le foto sui tavoli.
Lo fa in modo ben organizzato e con sufficiente spazio tra una foto e l'altra, in modo da permettere che tutti i membri del gruppo possa circolare intorno al tavolo e visualizzare liberamente le foto, senza un ordine prestabilito.

Nell'invitare i partecipanti a scegliere la propria foto, il conduttore deve precisare che: la scelta deve essere fatta in silenzio, al fine di rispettare la riflessione, la concentrazione e la scelta di ciascuno; questa scelta avviene inizialmente con lo sguardo, in modo che tutte le foto restino disponibili a tutti i partecipanti e che ognuno possa scegliere seguendo il proprio ritmo; una volta effettuata la propria scelta, è possibile tornare al proprio posto lasciando la foto sul tavolo, in modo che il conduttore possa identificare il momento in cui tutti hanno fatto la propria scelta.
Nel momento in cui viene invitato a scegliere una fotografia in risposta alla domanda posta dal conduttore, il partecipante entra in contatto con ciò che ciascuna immagine gli comunica e inizia una sorta di viaggio interiore che lo coinvolge nella sua globalità.
In questo modo il soggetto si trova in una dimensione autoriflessiva e autorappresentativa che comporta una negoziazione interiore: dalla domanda alla foto, se alla domanda viene data più importanza, oppure dalla foto alla domanda se è la scelta della foto a imporsi a dispetto della domanda 34.
Qualora la scelta della foto risulti difficile, è possibile invitare i partecipanti a lasciarsi interpellare dalle foto: guardarle attentamente al fine di sensibilizzarsi a quella o a quelle che parlano.
Quando una foto si impone a noi non è più una semplice fotografia, quella di un fotografo che ha catturato un momento in una data epoca ma vuol dire che è diventata un'immagine: ci fa pensare, evoca uno scenario, metaforizza una determinata situazione, evoca per analogia un ricordo o talvolta si associa a un'atmosfera emotiva.
Quando tutti i partecipanti hanno compiuto la loro scelta e sono tornati al loro posto, il conduttore invita chi vuole ad alzarsi, avvicinarsi al tavolo, prendere la foto scelta e mostrarla al gruppo, spiegando come mai quella particolare immagine risponde alla domanda che gli è stata posta inizialmente.
Ogni partecipante decide quando prendere la parola, a volte collegandosi a ciò che è stato appena detto da un altro, oppure quando sente di potersi esprimere con maggiore tranquillità e di poter essere ascoltato dal gruppo con maggiore attenzione.
Il tempo della presentazione della propria foto consente al partecipante di appropriarsi della sua scelta, di ascoltarsi nel momento in cui esprime la sua visione personale e irriducibile della realtà, così come la percepisce e come la vede.
In questo modo, si sottolinea la qualità dell’ascolto nel momento in cui un partecipante presenta la propria immagine.
Questa dimensione contribuisce al piacere condiviso nel parlare ascoltare le stazioni delle foto.
Per chi ascolta, spesso si resta sorpresi nello scoprire, attraverso le parole dell'altro, una visione completamente nuova e creativa, un punto di vista completamente diverso sulla realtà, che apre nuovi orizzonti.
Infine, la presa di parola da parte di quei membri del gruppo che desiderano intervenire su una foto contribuisce ad arricchire la catena associativa.
Chi ascolta gli altri intervenire sulla propria foto percepisce lo spazio di gioco tra l'immagine in sé e l'immagine proposta, nella misura in cui la foto rappresenta la propria scelta soggettiva, senza tuttavia identificarsi a esse.
In tal modo, ognuno si riconosce nella propria scelta ma anche in ciò che dicono gli altri.
Lo sguardo degli altri, in tal senso, contribuisce ad arricchire sensibilmente la percezione della propria foto.
A tutto ciò, va aggiunto la peculiarità del metodo nel produrre una certa soddisfazione e un certo piacere nel condividere, nell’essere in gruppo, nel pensare insieme.
Il metodo facilita notevolmente la capacità di parlare di fronte al gruppo, aiuta chi si presenta ad accedere e strutturare il proprio pensiero, la propria creatività, nel supporta gli scambi, in particolare lo scambio di immaginari, nella loro dimensione individuale e gruppale, favorendo così dei processi identificatori.




[30] A. Baptiste, C. Belisle, Photolangage. Un methode pour communiquer en groupe par la photo, Les editions d’organisation, Paris, 1991.
[31] M.R. Mancinelli, Tecniche d’immaginazione per l’orientamento e la formazione, FrancoAngeli, Milano, 2008.
[32] C. Vacheret, Foto, gruppo e cura psichica. Il fotolinguaggio come metodo psicodinamico di mediazione dei gruppi, Liguori, Napoli, 2008.
[33] R. Mucchielli, La dinamica di gruppo, Editrice Elledici, Torino, 1968.
[34] C. Vaccheret, Photo, groupe et soin psychique, Press Universitaries de Lyon, Lione, 2000.

Questo brano è tratto dalla tesi:

The Human Library: dove i libri sono le persone

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Informazioni tesi

  Autore: Natalia Del Buono
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2022-23
  Università: Università degli Studi di Foggia
  Facoltà: Scienze Cognitive, Psicologiche, Pedagogiche e degli Studi Culturali
  Corso: Programmazione e gestione dei servizi educativi e formativi
  Relatore: Daniela Dato
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 125

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