come esperienza individuale e sociale al contempo, vada studiato 
secondo più logiche, con differenti punti di vista e sicuramente in base a 
svariati schemi contemporaneamente: quindi classificazioni flessibili dei 
soggetti e degli oggetti. 
In generale, nel Postmodernismo ciò che emerge fortemente è l’uomo e le 
nuove forme di socialità; diversi studiosi lo hanno per ciò identificato quale 
Nuovo Umanesimo, ossia  riscoperta di valori (antropologici, sociali e 
psicologici) fortemente e indissolubilmente legati all’essenza umana. Uno 
studio così impostato supera nettamente la dicotomia legata all’apparente 
contrasto “individuo/socialità”; lo sviluppo del postmodernismo corrisponde 
anzi al compimento di un processo di individualizzazione da una parte, ma 
anche da un ritorno alla ricostruzione del sociale attraverso la costituzione 
di “gruppi informali”. Tra i vari studi sinora effettuati, un valido e 
condivisibile punto di vista è quello legato al concetto di tribù, sostenuto da 
Michel Maffesoli e Bernard Cova, rispettivamente filosofo francese e 
teorico del tribalismo. Il concetto di tribù postmoderna richiama ad un 
insieme di individui che, nonostante caratteristiche socio-demografiche 
molto diverse, sono collegati da una stessa soggettività, passione, 
esperienza e, in quanto tali, capaci di azioni collettive vissute 
intensamente (benché effimere); il tutto viene “celebrato” in modo 
fortemente ritualizzato. Esso sipone quale utile strumento di studio 
sostitutivo del concetto di “stile di vita” (concetto di stampo prettamente 
moderno) che presupponeva un ragionamento di divisione e distinzione. 
La tribù nasce invece fortemente dinamica e mutevole ed inoltre muta 
l’ottica di analisi da una logica di divisione ad un mero atto di 
identificazione con una o più comunità contemporaneamente, in una 
determinata frazione di tempo caratterizzata dalla condivisione delle 
esperienze e da interazione fra i soggetti che vi partecipano. Nelle tribù 
postmoderne gli individui sembrano cercare nel consumo, non tanto un 
mezzo diretto per dare un significato alla propria vita, liberandosi dagli 
altri, quanto piuttosto un mezzo per legarsi agli altri nel quadro di una o più 
comunità di riferimento.  
 5
Il postmoderno, o meglio l’uomo postmoderno, sa coniugare l’innovazione 
con l’autenticità, l’ordine con il caos, la globalizzazione con la 
localizzazione, il moderno con la tradizione, l’unificazione con la 
frammentazione, il progresso con il regresso. È quindi, per definizione, la 
sintesi degli opposti, realizzata con estrema duttilità e flessibilità. Si parla 
anche di “polimorfismo” e di “camaleontismo”. E’ particolarmente 
suggestiva la metafora di Popper al fine di designare l’evoluzione insita nel 
paradigma postmoderno: “stiamo passando da un mondo degli orologi – 
deterministico, ordinato, prevedibile – ad un mondo delle nuvole – 
irregolare, sfrangiato, mutevole, cangiante, caotico, imprevedibile”. 
 6
I. IL POSTMODERNISMO 
 
I.  Introduzione 
Con lo scoccare del nuovo millennio si è inaugurata una nuova era: l’era 
postmoderna. Essa, di fatto, segna il superamento della Modernità. 
Secondo uno dei maggiori studiosi, Lyotard, l’ipotesi postmoderna si 
innesterebbe dopo l’era pre-moderna datata 500-1500 d.C. e quella 
moderna, risalente al periodo che va dal 1500 fino agli anni 2000
1
. Quindi 
inizia, ufficialmente e convenzionalmente, con il XXI secolo l’epoca 
postmoderna.  
