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Il problema del Gender Gap - con caso studio dell'Arabia Saudita

Vestiario per le donne dell'Arabia Saudita

Per quanto concerne la scelta del guardaroba, per le donne dell'Arabia Saudita era obbligatorio indossare l'abaya, un vestito che le copriva fino ai piedi.
Ma dopo l'ascesa al trono del principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman, esse hanno solo l'obbligo di vestire in modo rispettoso, e quindi «sta a loro» scegliere come farlo. Il pudore per la donna rimane il protagonista indiscusso. Addirittura, alle donne non è permesso provare i vestiti prima di acquistarli, poiché il solo pensiero di una donna svestita dietro una porta di un camerino è troppo difficile da gestire per gli uomini102.
Anche le atlete sono "costrette" ad indossare abiti consoni, infatti quando l'Arabia Saudita ha inviato le proprie atlete ai Giochi di Londra per la prima volta, i religiosi della linea dura hanno denunciato le donne come "prostitute". Ben presto il velo da simbolo religioso ha assunto i connotati di una prigione, diventando lo strumento per esercitare la tirannia maschile. È opportuno specificare che all'interno del Corano non troviamo nessun versetto che impone l'obbligo del velo, ma vi è solo un invito alla modestia: «oh Figli di Adamo! Adornatevi, quando vi trovate in un luogo di preghiera qualsiasi, mangiate e bevete senza eccedere, perché Dio non ama gli stravaganti» (Corano VII,31). Anche nella Sunna viene indicato che nel il giorno del giudizio Dio guarderà benevolmente coloro che vestono con modestia. Solo per gli uomini si specifica cosa devono evitare di indossare: si parla di abiti d'oro o di seta. In poche parole, il Corano non tratta la questione del velo, e non prescrive un copricapo specifico femminile. Questo a differenza di quanto accade nel Nuovo Testamento, dove un'intera Epistola di San Paolo è dedicata all'abbigliamento femminile: «L'uomo non deve coprirsi il capo, poiché è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell'uomo [...] per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza». Si danno alle donne due opzioni: o coprirsi il capo o radersi i capelli. Tutto questo perché si considera la bellezza della donna pericolosa103.
L'unico termine che compare nel Corano è hijab, che indica una cortina, con lo scopo di proteggere le donne dagli occhi estranei. Una sorta di "tenda", cioè, che serviva per separare lo spazio pubblico dal privato. Con il tempo questa tenda divenne un capo di abbigliamento per le donne. Simbolo di «buona educazione», e scrigno delle «parti più belle»per la donna104. Si invitano le donne «ad abbassare lo sguardo e mostrare la loro bellezza solo al marito, ai fratelli, ai figli dei fratelli, alle sorelle, alle schiave servi maschi privi di genitali, o ai fanciulli che non notano le nudità delle donne, e non battano assieme i piedi sì da mostrare le loro bellezze nascoste»105.
Lo stesso invito di modestia è previsto anche per il sesso maschile, ma in questo caso non vengono indicate specifiche direttive. Essenza dell'hijab non è solo quella di un vestiario imposto dagli uomini per velare le proprie donne, il che svuoterebbe il termine dal suo significato originale. Ma già alla fine del XIX secolo, circolava l'idea di "liberazione della donna", poiché anche l'uso di determinati capi di abbigliamento sembravano ridurla ad una visione del mondo marginale, che non le permetteva di godere dei diritti positivi imposti dalla sharia106.
Ben presto il legame tra il velo e la politica iniziò a consolidarsi. Nacquero,così, i primi movimenti di emancipazione femminile, che lottarono e tuttora lottano per lo "svelamento" delle donne. Si parla di un femminismo islamico, che punta ad una nuova interpretazione dei testi sacri e, quindi, ad una rivendicazione dei diritti delle stesse. Questo tipo di femminismo, islamico e musulmano,a differenza di quello laico parte del presupposto che le rivendicazioni e le maggiori libertà debbano partire da un discorso religioso. Per le donne saudite il velo non rappresenta un ostacolo, anzi diventa simbolo di libertà, simbolo di libera scelta. Bisogna eliminare la lettura maschilista dei testi sacri e non l'uso del velo.
Ovviamente le donne dell'Arabia Saudita devono osservare un'altra accortezza, quella di indossare il burkini, un particolare costume da bagno, che copre interamente il corpo femminile. Anche questo capo di abbigliamento nacque come strumento di libertà, essendo stato creato per adeguare la tenuta balneare ai livelli di pudore di una donna musulmana. Con il burkini si cerca di non escludere il sesso femminile dallo spazio pubblico107, pensiero completamente opposto rispetto a quello delle femministe laiche che vedono gli obblighi di abbigliamento per le donne, non come una scelta ma un'imposizione dettata dalla povertà e dalla scarsa alfabetizzazione.

102 Maureen Dowd,Guida per una ragazza in Arabia Saudita, in "Vanity Fair", 2020
103 Valentina M. Donini, Il ruolo della donna nell'islam tra diritto e tradizione. Dal velo al burkini, in "Rivista Italiani di Conflittologia".
104 ibidem
105 contenuto in Corano XXIV, 31:
106 Valentina M. Donini, Il ruolo della donna nell'islam tra diritto e tradizione. Dal velo al burkini, in "Rivista Italiani di Conflittologia".

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il problema del Gender Gap - con caso studio dell'Arabia Saudita

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Informazioni tesi

  Autore: Ilaria Santamaria
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2022-23
  Università: Università degli Studi di Catania
  Facoltà: Lettere
  Corso: Lettere
  Relatore: Maria Sorbello
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 75

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femminismo
gender gap
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arabia saudita
patriarcale
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