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I Canossa e Parma: Sigifredo II, la fondazione del monastero di S. Giovanni Evangelistae la Vita di San Giovanni, primo abate

Poteri comitali e poteri vescovili a confronto: dall'ascesa del conte Maginfredo al vescovato di Sigifredo II

Morto Uberto, alla guida del comitato gli succede Maginfredo, figura che sebbene sia supportata da testimonianze sporadiche e di complessa interpretazione sembra rivestire un'importanza fondamentale per il comitato di Parma. I primi documenti che riportano il suo nome purtroppo non risultano essere delle testimonianze certe ma da una loro attenta lettura gli elementi che ragionevolmente consentono di farli risalire al conte di Parma sono più d'uno. I primi due testi in cui compare un Maginfredus comes sono datati 931 e corrispondono ad un placito tenutosi a Modena79 e ad un documento emesso dal marchese di Ivrea Berengario II80.

In entrambi i casi è il contesto stesso che rende più che plausibile il fatto che tale comes fosse proprio quello che esercitava il suo ufficio a Parma. Ancora meno dubbi pare lasciare un placito pavese del 94581 e al quale parteciparono tutti i principali sostenitori di Berengario II tra i quali Maginfredo che con il futuro re risulta schierato durante tutto il periodo della propria carica.

D'importanza fondamentale è poi un diploma del 948 con il quale re Lotario, su mandato del plenipotenziario Berengario II, effettua numerose donazioni ed importanti concessioni che rafforzano Maginfredo sia patrimonialmente sia politicamente82. La parte più interessante di questo documento è senza dubbio la conferma di alcune proprietà non ottenute tramite donazione bensì per successione e in particolare il fatto che tali beni corrispondono agli stessi tramandati nel testamento della regina Cunegonda83 fondatrice del monastero di S. Alessandro.

Pertanto attraverso tale documento non solo si attesta un legame di sangue che unisce il conte Maginfredo ad una delle più antiche e potenti famiglie del parmense e del regno, quella dei Bernardingi, ma soprattutto si comprova l'inizio di un radicale mutamento nei processi di trasmissione del potere comitale84.

Se fino a questo momento infatti, al timone del comitato di Parma si erano alternati esponenti di importantissime famiglie del regno ma tutti ufficiali di chiara nomina regia privi di alcun legame con il territorio, con le conferme fatte a Maginfredo è chiaro, come afferma Schumann85, il tentativo di iniziare un radicamento a livello locale. Anche la famiglia dei Bernardingi s'inserisce dunque in quella particolare dinamica che a partire da questo periodo e per tutta la fase di governo delle dinastie sassone prima e salica poi, vede l'ufficio comitale iniziare a trasformarsi in beneficio ereditario e per tale ragione venire sempre più abitualmente confermato nelle mani di esponenti di famiglie saldamente ancorate al territorio.

Il primo testo in cui Maginfredo risulta per certo essere investito della carica comitale è un documento che risale al 967, data in cui ad un placito tenutosi a Ravenna e presieduto da Ottone I, nella corte giudicante sono presenti tre fratelli, figli dell'ormai defunto (quondam) Mainfredus comite Parmensis86. La prima attestazione certa della carica di Maginfredo è pertanto post mortem e coincide anche con la certezza che nessuno dei tre figli citati risulta in alcun modo investito della medesima carica; questo certamente sta a significare che il periodo che seguì la concessione del 948 fu certamente segnato da un episodio assai grave se a distanza di pochi anni la famiglia di Maginfredo accusa la perdita del titolo comitale.

La giustificazione di tale disfatta è certamente da ricercare nella sciagurata strategia dei Bernardingi di mantenere il proprio incondizionato appoggio a Berengario II anche nel difficile momento in cui quest'ultimo, abbandonato da tutti i suoi principali sostenitori, cadrà in disgrazia sfidando con esito assai nefasto il potere di Ottone I. Tale improvvida scelta fu pagata dai Bernardingi non solo con la mancata nomina alla carica di conte di nessuno dei tre figli di Maginfredo ma anche con la confisca di un'ingente quantità di beni87.

Di natura ben diversa è il comportamento tenuto di fronte alla disfatta di Berengario II da parte di un'altra figura di rilievo per la storia di Parma e per gli accadimenti che segnarono il regno d'Italia in quegli anni, il vescovo Uberto (ante 960-980). Le sue origini che s'ipotizzano risalire a un importante famiglia locale legata al sovrano da un rapporto di fedeltà, gli hanno con ogni probabilità consentito di rivestire ruoli di prestigio ancor prima di ottenere la carica episcopale. Nel 951, infatti, poco prima dell'apertura del conflitto che opporrà Ottone a Berengario II, già compare nei documenti come cancelliere del re88; così nel 95889 e di nuovo nel 96190 quando le sue funzioni sono addirittura accresciute al punto da rivestire il ruolo di arcicancelliere regio insieme ad un altro personaggio di primissimo piano, Guido di Modena.
 