Contraddistingue l’era contemporanea non soltanto una precisa presa di 
distanza dalla razionalità – quale dogma della società moderna – ma 
anche la ricerca di forme di razionalità più coerenti all’oggi, ossia una 
“iper-razionalità” che riesca ad includere aspetti ritenuti finora irrazionali 
(come le emozioni, l’apparenza, il piacere dei sensi). “Alla comprensione 
della vita sociale occorre esercitarsi ad integrare la legittimazione dei 
piaceri”, decretò Foucault. L’interesse per l’apparenza rappresenta un 
archetipo significativo, dove per apparenza si deve intendere la superficie, 
l’esterno che non esclude a priori – e non è nemmeno oppositivo – 
l’interno, il contenuto, l’essere. Non vi è niente cioè di assimilabile alla 
contrapposizione di Fromm tra avere ed essere. Se nella Modernità 
l’apparenza era apostrofata se non come disvalore, certamente come una 
dimensione in-autentica e di cui diffidare, recentemente essa ha assistito 
ad un incremento di consensi e d’interesse. Il rifuggire dal concetto 
moderno di razionalità, ma anche da quello di ordine, significa orientare la 
visuale verso la metafora del “labirinto” come allegoria della nuova 
complessità. E’ comunque una complessità che sottende un nuovo ordine, 
sia pure celato. 
Così come le economie entrano nell’era post-industriale, le società e le 
culture sono entrate nell’epoca postmoderna, pertanto il postmodernismo 
attiene principalmente alle modalità di costruzione e di definizione della 
propria identità. 
                                            
1
 Nonostante l’ultimo secolo, il XX, sia da intendere come periodo tardo-moderno, “Giano 
bifronte” tra l’era moderna e quella postmoderna. 
 7
Nella Postmodernità, l’identità monolitica e coerente viene presentata 
come rigida e monotona, povera, non creativa, inadatta ad un mondo 
poliedrico e ricco di opportunità per il quale occorre inventare ogni giorno 
schemi di adattamento nuovi. Viene alimentato un modello ideale di 
personalità multipla, di identità fungibili, una per ciascun contesto di 
esperienza individuale e sociale. Si configura così un’identità “pendolare”, 
ossia l’individualità mutevole in relazione a luoghi, fattori ed interlocutori 
del momento. Lo specifico dell’odierno contesto sta nella continua e rapida 
ri-equilibrazione degli aspetti della identità e dell’integrazione Io-Sé a 
seconda del contesto, della capacità di attivare diversi copioni situazionali 
passando da uno scenario all’altro, anche più volte nel corso della 
giornata, senza per questo sperimentare disagio o crisi identitaria.  
Per Derrida, altro insigne studioso del postmoderno, è il collage la forma 
principale del linguaggio odierno perché le identità sono molteplici e 
altrettanto molteplici sono le maschere della teatralità quotidiana, le quali 
rifuggono da classificazioni. L’uomo non è più inquadrabile in un 
paradigma statico e inamovibile, ma facendosi protagonista nella 
costruzione della propria identità, sceglie il “ruolo” che desidera recitare e 
decide anche di metamorfosare tale “ruolo” in base alle circostanze nelle 
quali si trova ad operare. L’agire dell’individuo ha a disposizione diverse 
opportunità che contribuiscono tutte a strutturarne l’identità in maniera 
flessibile e variegata. L’individuo rinuncia a darsi forme stabili e definitive, 
precodificate e inamovibili così che il self sia fluido, multiforme e 
autonomo. 
La consapevolezza condivisa dei condizionamenti da parte degli altri sulla 
nostra personalità finisce per legittimare la flessibilità, l’instabilità. Siffatta 
soggettività è accettata e percepita come fisiologica, perdendo 
definitivamente l’obsoleta visione patologica: non è più sinonimo di 
alienazione del sé bensì repertorio di possibilità da utilizzare 
periodicamente.  
Non si tratta di un mutamento di paradigma presente solo nella visione 
socio-psicologica. Gli scienziati ci parlano ormai non più di un universo 
fisico ma di un “multi-verso” quantico, mettendo in discussione la 
 8
concezione del tempo e dello spazio lineari; un “multi-verso” in cui pare 
avere ben poco senso una personalità irrigidita e monolitica.  
Così Lyotard descrive il nuovo corso: “Postmodernity is sinergy between 
archaism and techcnological development”, riuscendo quindi a coniugare 
l’innovazione con le relazioni interpersonali, la libertà con il tribalismo. È 
un “ri-radicamento” moderno, antitetico allo sradicamento dell’epoca 
precedente. Non più quindi individualismo ma “tribù”, ossia comunità di 
individui, spesso effimere ma fortemente interrelate da emozioni 
condivise,  rituali stabiliti ed intensi collegamenti. In primo piano non viene 
quindi posto l’individuo bensì la partecipazione a “qualcosa” di collettivo, 
restituendo significato alla dimensione comunitaria e selvaggia 
dell’esistenza. 
