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Totalità e opera in "Gli ultimi giorni dell’umanità" di Enrico Ghezzi e Alessandro Gagliardo

Musica come imitazione della natura

La riuscita del Gesamtkunstwerk non dipende però solo da questi due singoli esperimenti, altrimenti non si potrebbe parlare di riuscita ‘totale’ dell’‘opera d’arte totale’. Gli ultimi giorni riesce in questo progetto musicale wagneriano anche perché realizza quello che Roberto Alonge in Storia del teatro e dello spettacolo24 descrive come continuità drammaturgica di «un interrotto tessuto musicale, dove non ci sono rotture, e dove non si colgono pertanto nemmeno le giunture, le riprese»25. La pellicola non lascia mai in silenzio, forse l’unico momento di puro silenzio in tutto il film rimane quel primo minuto scarso della scena dei fiori commemorativi sul ciglio della strada, che parte al minuto undicesimo e finisce al minuto ventunesimo della terza ora. Poi però con un lieve crescendo i registi reintroducono i rumori di strada e il silenzio cessa. Per il resto il film è estremamente rumoroso, non in senso di chiassoso (anche se quando serve risulta anche appositamente chiassoso), ma nel senso che ha una struttura sonora che è in linea con l’idea wagneriana ricordata da Roberto Alonge e Francesco Perelli, nel loro paragrafo su Wagner, in cui confermano: «paradossalmente nell’opera wagneriana non c’è mai un suono puro, limpido ma tutto risulta amalgamato»; ed è in fondo la stessa struttura di suono che si ritrova ne GUGDU.
Questo permette di fare infine un altro paragone per arricchire le analogie tra GUGDU e il lavoro di Wagner. Sempre Roberto Alonge e Francesco Perelli concludono il loro discorso sulla musica in Wagner affermando che «(la) maggiore ricchezza della multiforme orchestra wagneriana riesce ad accostarsi alle primigenie forme della vita, a trasmetterci la poesia dell’acqua, del mare, del fuoco, della foresta», che riapre quel dibattito sei/settecentesco di “musica come imitazione della natura”.

In fin dei conti GUGDU potrebbe avere anche questo merito. Il film di Ghezzi e Gagliardo ha una relazione profonda con gli elementi naturali, a partire dalle immagini e dai suoni dell’acqua e del mare presenti in tutto il film. E anzi, è proprio un’immagine del mare ad aprire la pellicola (a detta di Gagliardo uno dei pochi filmini che arrivano dal suo personale archivio di riprese). Un’immagine di acque marine annebbiate e incerte dal cui fuoricampo proviene un placido veliero.
Dopo due ore e cinquantatré di film quel mare calmo si trasforma in acque tumultuose i cui suoni sovrastano i timpani come le onde sovrastano l’imbarcazione. A due ore e cinquantotto invece si vede e soprattutto si sente, la pioggia sugli impermeabili di Enrico Ghezzi e della figlia, suoni già presentati a minuto 13 con la pioggia incessante del manicomio del Corridoio della paura26, che culmina due secondi esatti dopo con il frastuono delle masse d’acqua di una cascata, a insistere sull’idea di acqua come calamità. Ma soprattutto la bolla d’acqua senza gravità con cui gli astronauti giocano per quasi dieci minuti di film (da 1h:59m:45s a 2h:6m:17s) e in cui viene restituito il rapporto essenziale e di mistero originale tra uomo e acqua; non attraverso il suono dell’acqua stessa, ma tramite una criptica musica elettronica sperimentale. Rapporto mistico rafforzato a minuto 42 e 30 secondi della terza ora, quando, con la voice over del Criticone intento a declamare il suo monologo, le immagini mostrano il lavaggio di una neonata - l’acqua anche qui cade come pioggia sulla morbida pelle della creatura, e l’acuta voce lirica in primo piano (uditivo) esalta il rapporto mistico-trascendentale tra idro e homo.
Il vero senso di “poesia dell’acqua” di cui parlano Alonge e Perelli lo si ritrova però in un collegamento ipertestuale con Aguaespejo Granadino27 (Water-Mirror of Granada) film del regista spagnolo José Val del Omar, presente a livello visivo e sonoro ne GUGDU (proviene infatti da questo film la voce che sostiene l’immagine del mare di Gagliardo a inizio pellicola: “qué ciegas. Però qué ciegas son las criaturas qué se apoyan en el suelo”).
Aguaespejo Granadino è un corto che propone un amalgama sensoriale dei suoni aquosi (dei ruscelli, delle fontane, degli zampilli ecc.) di Granada, città natale di Val del Omar. Il film fa parte del Triptico elemental de españa, il Trittico elementare di Spagna, una trilogia che Val del Omar realizza con l’intento di rappresentare la Spagna attraverso le esperienze sensoriali dei tre elementi dell’acqua, del fuoco e della terra. Il secondo film della trilogia, Fuego en Castilla28, rientra anch’esso, guarda caso, tra i materiali di found footage de Gli ultimi giorni.

