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Il genere come «costruzione»: percezione identitaria in età moderna

Oltre il binomio maschile/femminile

La nostra indagine fin qui si è concentrata sul binomio tradizionale, ovvero quello che dualizza il genere in "maschile" e "femminile", in primis perché l'impianto sociale di epoca moderna era fortemente strutturato su tale dicotomia; di conseguenza anche guardare tra le fonti del tempo diviene un'impresa da svolgere con oculatezza, tenendo ben presente la mano di coloro i quali realizzavano ciò che diviene una «traccia» di cui possiamo servirci.

Eppure, come spesso accade, ciò che sembra assodato per determinate circostanze storiche, potrebbe essere messo in dubbio guardando alla stessa porzione spazio-temporale da prospettive differenti. E soprattutto quello che appare come un caso isolato si somma ad altri, che potrebbero dimostrare come, nel nostro caso, la percezione di genere al di là del dualismo tipico non solo era presente in epoca moderna ma anche come la consapevolezza identitaria potrebbe essere rintracciata in svariate fonti ed essersi fatta col tempo via via più manifesta. Per quanto concerne l'età moderna, poi, le «tracce» a nostra disposizione sono prevalentemente di tipo penale e potrebbero tendere forse a comunicarci, tra le altre cose, quanto le istituzioni si impegnarono ripetutamente, anche su questo fronte, per contenere le istanze non tradizionali?

Piuttosto nota e oggetto di molteplici studi è la storia settecentesca di Caterina Vizzani (o Vezzani), che vestì abiti femminili solo fino a poco più che adolescente, quando, scoperta tra le braccia di una compagna di ricamo dal padre di quest'ultima, fu costretta a fuggire da Roma, divenendo da quel momento in poi Giovanni Bordoni. Sono pochi i personaggi di questa vicenda a riconoscere la sua vera natura; d'altronde la passione viscerale che Giovanni mostrava ripetutamente per il sesso femminile gli consegnava la fama di donnaiolo, che supportava la sua nuova identità di genere. È solo in punto di morte che si palesa la discordanza tra il costume e l'identità dichiarata ed i caratteri fisici che, invece, l'avrebbero etichettato come "donna". Dall'opera del dottor Bianchi si evince che alla monaca che presiedeva il proprio capezzale, Caterina/Giovanni:
[…] confidò come era femmina e pulcella, ma che ciò ad alcuno finché vivea non ridicesse, ma solamente dopo che fosse morto, acciocché in abito femminile il vestissero, e di ghirlanda il capo gli ornassero come, d'ordinario costumar si suole con quelle che Pulcelle si muojono.

La scoperta di tale peculiare situazione suscitò una reazione collettiva ambivalente: da una parte «[…] alcuni giovani dell'ospedale «per soverchia curiosità», avevano abusivamente aperto (e poi richiuso) il ventre della morta, per controllare, a quanto avevano detto, che non fosse incinta», alla ricerca forse anche di segnali ed incongruenze fisiche quali cause di una particolare tendenza sessuale; dall'altra parte il popolo, appoggiato inizialmente dalle istituzioni religiose, contornò la figura della stessa di un'aura di santità poiché la giovane era stata trovata vergine e tale stato, conservato così a lungo, la poneva – piuttosto paradossalmente – in una situazione di grazia.

L'analisi del corpo femminile era pratica piuttosto diffusa; lo stesso Giovanni Bianchi, medico e professore di anatomica all'Università di Siena, che conosceva personalmente Giovanni Bordoni (non avendo peraltro mai sospettato di un'identità diversa da quella dichiarata) ed autore della prima edizione dedicata al suddetto caso (Breve storia della vita di Catterina Vizzani Romana Che per ott'anni vestì abito da uomo in qualità di Servidore la quale dopo varj Casi essendo in fine stata uccisa fu trovata Pulcella nella sezzione del suo Cadavero), aveva già destinato una parte dei suoi studi anatomici agli organi sessuali femminili. Il caso di Caterina, agli occhi del medico senese, era peculiare perché la stessa non risultò essere ermafrodito e le dimensioni della clitoride si dimostrarono essere nella norma; era concezione diffusa, infatti, quella che riteneva che le lesbiche avessero le dimensioni dell'organo erettile femminile più grandi del dovuto.

Nonostante l'interesse prettamente scientifico del medico in questione, noto per la stesura di testi enciclopedici, cercare nel corpo cause e segni di una presunta colpa – indagine a volte perseguita con curiosità dissacrante – era una delle strade intraprese dai più per tentare di comprendere e giustificare qualcosa che si discostava dalle standardizzazioni sociali alle quali si è soliti restare ancorati – allora come oggi. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il genere come «costruzione»: percezione identitaria in età moderna

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Informazioni tesi

  Autore: Francesca Famiglietti
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi di Napoli - Federico II
  Facoltà: Scienze Storiche
  Corso: LM-84
  Relatore: Pasquale Palmieri
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 70

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Parole chiave

storia moderna
costruzione sociale
patriarcato
ruoli di genere
storia di genere
donne e potere
percezione identitaria
fallocrazia
genere come costruzione
ribaltamento della percezione di genere

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