Ecco che la Postmodernità si pone allora come era della 
multidimensionalità dell’uomo, capace di sintetizzare gli opposti (ossia il 
moderno con la tradizione, l’innovazione con l’autenticità, l’ordine con il 
caos, la globalizzazione con la localizzazione, l’unificazione con la 
frammentazione, il progresso con il regresso). Vale la metafora di Popper 
per descrivere la nuova società: “stiamo passando da un mondo degli 
orologi – deterministico, ordinato, prevedibile – ad un mondo delle nuvole 
– irregolare, sfrangiato, mutevole, cangiante, caotico, imprevedibile”. Essa 
riassume bene i tratti della complessità e di turbolenza.  
 
 
II.  Le fondamenta filosofiche al postmodernismo 
Esiste una Postmodernità nell’arte figurativa e pittorica (Pop Art, 
Duchamp, Andy Warhol, Rauschenberg, Lichtenstein), nell’architettura 
(Venturi, Rossi, Bofill, Portoghesi) così come nella sociologia (Calabrese, 
Maffesoli), nella musica, nel cinema e persino nella letteratura e nel 
design. Questi però sono solo le realizzazioni pragmatiche perché il 
postmodernismo nasce, ufficialmente, come corrente filosofica ed è 
proprio in tale disciplina che si ritrovano gli spunti più eloquenti e le basi 
portanti degli sviluppi futuri. 
In ambito filosofico le tematiche postmoderne dominano il dibattito, 
soprattutto negli anni Ottanta. Innanzi tutto è il filosofo francese Jean-
 9
Francois Lyotard a dedicare per primo un saggio complessivo al 
fenomeno, dal titolo La condizione postmoderna, nel 1979. In quest’opera 
l’autore afferma che tutte le teorie generali di spiegazione della storia, 
della natura o del mondo nate fin dalle origini della Modernità, non 
costituiscono altro che delle metanarrazioni del mondo. Si tratta, cioè, di 
costruzioni che cercano di incasellare tutto il reale entro paradigmi precisi, 
ma che sono messe in crisi dal continuo sorgere di pluralità ed elementi 
irriducibili a questi schemi. Pertanto il nuovo sapere e la nuova razionalità 
segnano il superamento dei modelli unitari e universali, per essere 
compositi, pluralisti e regionalizzati, caratterizzati da logiche differenti per 
ogni settore del reale. E’ infine interessante notare che Lyotard non ritiene 
il postmoderno un periodo, ma una caratteristica intrinseca di certe opere.  
L’autore che tuttavia diventa per molti teorici del postmoderno un punto di 
riferimento ineludibile è un altro filosofo francese, Jacques Derrida. Ciò 
accade in particolar modo negli Stati Uniti, dove la sua opera risulta 
essere ispiratrice di una scuola di critica letteraria detta 
decostruzionismo. Infatti, benché il pensiero di Derrida si innesti su 
tematiche ontologiche di ascendenza heideggeriana, è il suo particolare 
metodo di approccio e di lettura dei testi, detto appunto decostruzione, che 
suscita interesse e seguito, in quanto viene recepito come un modello 
interpretativo più libero rispetto all’analisi formale dei testi propugnata 
dallo strutturalismo.  
In Italia è possibile ricondurre alla temperie postmoderna l’opera del 
filosofo Gianni Vattimo, il quale è un teorico del pensiero debole e della 
fine della storia. Con l’espressione “pensiero debole” Vattimo, allude ad 
un tipo di riflessione che, partendo da basi relativistiche o perlomeno non 
caratterizzate da un fondamento teorico forte, è più adatta a cogliere gli 
aspetti della realtà e l’eredità della storia occidentale proprio perché libera 
da ipoteche dogmatiche. Nella sua opera “La fine della Modernità” si dà 
grande rilevo all’arte, perché nel mondo postmoderno l’esperienza della 
verità è di tipo estetico. I teorici del postmoderno si richiamano in 
particolare al pensiero di Friederich Nietzsche (1844-1900) e di Martin 
Heidegger (1889-1976). Più specificamente, nel pensiero di Nietzsche 
vengono sottolineate la critica alle grandi costruzioni teoriche ed 
 10
antropocentriche della cultura occidentale, l’antisistematicità del pensiero 
ed il tema della leggerezza, contrapposto all’intellettualismo della 
tradizione occidentale. In Heidegger si cercano le basi per una critica o 
meglio per un dissolvimento del concetto di soggetto.  
