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La redistribuzione del lavoro a parità di salario: l'ultima àncora di salvezza

Fin dalla crisi petrolifera degli anni Settanta, in Italia come in altri Paesi europei, si tenta di trovare una soluzione per tamponare gli eventi congiunturali negativi che influiscono in maniera significativa sull’occupazione e, quindi, sul reddito.
Lo slogan delle manifestazioni inizia ad essere «lavorare meno per lavorare tutti» e sia le piazze, che gli ambienti intellettuali, iniziano a riflettere sull’opportunità di redistribuire un lavoro, che una volta risolta la crisi, subentrando le innovazioni tecniche, inizia a richiedere sempre meno «energia muscolare».
La tesi ha inizio esaminando la prima timida forma di legislazione in materia, negli anni Ottanta, con i contratti di solidarietà. Attraverso un excursus storico, andremo ad analizzare le varie forme di contratti di solidarietà, ma anche il loro decollo, avvenuto solo a partire dal Duemila in poi ed il vincolo del tempo, oltre a quello della dotazione finanziaria prevista ogni anno al fine di permettere la stipulazione degli stessi e l’integrazione salariale per i lavoratori.
Arriveremo a dettagliare i contratti di solidarietà di espansione, introdotti con il Decreto Crescita di giugno 2019, che delineano una nuova modalità di agire per sindacati ed imprese, ma lasciano fuori dal proprio ambito piccole e medie realtà, seppur confermando la necessità di lavorare meno per mantenere alto il livello occupazionale di una data società. Un secondo step normativo per governare la precarietà, in attesa di una soluzione ideale o quantomeno duratura, lo abbiamo in Italia con l’introduzione del cosiddetto reddito di cittadinanza.
Nel Secondo capitolo, partendo da un quadro teorico, nazionale ed internazionale, entro il quale anche la proposta italiana trova riferimento, studieremo rapidamente la normativa ed i problemi concreti che molto probabilmente troverà l’applicazione della stessa.
Non sono, infatti, poche le difficoltà della messa in atto di questa legge; a partire dai navigators, precari che supportano i precari a trovare un’occupazione, fino ad arrivare a proporre a coloro che percepiscono il sussidio ben tre offerte di lavoro congrue.
Ma allora, come sostenevano gli ordoliberali, i lavoratori proletari aspirano alla povertà e non sono capaci di avere iniziative autonome per provvedere a sé stessi?
Perché se il presupposto del sussidio è che il lavoro effettivamente c’è, anche senza indirizzo esterno si poteva provare a cercarlo, invece di vivere di stenti prima di percepire il reddito.
Le forme inglesi e tedesche del reddito di cittadinanza, che hanno ispirato la normativa italiana, sembrano essere fallite.
E’ molto probabile che, a breve, serva una terza via per arginare la questione di quel lavoro che non c’è e, come scrive Mazzetti in "Quel pane da spartire". Teoria generale della necessità di redistribuire il lavoro, bisognerà valutare di redistribuire tra la popolazione il lavoro e non solo il reddito.Proprio nel terzo ed ultimo capitolo dell’elaborato, parleremo di questa ulteriore alternativa, che sembra essere un ritorno al passato, perché già esaminata e messa in atto da alcuni paesi europei, ma anche più volte proposta in ambito nazionale, e cioè lavorare meno per lavorare tutti, però a parità di salario.
Non tralasceremo di scrivere dell’ulteriore contrazione dei livelli occupazionali a causa del progresso tecnico. Quella che definiamo «terza via» potrebbe, inoltre, non essere in netto contrasto con le altre due esaminate ma, almeno in una prima fase ed in taluni casi, potrebbe coesistere con le stesse. E, del resto, la teoria o via citata, non è cosa nuova, almeno non in ambito internazionale, perché già nel 1930 la necessità di spartire il lavoro, come spiegheremo all’interno del nostro scritto, era stata preannunciata dal visionario economista Keynes in "Prospettive economiche per i nostri nipoti".

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CAPITOLO III LAVORARE MENO PER LAVORARE TUTTI, DA OPZIONE A NECESSITÀ 3.1 Alla ricerca del lavoro che non c’è. Gli effetti di un progresso che vogliamo In tempi non sospetti Aristotele scrisse che «Se ogni strumento potesse, a un ordine dato, lavorare da sé stesso, se le spolette tessessero da sole, se l'archetto suonasse da solo sulla cetra, gli imprenditori potrebbero fare a meno degli operai e i padroni degli schiavi». All’epoca era visionario pensare all’innovazione tecnologica come percorso di liberazione dell’uomo. Ma oggi? Oggi come ieri, la tecnologia è entrata a far parte delle nostre vite, ci pervade in ogni gesto che facciamo e non solo nella vita lavorativa, ma anche in quella casalinga. Siamo giunti ad un livello tecnologico strepitoso. Cose che sino a ieri erano inimmaginabili, ora sono possibili, dalla guida autonoma, alle auto elettriche, ai droni che consegnano pacchi nei giardini di casa in tempi record. Ma in che modo la tecnologia ha modificato le nostre vite ed in particolare lo sviluppo sociale umano? Ian Morris scrive 1 che lo sviluppo sociale umano è suddiviso in 4 punti: 1 I. MORRIS, Why the West Rules- For Now: The Patterns for History, and What They Reveal about the Future, Farrar, Straus and Giroux, New York 2010: pp. 71-74

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Informazioni tesi

  Autore: Stefano Franzè
  Tipo: Tesi di Master
Master in Esperto in relazioni industriali e di lavoro
Anno: 2019
Docente/Relatore: Silvia Spattini
Istituito da: Università degli Studi Roma Tre
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 49

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Parole chiave

sociologia del lavoro
diritto del lavoro
economia del lavoro
redistribuire il lavoro
lavorare meno, lavorare tutti!

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