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L'economia italiana ai tempi del Covid-19: teorie e politiche

Solidarietà o divisione tra i paesi europei?

L’Europa di oggi è ben diversa da quella immaginata dai padri costituenti: oltre ad essere un’area di libera circolazione di persone, merci e capitali, ad aspirare alla pace ed alla cooperazione internazionale contro ogni violenza, l’Europa, ed ogni suo paese membro, dovrebbero anzitutto dimostrarsi solidali gli uni gli altri. Certamente, in molteplici occasioni lo sono stati – l’esempio più eclatante è stato il secondo dopo guerra, dove i paesi hanno cooperato tra loro per aiutarsi a vicenda per superare la distruzione ereditata dalla guerra, e dove, addirittura, diversi paesi europei, tra cui l’Italia, hanno firmato a Londra il trattato che dimezzava e dilazionava il pagamento del debito di guerra che la Germania doveva agli stati, evitando così che questa entrasse in default – ma, talvolta, alcuni di questi paesi mancano proprio di questa “visione comunitaria”. Come già accennato all’inizio di questo capitolo, soprattutto in quest’ultimo periodo, infatti, alcuni paesi hanno guardato esclusivamente al proprio tornaconto, cercando di influenzare negativamente le scelte della Commissione europea e della BCE relative agli interventi in aiuto alle economie nazionali, soprattutto per gli stati che ne avessero più necessità. Come sostiene qualcuno, è lecito far ciò, ma è miope! Aggiungerei che, in un’Europa che mira ad essere un’unica grande istituzione, nella quale noi cittadini europei dobbiamo pienamente riconoscerci, il comportamento di questi paesi non dovrebbe essere nemmeno consentito, poiché contrario all’ideale comunitario ed allo spirito solidale dell’Europa. Il mancato senso di solidarietà di questi paesi, che sappiamo già essere detti “frugali”, nasce già prima dell’emergenza attuale: il problema è dato dalla netta differenza di tassazione tra questi paesi e gli altri.
Olanda, Cipro, Malta, Ungheria, Lussemburgo e Irlanda, che guarda caso sono, non tutti, i paesi frugali, sono dei veri e propri paradisi fiscali all’interno di un unione, quale quella Europea, basata sulla parità di trattamento e sulla solidarietà: a renderli tali sono le bassissime aliquote applicate sui redditi prodotti dalle imprese multinazionali (13% in Cipro e Irlanda, 9% in Ungheria, rispetto al 28% italiano e al più del 30% in Francia e Germania), le quali, ovviamente, sono incentivate a trasferire non solo la propria sede fiscale in questi paesi, ma anche i profitti, tramite un gioco contabile di fatture fittizie, cosiddetto “transfer pricing”, che permette di trasferire il fatturato direttamente alla casa madre con sede in questi paesi. Inoltre, l’aliquota statutaria, ovvero prevista dalla legge, già bassa di suo, senza considerare anche le detrazioni e deduzioni che fanno diminuire ulteriormente la base imponibile e il debito d’imposta, viene ulteriormente ridotta tramite accordi tra le multinazionali e gli stati; ciò crea un circolo elusivo nei confronti degli stati con aliquote più alte, che si ritrovano a perdere miliardi di euro di gettito fiscale: solo nel 2019, si stima che l’Italia abbia perso circa 24 miliardi di dollari a causa dell’elusione; di questi, 21 miliardi sarebbero andati ai paradisi fiscali europei, il resto fuori dell’UE. Tale fenomeno è dimostrato dalla Figura 6 in allegato, che mostra il livello degli investimenti diretti esteri nei paesi europei: come si può ben vedere, il primo paese ad avere uno sproporzionato afflusso di capitali esteri è proprio il Lussemburgo, seguito dai già citati paesi-rifugio; da notare che l’Italia è l’ultimo paese per afflusso di capitali esteri, subito prima della Grecia, e ciò dimostra che è il paese più colpito da questa pratica immorale, oltreché illegale.
Pertanto, è fortemente necessaria una seria riforma riguardante la tassazione europea e al bilancio comunitario: il problema delineato può essere risolto esclusivamente tramite la creazione di un’unica area fiscale europea, con un unico bilancio europeo, che tassi i redditi in maniera uguale per tutte le imprese, sia grandi che piccole e medie. Bisognerebbe attuare un federalismo fiscale più forte, a livello europeo, che neutralizzerebbe gli incentivi elusivi di alcuni stati, e che fornirebbe alle istituzioni europee un diretto e maggiore gettito fiscale che garantirebbe maggiori risorse da poter spendere in welfare ed infrastrutture, e più in generale in spese ad alto moltiplicatore fiscale, rendendo certamente più efficiente il sistema degli investimenti pubblici dei singoli paesi membri. Ma per far ciò, è necessario cedere parte della sovranità statale all’Europa; purtroppo, però, in un quadro come quello in cui si presenta oggi l’UE, è veramente difficile che ciò accada: la sfiducia generale verso le istituzioni sovranazionali, dovuta anche ad errori comunicativi da parte delle figure chiave europee, e le critiche da parte dei partiti politici sovranisti ed anti-europeisti, alimentano continuamente il rigetto verso un’Europa più unita, da tutti i punti di vista, che lotti contro il male comune, le disuguaglianze, le ingiustizie, le furberie di coloro che si credono essere superiori agli altri.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L'economia italiana ai tempi del Covid-19: teorie e politiche

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Informazioni tesi

  Autore: Giuseppe Marchese
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2019-20
  Università: Università degli Studi di Catania
  Facoltà: Scienze Economiche e Aziendali
  Corso: Economia aziendale
  Relatore: Giuseppe Di Vita
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 43

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Parole chiave

economia italiana
istituzioni europee
prospettive future
crisi economica
modern monetary theory
covid-19
aiuti europei
recovery fund

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