Analizzando con maggiore precisione il pensiero filosofico, se ne deduce 
che i tratti fondamentali che lo caratterizzano sono la totale accettazione 
della caducità, della frammentazione, della discontinuità e del caos; ad 
una prima vista appaiono similari a quelli identificati anche da Baudelaire 
così come da altri pensatori moderni. La differenza, fondamentale, risiede 
nel fatto che il postmodernismo, rispetto al modernismo, non vuole in 
nessun modo contrastare o risolvere questa visione della vita e del mondo 
e neppure tenta di rinvenire qualche elemento "eterno ed immutabile" che 
potrebbe essere nascosto dietro questo divenire incessante di tutte le 
cose. Anzi, il postmodernismo addirittura si trova a proprio agio nelle 
correnti frammentarie e caotiche del cambiamento. 
Conseguente a questa posizione è l'adozione del montaggio, del collage, 
da parte del linguaggio postmoderno. Ciò che viene chiamato in causa e 
denunciato sono le illusioni dei sistemi fissi e definitivi di interpretazione. 
Di qui il richiamo a sviluppare pensieri e azioni per giustapposizione, 
disgiunzione, discontinuità, preferendo ciò che è multiplo e non definito 
rispetto all'uniformità, all'unità, alla sistematicità. Scrive Michel Foucault, 
tipico rappresentante di questo pensiero, che bisogna "credere che ciò 
che è produttivo non è stanziale, ma nomade". 
Legato all'importanza attribuita alla diversità e alla rottura dell'unità, 
emerge fortemente il rifiuto della tesi che vi possano essere una 
metateoria o una metanarrazione (ampi schemi interpretativi come quelli 
totalizzanti, ad esempio di Freud) attraverso le quali mettere in relazione e 
rappresentare tutte le cose. Le verità universali ed eterne, se esistono, 
non possono essere individuate e specificate. Condannando le metateorie 
proprio in quanto totalizzanti, si insiste sulla pluralità e centralità delle 
diverse tradizioni di pensiero, delle diverse forme discorsive e dei differenti 
giochi linguistici. Lyotard definisce il postmodernismo come "incredulità nei 
confronti delle metanarrazioni". 
 11
Lo spazio del postmodernismo è, quindi, uno spazio in cui coesistono e si 
sovrappongono un gran numero di mondi possibili e diversi, che fanno 
scaturire uno specifico di personalità definito come "schizofrenico", non in 
senso strettamente clinico, ma in quell'accezione che riprende gli aspetti di 
frammentazione ed assenza di progettualità che definiscono il soggetto 
postmoderno. Si potrebbe dire, quindi, che nell'era postmoderna 
l'alienazione del soggetto (condizione propriamente moderna) viene 
sostituita dalla frammentazione del soggetto. 
