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L'Op e Mino Pecorelli: un giornalismo tra investigazione e mistero

Veleni, denunce, indagini: il giornalismo di Pecorelli

“Notizie, si sa, ad un certo livello non esistono. Esistono invece fughe di notizie. Cioè quelle soffiate, quelle indiscrezioni con cui ciascun centro di potere in questa Repubblica pluralistica cerca di condizionare, ammonire, minacciare altri centri di potere. In questo senso, parlare di “giornalisti spia” è parlare di acqua fresca. Il giornalista è insieme una spia e il suo contrario. Spia in quanto per accedere a certe informazioni deve stabilire dei contatti con determinati centri di potere, magari tappandosi il naso, ma senza timori virginali sul candore delle proprie mani. Antispia, perché offre subito al suo pubblico ogni indiscrezione della quale entra in possesso. Il giornalista, insomma, può correre il rischio di diventare uno strumento altrui, può non comprendere subito dove andranno a sfociare iniziative determinate alle sue spalle, ma certo mai e poi mai uno che ha il vizio della penna potrà prestarsi alle clandestine omertà del mondo spionistico”. È quanto scriveva, a proposito del proprio lavoro, Mino Pecorelli, in un inconsapevole epitaffio che precedeva di circa due anni la sua morte. Forse, con questa citazione, paiono risolte le domande iniziali. Lo stesso Pecorelli era consapevole del suo ruolo, di essere un personaggio di “rottura”, sospeso tra i “centri di potere” e il “suo pubblico”. Sosteneva di essere un “giornalista libero, conscio dei compromessi e dei rischi connessi alla sua missione”: quella, cioè, di raccontare i rapporti dei vertici dello Stato, di svelare i retroscena dei “palazzi”, di rendere pubblico ciò che doveva rimanere segreto e misterioso.
Massimo Teodori, nella sua prefazione al libro di Rita Di Giovacchino, “Scoop Mortale, Mino Pecorelli storia di un giornalista kamikaze”, scrive: “...che a tutti gli effetti possiamo inscrivere nella grande tradizione americana dei muckrakers...”, riferendosi al giornalismo pecorelliano.
Una mina vagante che non risulta “organica” a nessun establishment di potere, a nessun gruppo ufficiale, semiufficiale o occulto. Certo Pecorelli ha mantenuto costanti rapporti con molteplici gruppi di potere, li ha difesi in varie occasioni ma, sottolineando la sua natura, li ha anche attaccati, pure ferocemente. Questo, come vedremo nel proseguo dell’elaborato, ci spinge a dire (e ribadire) come Pecorelli non può essere inscritto a nessun “partito” della Prima Repubblica, anche se il suo nome compare in molti “sottoscala, retrobottega e saloni del vecchio regime”. Seguendo le riflessioni di Teodori, possiamo iniziare una disamina circa le “pecorelliane investigazioni”, facendo riferimento al nostrano “giornalismo investigativo”, più che alla tradizione d’oltreoceano.
Partiamo con una definizione: “...a differenza della semplice ricerca, ad esempio, l’investigazione è fortemente connessa con la dimensione del rischio e della ritorsione. Il giornalismo investigativo non va confuso con la cronaca giudiziaria o con la cronaca nera, con il giornalismo d’opposizione o di denuncia, con lo scoop o la punditry, con il chequebook journalism o con la controinformazione, e soprattutto con l’inclinazione amatoriale a spulciare una verità tenebrosa...Di norma il giornalismo investigativo è un lavoro di gruppo: richiede un team, un project editor e soprattutto una professionalità caratterizzata da conoscenze precise in vari campi...richiede una cultura dell’investigazione e della legalità, del dettaglio e del riscontro, dell’indizio e della prova...è un tipo di giornalismo che, sulla base della competenza e non del semplice fiuto, tenta di scoprire meccanismi casuali, protagonisti nascosti, sconosciute successioni temporali e motivazionali...Vuole scoprire e ricostruire i fatti, non si limita ad una narrazione...è scomodo e impegnativo: procura spesso nemici e avversità, perché quella verità investigata è tenuta accuratamente nascosta da qualcuno che, come minimo, è pronto ad adire le vie legali per evitare che le proprie attività siano rese note...”. Senza nulla togliere agli altri modelli e tipi di giornalismo (come la nera, ad esempio, che ha reso celebri personaggi del calibro di Gadda, Sciascia, Pasolini e Camilleri), il giornalismo investigativo assume un rilievo particolare per il semplice fatto che unisce (o perlomeno dovrebbe unire) esperienze precise in vari campi “...sotto il profilo metodologico, sociologico, giuridico, per quanto riguarda la teoria della conoscenza, la sociologia delle comunicazioni, il diritto penale dell’informazione...”.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L'Op e Mino Pecorelli: un giornalismo tra investigazione e mistero

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Informazioni tesi

  Autore: Luca Signorini
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Media e Giornalismo
  Relatore: Andrea Pannocchia
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 121

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Parole chiave

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