Le solenni e angosciose statue che irrompono nel lungo monologo finale del Criticone di De Francovich provengono da questo cortometraggio.
Ma nel film ci sono numerose immagini (e per immagini si intendono anche voci, rumori e musiche) che rappresentano l’elemento del fuoco. La lava vulcanica e i lapilli di fuoco a minuto sedici e diciassette, che trapassano volti e corpi (il viso di Aura Ghezzi e le figure di due donne che litigano tra di loro), poi a minuto diciotto un uomo balla su quei lapilli. Ma se a minuto sedici si può parlare di un inferno chiassoso, fragoroso, a minuto diciotto al tip-tap dell’uomo si aggiungere solo il rumore della pioggia che cade su di esso, niente “urla” di scoppi infuocati. A 1h:4m:10s Ghezzi dice “han preso fuoco delle pellicole?!” e apre a una ripresa su un deposito di pellicole in fiamme. Per cinque minuti si vedono solo fuoco e fumo nel film; la sequenza immediatamente successiva mostra un uomo impantanato che cammina in reverse29 su strade bagnate. Questa dicotomia acqua-fuoco è costantemente presente in tutta la pellicola.

Fuori Orario30, che ha dedicato una serata a Josè Val del Omar nel 2018, parla curiosamente del regista spagnolo come di «un cineasta “totale” alla ricerca di una poesia del cinema»31, doppiamente interessante, per l’aggettivo ‘totale’, e per la questione di cinema come poesia, che è poi il tema affrontato fino ad adesso e di cui parlano Alonge e Perelli a proposito dell’opera di Richard Wagner. La sinossi di Rai 3 sul regista prosegue con «(poesia) fondata sulla luce e le sue vibrazioni, sulla materia tattile degli elementi fisici elementari, su esperienze sensoriali di espansione e vibrazione attraverso la scoperta e l’invenzione delle forme»32. Una presentazione che con buona probabilità è stata scritta da Ghezzi stesso, che insieme ad Alessandro Gagliardo, riproduce quel cinema mimetico di Val del Omar in GUGDU.



24 Ibid.
25 Ibid., p. 276.
26 Il corridoio della paura (Shock Corridor, Samuel Fuller, 1963).
27 Aguaespejo Granadino (José Val del Omar, 1955).
28 Fuego en Castilla (José Val del Omar, 1961).
29 Tecnica con la quale l’azione filmata viene fatta andare all’indietro (cioè invertita nel tempo).
30 Fuori orario (cose mai viste) è un programma notturno di Rai 3 ideato da Enrico Ghezzi nel 1988.
31 http://www.fuoriorario.rai.it/dl/portali/site/articolo/ContentItem-56e2a332-0358-4b1b-a599-527981294c15.html?refresh_ce
32 Ibid.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Totalità e opera in "Gli ultimi giorni dell’umanità" di Enrico Ghezzi e Alessandro Gagliardo

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Informazioni tesi

  Autore: Luigi Timpano
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2022-23
  Università: Alma Mater Studiorum Università di Bologna
  Facoltà: Dipartimento delle arti - DAR
  Corso: Dams - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo
  Relatore: Monica  Dall'Asta
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 49

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