Visto finora quali siano le caratteristiche del postmodernismo e come esso 
sembri nascere dalla reazione a quelli che erano stati gli esiti della 
Modernità e della sua crisi, è necessario chiedersi, allora, se il 
postmodernismo rappresenti effettivamente una frattura nei confronti della 
Modernità, oppure se sia solamente una rivolta interna alla Modernità 
stessa. Un primo aspetto di continuità tra Modernità in crisi e 
postmodernismo è riscontrabile nel fatto che entrambi hanno voluto 
sottolineare quell'aspetto di oscillazione, instabilità che caratterizza la vita 
ed il mondo. Entrambi, cioè, hanno riconosciuto quella metà della 
definizione di Baudelaire che parlava del fuggitivo, del contingente ossia 
del “flusso ininterrotto del divenire”. In questo senso è possibile riferire ai 
due movimenti una prospettiva e una visione della realtà di tipo 
pluralistico. La differenza, invece, risiede nell'atteggiamento assunto nei 
confronti dell'affermazione del divenire di tutte le cose. Mentre la 
Modernità in crisi voleva comunque cogliere al di sotto del divenire una 
realtà unitaria, anche se complessa e multiforme, il postmodernismo, 
invece, rinuncia completamente a tale ricerca e si immerge totalmente 
nell'infinità delle differenze e dei cambiamenti. Il postmodernismo si è 
preoccupato per tutto ciò che era complessità, differenza (di luoghi, 
culture, mondi, voci), rifiutando il ricorso alle metateorie e metanarrazioni 
che, se anche sottolineavano l'importanza delle differenze, potevano 
cogliere solo quelle più macroscopiche. Se entrambi i movimenti 
propongono visioni della realtà pluralistiche, solo il postmodernismo è 
anche fortemente relativista, proprio perché non vi è più alcun centro a cui 
riportare le diverse posizioni. 
 12
La “forza positiva” del postmodernismo si ritrova nella sua capacità di dar 
spazio alla complessità, alla diversità, alla coesistenza di culture, 
tradizioni, luoghi, persone, abitudini differenti. È la volontà di riconoscere 
anche altri punti di vista, a considerare le molteplici forme della diversità 
che emergono dalle differenze di soggettività, sesso, classe, 
localizzazione geografica, ecc. 
 
III. La modernità 
L’era moderna convenzionalmente è collocata tra il XVI ed il XX (sul finir 
del quale si innesta l’era tardo moderna).  Dal punto di vista storico, la 
Modernità ha fatto il suo ingresso nella storia con il Rinascimento, come 
forza trainante che prometteva la liberazione individuale dall’ignoranza e 
dall’irrazionalità (ossia dalla tradizione). Nonostante si dimostrassero 
particolarmente tenaci le istituzioni tradizionali nel sostegno delle 
convinzioni arcaiche, l’uomo moderno ha lottato a lungo per realizzare 
l’ideale illuminato dell’individuo affrancato da ogni costrizione sociale. La 
Modernità è così riuscita ad opporre la nozione di contratto sociale
2
 a 
quella tradizionale di comunità
3
. L’individuo è diventato l’essenza 
dell’idea di Modernità e quindi l’azione individuale è stata guidata dalla 
differenziazione e non dall’idea di comunità. Alle nuove istituzioni
4
 si è 
fatto appello per distaccarsi dalle comunità – considerate retaggi 
medievali.  
Ha opposto quindi l’intimità, l’emozione, l’opacità e la vicinanza delle 
relazioni tradizionali – fondate sull’idea di comunità – all’impersonalità, alla 
razionalità, alla trasparenza e all’universalità delle relazioni moderne, 
fondate sull’utilitarismo e sull’economia. “La Modernità non conosce vicini” 
come scriveva duramente Disraeli nella sua allegoria politica Sybil. 
L’isolamento individuale è diventato preponderante nelle grandi città. 
Le fondamenta ideologiche sono quindi poste nel periodo Illuminista, con 
un forte influsso dato dalla Rivoluzione Industriale e dal conseguente 
Positivismo. Era l’epoca della società di massa, come effetto primo 
                                            
2
 Una scelta volontaria e reversibile che ogni individuo può compiere, di associarsi ad altri 
individui in un ambito limitato. 
3
 Obbligo subìto, irreversibile e illimitato per ciascuno dei membri del gruppo. 
4
 Aggregazioni razionali e semiuniversali di legami impersonali fra individui, come lo 
Stato-nazione o la classe sociale. 
 13
dell’incremento demografico indotto, a sua volta, dal miglioramento nelle 
condizioni di vita frutto della Rivoluzione Industriale; da una tale fattispecie 
di società non poteva che discenderne una produzione ed un consumo 
massificante ed indifferenziato, omogeneo e standardizzato. La religione 
protestante, nata dalla riforma omonima, forniva una base etica e 
teologica al capitalismo industriale; religione che intanto si andava sempre 
più scindendo dalla politica.  
