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“Narrare i rifiuti. Le immagini della spazzatura nei romanzi di Barbaro, Teobaldi e Riccarelli”

Terre ai margini: discariche e campagna

Dopo la Venezia decrepita del centro storico e quella da ripulire della stazione, quando l’azienda si “estende” nella gestione di nuove aree, si allarga anche l’orizzonte d’azione e osservazione: i ragazzi vengono a conoscere che c’è anche la Venezia industriale e periferica di terraferma, con i suoi paesaggi malati e cave surreali più o meno differenziate.

La discarica, forma cava riempita, mondo dentro il mondo, è una dimensione che è in grado di alterare i confini spaziali e temporali. Si potrebbe definire anche la quintessenza del non-luogo, in quanto adibita al solo scopo di stipare i rifiuti, non è comunemente un posto dove si coltivano relazioni umane, la solitudine è dominante e trova piena espressione materica nelle tonnellate di oggetti abbandonati e logori.

Nell’opera di Barbaro, peraltro, l’immagine della forma cava conosce diverse ricorrenze, come sottolinea Ilaria Crotti, riferendosi a un’allotropia del tema dell’isola: «rinvia a un’idea di vuoto, non solo come spazio senza coordinate geografiche, ma anche dimensione priva di durata, continuità, connessione con ciò che cronologicamente lo precede e segue»

Svincolatosi così da ogni pretesa di verosimiglianza, lo scrittore, attraverso descrizioni e riflessioni metafisiche sulla natura delle discariche, sfrutta le peculiarità di questo universo capovolto e marginale, per fornire un’immagine vivida, a tratti onirico-fantastica, di un dramma dei nostri tempi che coinvolge in prima istanza il paesaggio veneto. Con un primo sopralluogo in periferia, i due fratelli dell’Asterclean cominciano a conoscere “le loro estensioni”:

Appena fuori dalla Statale, siamo passati mille volte per di qua, e mai vista una di queste – come le chiama il Contratto? – “discariche naturali in terraferma”. Nell’Atlante stradale, la prima dove dovremmo “estenderci” è questa macchia verdolina: “I Boschi” o “I Boschetti”, secondo le carte. Si sale un po’ sull’argine, ed eccola. Ecco dove vanno a finire i rifiuti dell’Asterclean, dove finiamo in un certo modo noi stessi. Qui a un passo da casa: cumuli, colline, valli, fiumi, montagne…la nostra “estensione”, la terra promessa. A perdita d’occhio, montagne di scovazze. (ISF, p. 80).

Si tratta di un altro mondo dal nome eufemistico, situato ai confini della realtà e creato dagli scarti raccolti dall’Impresa. La sua descrizione sfrutta il ricorso all’elenco e l’utilizzo di «un colorismo timbrico, denso di accensioni icastiche»

Tra i gabbiani e i topi ci sono anche gruppi di zingari, un paio di ragazzini insegue i due ospiti e, su un tratto di terreno sgombro, tra i campi sorprendentemente verdi, seppur circondati dalle mondezze, viene improvvisata una partita di calcio con un pallone mezzo sgonfio.

Leoncini puntualizza che quello che attraversano i protagonisti in questa fase della storia è: «un microuniverso in cui si contaminano e si invertono percettivamente il vero e il falso, il reale e l’irreale», tanto che, di fronte alla verità artificiale e allucinata di quelle montagnole, uno stralcio d’erba, lo spazio libero e un semplice gioco di squadra diventano fenomeni irreali perché la attualità è ormai un’altra, «è la realtà artificiale del consumismo, di cui i cumuli di detriti sono l’aspetto rimosso, ma microscopicamente tangibile»

La successiva discarica da visitare è quella chiamata “I Castelli”. Altro nome fiabesco di copertura per un luogo che un tempo doveva essere naturale, fatto di ghiaie, sabbie, fossati, tra argine e laguna, ma che ora appare come:

una concentrazione di ciminiere nell’aria semibuia: fiammate, scarichi in aria, esplosioni, fiaccole piccole e grandi, ardono, sibilano, bruciano, puzzano, tàc si spengono e si riaccendono, fra continui brontolii di tuoni nascosti. Da qui, secondo la carta, partono le nuove “zone gialle”, le aree di deposito dove si “compattano” i rifiuti; mentre poco più in là comincia la “zona di bonificazione”: dove si s-compattano. (ISF, p. 84)

In quello spazio circoscritto, fuori ma dentro al mondo, si concentra tutto il ciclo del consumo: prima si produce, poi si consuma , si butta e infine si bonifica per evitare di morire soffocati. Stefano, dando un’occhiata in giro, scopre l’origine del nome: non si tratta di castelli affini a quelli della Loira, come ingenuamente aveva immaginato, ma di trespoli di metallo in movimento, circondati da operai con maschere ed elmetti, avvolti nel grigio-fumo dell’aria. Non sono altro che trivelle che perforano il terreno della discarica per estrarne le “carote”: lunghi cilindri di materiale prelevati dal sottosuolo. Grazie alle carote si possono studiare e analizzare gli strati successivi di sostanze, più o meno tossiche, che si sono accumulati nel tempo. Un ingegnere addetto alla carotatura spiega al ragazzo che sopra la terra qualcuno ha cominciato a depositare l’alluminio, lo zinco, il piombo e il manganese e poi non si distingue più nulla, c’è di tutto: un metallo che attira un metalloide che a sua volta richiama un gas.
L’ingegnere gli svela poi il cancro della laguna: si tratta di «tonnellate di roba, scaricate tra acqua e fango» (ISF, p. 86) da quei capannoni al limite della terraferma che sembrano innocui. Non è solo il paesaggio a è essere deturpato, il fatto grave è l’inquinamento meno visibile ma più profondo di terra e acqua le quali, contaminate da vecchi e nuovi elementi chimici, avvelenano e fanno impazzire la gente.

Questo brano è tratto dalla tesi:

“Narrare i rifiuti. Le immagini della spazzatura nei romanzi di Barbaro, Teobaldi e Riccarelli”

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Informazioni tesi

  Autore: Sara Stangherlin
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi Ca' Foscari di Venezia
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Filologia e letteratura italiana
  Relatore: Ilaria Crotti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 208

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Parole chiave

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