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Con gli occhi dell’Occidente. L’imperialismo britannico nei romanzi indiani di Kipling e Forster.

Storia dell’Impero inglese, la Greater Britain

Come già accennato, nell’Ottocento “le potenze occidentali rivendicavano il 55% del territorio mondiale.[...] Nel 1914 l’Europa controllava circa l’85% circa della superficie terrestre sotto forma di colonie, protettorati, possedimenti, domini e commonwealth.”
Il colonialismo inglese è stato una vasta migrazione di popoli, che non aveva avuto precedenti e non ha avuto successori. Alcuni lasciarono le Isole britanniche in cerca della libertà religiosa, altri in cerca della libertà politica e altri ancora in cerca di profitto”.
Il mondo che oggi conosciamo, nel bene o nel male, è il prodotto dell’età imperiale, soprattutto di quella britannica: circa 444 milioni di persone vivevano sotto il dominio inglese e l’Impero britannico arrivò a coprire il 25 % della superficie mondiale. “L’immaginazione si smarrisce nel tentativo di rappresentare un mondo senza l’Impero britannico”. Esso è stato quanto di più simile a un vero e proprio governo mondiale. Tuttavia il suo sistema operativo era la “quintessenza del minimalismo.” Tutte le forme di colonizzazione inglese nel XVI e XVII secolo ebbero un carattere comune ovvero quello che il governo non prese parte reale alla fondazione delle colonie e che l’ingerenza della metropoli fu sempre limitata in diritto e quasi nulla in fatto. Eppure per governare milioni e milioni di abitanti, ad esempio dell’India, l’Indian Civil Service aveva un organico composto da poco più di mille funzionari. Nel 1860 l’estensione territoriale dell’Impero britannico era di 15 milioni di chilometri quadrati (nel 1909 invece arrivò a superare i 20 milioni di kmq). Il British Empire è stato l’impero più vasto di tutti i tempi e comprendeva non solo colonie ma anche domini, protettorati, e altri territori amministrati dalla Corona della piccola isola inglese europea.

La Gran Bretagna aveva prima guidato la corsa all’Africa e poi era stata in prima linea anche nella corsa alla conquista dell’Estremo Oriente. Il passaggio dal commercio di prodotti asiatici al dominio su milioni di abitanti orientali nel corso del XVIII secolo sicuramente rappresentò una delle novità più importanti poichè la relazione fra Vecchio Continente e Asia assunse una dimensione sia qualitativa che quantitativa del tutto nuova. Molto spesso strettamente intrecciati al commercio, le attività che videro impegnati gli Europei in Asia furono la missione civilizzatrice e la missione cristianizzatrice. Grazie alla loro opera vennero abolite alcune pratiche e usanze indiane, tra cui la più terribile, il cosiddetto rito delle Sati, che consisteva nel bruciare vive le vedove sulla pira funeraria dei defunti mariti. Nel 1827 il governatore generale dell’India, Lord Bentinck, mise finalmente fuori legge la macabra consuetudine nella sua interezza, sostenendo che non avesse alcuna solida base teologica.
John Hobson, uno storico e giornalista vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo affermò che le razze europee erano cresciute grazie allo standard della cosiddetta material civilisation la quale a sua volta era basata non solo sul consumo e l’utilizzo di cibo, materiali grezzi di manifatture e altri beni che erano alcuni dei prodotti naturali nei paesi tropicali; inoltre egli aggiunse: “The industries and the trade which furnish these commodities are of vital importances to the maintenance and progress of Western civilisation”.

L’imperialismo britannico era senza macchia? Sicuramente no. Si potevano percorrere sentieri meno sanguinosi per giungere alla tanto decantata modernità? Probabilmente si. Nelle prossime pagine si proverà a rispondere a queste domande attraverso un breve excursus storico dell’Impero britannico, e un successivo focus sulle caratteristiche peculiari che hanno caratterizzato nello specifico il cosiddetto gioiello della Corona, ovvero il British Ray: l’India. La regina imperatrice Vittoria dominava, come scrisse la St. James Gazette nel 1897 “un continente, un centinaio di penisole, cinquecento promontori, un migliaio di laghi, duemila fiumi, diecimila isole” mentre qualche anno più tardi, nel 1905, il giornalista J.L. Garvin affermò che il British Empire era “un dominio di estensione e magnificenza che superano la natura.” Accanto al controllo formale esercitato sulle colonie, il dominio britannico controllava di fatto anche le economie di molte regioni, estendendosi su gran parte del commercio mondiale. Alla fine del XIX secolo gli imperialisti avevano opinioni forti sulla Gran Bretagna e su ciò che rappresentava l’Impero britannico. Per loro la società si basava sulla gerarchia e sull’obbedienza ai propri superiori. Per quanto riguarda il ruolo delle donne, esso si limitava a quello di madri e di mogli devote nei confronti dei loro mariti. In altre parole il loro compito era quello di produrre figli per l’Impero e di sostenere i loro uomini lungo la loro vita, dedicata al servizio patriottico. La globalizzazione promossa dalla Gran Bretagna viene definita dallo storico scozzese Niall Ferguson anglobalizzazione. Tale processo riguardò numerosi settori come ad esempio il mercato dei beni o della manodopera, la cultura e così via. In termini di attività umane invece, semplificando, essa avvenne ad opera di missionari, pirati o banchieri. In Asia, in particolare, gli inglesi trattarono fin dal principio la globalizzazione con la forza, e con l’utilizzo delle armi. Inoltre quando i britannici governavano un paese, di solito esportavano anche alcuni aspetti tipici della loro società come ad esempio: l’idea di libertà, la lingua inglese, gli sport di squadra, il protestantesimo, le assemblee rappresentative e l’intervento limitato dello Stato.

