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Mineralogical and minerochemical study of serpentinite-hosted chromitite pods in the ophiolite bodies of Chamrousse (France)

Tecniche analitiche strumentali

Ogni tecnica analitica sfrutta l’integrazione tra un’onda elettromagnetica di una data lunghezza d’onda e la materia, con l’obiettivo di utilizzare il risultato di tale interazione a fini diagnostici. A seguito dell’interazione, il campione emette un segnale che viene registrato da un rilevatore che lo converte in segnale elettrico. Il segnale elettrico può poi essere amplificato come segnale analogico o digitale ed elaborato.
Quando si affronta un problema analitico è necessario inquadrarlo preliminarmente tenendo conto sei seguenti fattori:

• livello di precisione e accuratezza richiesti per il campione in esame;
• quantità di campione necessaria per l’analisi;
• intervallo di concentrazione della specie da analizzare;
• fattori di perturbazione;
• proprietà fisico-chimiche della matrice che contiene l’analita;
• numero di campioni da analizzare.

Precisione e accuratezza vanno descritti in relazione agli errori casuali e sistematici. Una misura è tanto più precisa quanto più i singoli valori misurati, in condizioni di ripetibilità, si concentrano intorno alla media della serie di misure fatte. La precisione è una misura della riproducibilità delle misure.
L’accuratezza esprime, invece, l’assenza di errori sistematici nella misura: una misura è tanto più accurata quanto più la media della popolazione di dati raccolti si approssima al valore vero della grandezza. Essa è spesso espressa come il rapporto tra l’errore sistematico e il valore della grandezza.
Un altro criterio da considerare per definire la qualità di una misura sperimentale è la sensibilità strumentale. Dal punto di vista quantitativo, la IUPAC definisce la sensibilità strumentale come la pendenza della curva di calibrazione alla concentrazione di interesse.
[...]
Il criterio “limite di rilevabilità” è definito come la concentrazione dell’analita che può essere rilevata con un sufficiente intervallo di confidenza. Tale limite dipende dal rapporto tra l’ampiezza del segnale e l’ampiezza delle fluttuazioni statistiche del segnale “bianco”.

Le metodologie analitiche per lo studio dei minerali vengono convenzionalmente suddivise in due grandi categorie: classiche e strumentali. In questo lavoro di Tesi ci si è avvalsi solo delle tecniche strumentali.
Le metodologie classiche permettono di separare i composti di interesse di un campione attraverso diversi fenomeni come la precipitazione, l’estrazione o la distillazione. A fini qualitativi, le specie separate vengono poi trattate con dei reagenti al fine di formare dei prodotti identificabili attraverso le loro caratteristiche chimiche e fisiche come il colore, l’odore, le proprietà ottiche.
A fini quantitativi, invece, si fa uso di tecniche gravitative o delle titolazioni per determinare la quantità della singola specie.

Le metodologie strumentali si basano sulla misura diretta di un segnale caratteristico del campione; esso è l’espressione quali–quantitativa di una o più proprietà chimico–fisica del campione. Tali tecniche si suddividono in tre macro-classi:

⁃ Tecniche microscopiche (microscopia ottica e SEM);
⁃ Tecniche diffrattometriche (XRPD);
⁃ Tecniche spettroscopiche (ICP-MS, LA-ICP-MS, Raman).

Microscopia ottica
Le tecniche microscopiche offrono un’immagine diretta del campione in esame a diversa scala. La microscopia ottica utilizza la luce visibile come strumento di indagine della materia e permette l’osservazione diretta di particolari di un certo campione con un potere risolutivo dell’ordine dei 5 μm, intendendo per potere risolutivo, la distanza minima tra due punti che l’immagine consente di osservare come distinti.
La strumentazione utilizzata per analizzare i campioni in questo lavoro di Tesi è rappresentata da due strumenti: il microscopio ottico in luce trasmessa o polarizzatore e il microscopio ottico in luce riflessa.

Microscopio polarizzatore (in luce trasmessa)
Le parti principali che costituiscono un microscopio polarizzatore sono rappresentate nella figura 26. Partendo dal basso, il primo elemento è dato dalla fonte di luce, costituito da una lampadina ad incandescenza o da un led, la cui intensità luminosa può essere regolata. Vi è poi, un filtro polarizzatore o nicol, attraverso cui la luce che transita subisce una modificazione e da semplice luce naturale diviene polarizzata, con un piano di polarizzazione O-E. Al di sopra, si ha un diaframma che ha la funzione di regolare la quantità di luce che transita verso il campione di osservazione. Il condensatore, posto sopra al diaframma, opportunamente inserito determina una variazione nella propagazione dei raggi luminosi, che da paralleli diventano convergenti. Proseguendo, si ha un tavolo portaoggetti, sul quale è posto il campione in esame, rappresentato da una sezione sottile appoggiata dal lato del vetrino di supporto. Esso può essere sollevato o abbassato tramite due manopole per la messa a fuoco. Al di sopra di esso, vi sono gli obiettivi, montati su di una torretta girevole attraverso la quale è possibile scegliere l’obiettivo più adatto. Appena sopra gli obiettivi, vi è una feritoia all’interno della quale può essere inserito un compensatore (una lamina di gesso) per la determinazione del segnale ottico del minerale in osservazione. Ancora più sopra, si trovano un secondo filtro polarizzatore, anche detto analizzatore e la lente di Amici-Bertrand. L’analizzatore ha un piano di polarizzazione N-S e può essere inserito o tolto in relazione al tipo di osservazioni che si intende effettuare.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Mineralogical and minerochemical study of serpentinite-hosted chromitite pods in the ophiolite bodies of Chamrousse (France)

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Informazioni tesi

  Autore: Carolina Canepa
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
  Facoltà: Scienze Geologiche
  Corso: Scienze e tecnologie per l'ambiente e il territorio
  Relatore: Alessandro Cavallo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 143

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