E’ nella Modernità che le comunità piccole, legate da stretti vincoli cedono 
il passo a più fredde ed impersonali forme d’aggregazione. Così la 
famiglia, che da patriarcale diverrà nucleare, così le corporazioni artigiane 
che saranno soppiantante definitivamente da organismi istituzionalizzati. 
A fronte di questo scenario, appare intuitivo il collegamento della 
Modernità con il razionalismo, inteso non solo come concretezza del 
pensiero logico ma anche come valore che rigetta la tradizione, invocando 
invece la massima efficienza e l’estrema produttività. 
Con il XIX secolo prendono vigore le critiche a molte certezze tradizionali, 
sì da muovere un piccolo passo nella direzione del Relativismo morale, 
ossia l’atteggiamento secondo il quale non si può dimostrare che un 
sistema etico-valoriale sia migliore di un altro, ma solo che è differente. 
Sotto queste influenze (che minano i modi di vedere il mondo con semplici 
e rassicurantemente egocentrici dogmi) nacque e si diffuse un nuovo 
sistema metafisico: il Pragmatismo. Al cuore dell’epistemologia pragmatica 
si situava il rifiuto scettico delle verità come principio universalmente 
valido. Sono tutti passi, seppur piccoli, verso il postmodernismo.  
La Modernità, quindi, fondava la sua genesi nel concetto di progresso 
(e, per corollario, la fiducia nella liberazione da ciò promessa) nell’ipotesi 
che si trattasse della “strada maestra“ per giungere ad un futuro radioso, 
carico di libertà e portatore di felicità. Forte della moltitudine di persone 
che hanno smesso di credere in un fulgente avvenire dominato e guidato 
dal progresso, forte anche dello sgretolamento delle utopie e naufragata la 
ricerca di certezze, è sorta l’attuale epoca. Essa è da intendersi non come 
momento conclusivo della Modernità bensì come inizio di un nuovo ciclo. 
È qui opportuno premettere che la visione postmoderna della realtà 
 14
contemporanea non è ovunque condivisa nonostante essa sia però 
culturalmente egemone e diffusa. 
 
IV.  La postmodernità 
La Postmodernità è la direzione verso la quale ci siamo avviati; sia che la 
si definisca come nuovo “episteme” (non propriamente nell’accezione di 
Foucault, ossia come cesura rispetto al passato) e come nuovo 
paradigma, esso si presenta come l’evoluzione di una società, come 
transizione piuttosto che come approdo ad una società completamente 
nuova. Nuovo paradigma nel quale l’attore sociale isolato, atomizzato, a-
sociale, che interagisce con gli altri unicamente in conformità a provvisori 
rapporti contrattuali, artefice della propria solitudine e tutto proteso al 
perseguimento egoistico d’obiettivi di consumo è un lascito della 
Modernità che la Postmodernità non accoglie affatto.  
Il già citato Maffesoli, filosofo d’oltralpe, rileva al proposito che “quello che 
viene comunemente denunciato come declino del politico, disaffezione 
alla vita pubblica, fine dei grandi ideali collettivi non coincide affatto con il 
trionfo dell’individualismo e con la fine della società tout court ma con il 
rinascere della “socialità” in forme nuove che testimoniano il permanere 
vitale e potente della Gemeinschaft dentro l’apparente disgregazione del 
corpo sociale; in forme cioè non più contrattali e progettuali, ma 
spontanee, quotidiane ed empatiche il cui fine è unicamente quello 
dell’essere insieme, del condividere un’esperienza o un sentimento 
comune”.  
Il consumo diviene una forma di “meta-linguaggio” (consentendoci di 
comunicare le nostre scelte, il nostro essere) o addirittura come forma di 
“iper-testo” consentendo di veicolare messaggi, con i quali l’individuo parla 
di se stesso, sfumando così i suoi significati più tangibili e razionali (legati 
al binomio prezzo-reddito). L’era postmoderna vede il protagonismo di un 
uomo eclettico, orientato al “case by case approach” nelle sue scelte, 
generando così modelli di consumo più simili ad un patchwork 
costantemente cangiante e mutevole che alla trama lineare cui eravamo 
abituati. L’eclettismo ed il sincretismo appaiono quali dimensioni 
portanti della nuova realtà sociale. 
 15