Le rappresentazioni immaginarie del British Empire, ad opera ad esempio dell’autore Kipling, soprannominato come il poeta dell’Impero, erano piene di personificazioni ideali e di qualità ammirevoli: gli inglesi venivano dipinti come soldati coraggiosi, amministratori rispettosi piuttosto che pioneri robusti. Tale visione dell’Impero, e con essa dell’identità nazionale britannica, venne ampiamente diffusa anche nelle scuole. Durante il regno della regina Vittoria circa sedici milioni di inglesi lasciarono la madrepatria per costruire una nuova vita all’estero. Chiunque era mosso dal desiderio di fama, avventura, amore o fortuna, poteva contribuire a rendere l’Impero vittoriano il più grande e potente che il mondo avesse mai visto. Molti inglesi partirono portando con sè, insieme ai sogni e alle speranze, un bagaglio pieno di idee e valori, credenze e pregiudizi, che diffusero negli angoli più remoti della terra. Il British Empire investendo somme enormi in tutto il mondo era di fatto anche il banchiere mondiale, nessun altro paese al mondo (prima o dopo) avrebbe mai avuto una percentuale così alta del proprio capitale investita all’estero. Verso la fine del XIX secolo il 60 % circa del commercio inglese si svolgeva con partner extraeuropei. Il termine Commonwealth ha avuto diversi usi, infatti ben presto alcuni scrittori britannici iniziarono a riferirsi all’Impero come sinonimo di Commonwealth britannico e di fatto la distinzione tra i due termini è rimasta poco chiara. In generale ci si riferisce alla parola Impero quando si indica semplicemente un numero di territori che sono tutti in rapporti diversi tra loro ma collegati alla Corona, in altre parole lo si utilizza per riferirsi all’intero Impero britannico compreso il Regno Unito, l’India e tutte le altre colonie; mentre con il termine Commonwealth ci si riferisce specificamente alla relazione tra la Gran Bretagna e i suoi domini, tra cui il Canada, l’Australia, il Sud Africa e lo Stato Libero d’Irlanda. Alcuni storici definiscono Primo Impero britannico il periodo che va dai primi anni del XVII secolo fino alla guerra d’indipendenza americana combattuta alla fine del XVIII secolo; mentre il periodo che va dal 1815 al 1914 è passato alla storia come secolo imperiale della Gran Bretagna. Tuttavia secondo l’opinione di altri storici invece: “non dobbiamo distinguere due periodi principali e cioè: il periodo anteriore e quello posteriore alla sollevazione degli Stati Uniti dell’America del Nord.” Sarebbe quindi errato considerare tale rivoluzione come spartiacque, piuttosto: “noi dobbiamo considerare solamente il secondo di questi periodi ed occuparci del primo solamente per quei punti che contengono il germe del posteriore sviluppo.”

I britannici inizialmente si insediarono nel nord America e nelle isole minori dei Caraibi attraverso la Compagnia inglese delle Indie Orientali, la quale si occupò di amministrare le colonie e il commercio estero. La Gran Bretagna, incontrastata nei mari, divenne il controllore globale e assicurò la cosiddetta Pax Britannica, ovvero un periodo di relativa pace sia in Europa che nel mondo (che si mantenne fino allo scoppio della Prima guerra mondiale).
[...]

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Con gli occhi dell’Occidente. L’imperialismo britannico nei romanzi indiani di Kipling e Forster.

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Informazioni tesi

  Autore: Valentina Cerino
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2020-21
  Università: Università Telematica "E-Campus"
  Facoltà: Lettere
  Corso: Lingue e letterature moderne euroamericane
  Relatore: Paolo Pepe
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 98

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Parole chiave

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