Quando però nel 961 Ottone I alla guida di un potente esercito pose fine ai ripetuti soprusi esercitati da Berengario nel suo ruolo di amministratore del Regnum Italiae costringendolo alla fuga, contrariamente al comportamento di ostinata fedeltà al re tenuto dal conte Magifredo, il vescovo Uberto, a distanza di pochi mesi da quando ancora risultava ricoprire l'importante ruolo di arcicancelliere regio, repentinamente decide di abbandonare la causa di Berengario II per schierarsi con Ottone.

Una decisione che agli occhi di Ottone non risulta affatto un gesto di vigliaccheria quanto piuttosto un riconoscimento ufficiale della sua legittimità, un prezioso atto di fedeltà in grado di garantirgli il sostegno di tutto il seguito del potente vescovo parmigiano e non ultimo, in un momento in cui l'incertezza politica era assai marcata, il controllo di uno dei nodi più importanti delle vie di comunicazione del nord Italia. Fin da subito Uberto si dimostra pedina fondamentale nello scacchiere politico di Ottone assicurando la sua costante e fedele presenza a fianco del sovrano in ogni importante accadimento avvenuto entro i confini del regno a partire da quell'anno e fino alla sua morte. Già all'inizio di febbraio del 962 Uberto è presente nella basilica di San Pietro a Roma all'incoronazione imperiale di Ottone I e pochi giorni dopo, è tra i vescovi e i conti sottoscrittori dell'importante Pactum Ottonianum91.


77 Il dettagliato racconto di Liutprando da Cremona relativo all'intervento di Sigifredo I alla corte di Costantinopoli è riportato nell'Antapodosis, in Monumenta Germaniae Historica, Scriptores, XVI, Liudprandi Opera, Hannover-Lipsia 1915, n. XX-XI, p. 141-143.

78 Il placito, tenuto a Pavia da re Ugo di Provenza risolve a favore del vescovo Sigifredo I una disputa nata con il potente Anscario II di Ivrea e relativa al controllo di Lugolo e dell'abbazia di Berceto fondamentale per il controllo del passo della Cisa; cfr. MANARESI, I placiti, cit., n. 136, p. 506-513.

79 Maginfredus comes compare accanto ai conti di Modena e Reggio ed è proprio la presenza di costoro che rende plausibile il fatto che questo Maginfredo fosse conte di Parma. Il documento si trova in MANARESI, I placiti, cit., doc. 134, p. 500.

80 Per alcune considerazioni in merito a questo documento si veda ALBERTONI, Il potere del vescovo, cit., p 91, nota 81.

81 MANARESI, I placiti, cit., n. 144, p 551.

82 Anche in questo caso Maginfredo è definito comes, sebbene senza esplicito riferimento al comitato di Parma; cfr. SCHIAPARELLI, I diplomi di Ugo, cit., n. 8, p 267.

83 Per verificare la corrispondenza dei beni a cui si fa riferimento si veda il testamento della regina Cunegonda che si trova in U. BENASSI, Codice diplomatico parmense, Parma 1910, vol 1, doc 2, p 101.

84 Come viene chiaramente esplicato da ALBERTONI, Parma in età ottoniana, cit., p. 92, pur essendo Maginfredo appartenente al ramo carolingio in quanto discendente di Bernardo nipote di Carlo Magno, non ebbe mai ambizioni regie scegliendo di radicarsi a livello locale. In particolare il suo potere e il suo patrimonio, ad eccezione della importante curtis ereditata da Cunegonda e posseduta in città, era proiettato soprattutto al di fuori della città, nel comitato.

85 Il concetto è espresso nel discorso relativo alla patrimonializzazione dell'ufficio comitale a Parma in SCHUMANN, Istituzioni e società, cit., p. 41-43.

86 MANARESI, I placiti, cit., n. 155, pp. 50-54.

87 L'ipotesi della requisizione del titolo comitale e della confisca dei beni giustificati da un coinvolgimento in una ribellione anti ottoniana è ampiamente argomentata da SCHUMANN, Istituzioni e società, cit., p. 43.

88 L. SCHIAPARELLI, I diplomi di Ugo e di Lotario, di Berengario II e di Adalberto (sec. X), Roma 1924, n.4, p. 301-304.

89 Ibidem, I diplomi di Ugo e di Lotario, cit., n.10, p. 319-325.

90 Ibidem, I diplomi di Ugo e di Lotario, cit., n.2, p. 342-345.

91 Un documento di vitale importanza per lo sviluppo dei rapporti tra papato e impero nel quale, tra i vari aspetti trattati viene riconosciuta la subordinazione dell'elezione papale al benestare di Ottone i o di suo figlio. Monumenta Germaniae Historica, Diplomata, I, Hannover 1879-1884, n. 235, p. 322- 327.

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I Canossa e Parma: Sigifredo II, la fondazione del monastero di S. Giovanni Evangelistae la Vita di San Giovanni, primo abate

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Informazioni tesi

  Autore: Stefano Rossetti
  Tipo: Laurea vecchio ordinamento (pre riforma del 1999)
  Anno: 2015-16
  Università: Università degli Studi di Parma
  Facoltà: Lettere
  Corso: Storia
  Relatore: Roberto  Greci
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 225

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