1. INTRODUZIONE Tutti gli alimenti si alterano attraverso un naturale processo di invecchiamento chiamato 
deterioramento. Per migliaia di anni le persone hanno utilizzato tecniche come 
l’essiccamento, la salagione e l’affumicamento per fronteggiare l’alterazione dei cibi e 
prolungare nel tempo la loro conservabilità, periodo nel quale l’alimento è sicuro, 
apprezzabile e nutriente. La conservazione dei prodotti quindi è legata al mantenimento da 
parte dell’alimento stesso delle caratteristiche proprie di qualità igienico-sanitaria, 
commerciale e organolettica. 
I  microrganismi sono stati riconosciuti essere i principali responsabili dell’alterazione e 
trasformazione delle derrate alimentari. In un secondo momento apparve chiaro come 
l’attività microbica fosse mediata da enzimi, molecole di natura proteica, presenti in tutte 
le cellule, o da queste prodotte e secrete, con funzione di catalizzatori, indispensabili per lo 
svolgersi di qualsiasi reazione metabolica. Sono state individuate anche altre cause di 
alterazione degli alimenti come reazioni puramente chimiche, non mediate da enzimi, che 
insieme agli agenti fisici contribuiscono in maniera sostanziale al deterioramento delle 
sostanze alimentari. Riassumendo è possibile schematizzare le cause di alterazione degli 
alimenti in due gruppi: cause biologiche che comprendono enzimi presenti nell’alimento 
stesso e microrganismi; cause fisico chimiche, che invece comprendono ossigeno, 
radiazioni, calore, variazioni del contenuto idrico. 
Avvicinandoci ai nostri giorni, l’affermazione di un mutato stile di vita generato da tempi 
molto frenetici, dall’inserimento della donna nel mondo del lavoro, dall’aumento dei pasti 
fuori casa, la globalizzazione dei prodotti alimentari, l’esigenza di dedicare poco tempo in 
cucina, hanno introdotto la necessità di disporre sempre più di prodotti predisposti all’uso 
nel breve periodo (es. verdure già lavate), ma anche di prodotti precucinati di natura 
complessa. Tutto questo ha portato ad un’inarrestabile evoluzione dei metodi di 
conservazione degli alimenti che hanno l’obbiettivo comune, attraverso diverse azioni, di 
creare un ambiente sfavorevole alla vita, allo sviluppo e all’attività dei microrganismi, 
agendo sui fattori che influenzano la vita di questi ultimi.
Tra i metodi più usati si annoverano l’utilizzo delle basse temperature (refrigerazione e 
congelamento), l’uso del calore (pastorizzazione e sterilizzazione), i trattamenti chimici 
(ossido di etilene), l’uso di radiazioni elettromagnetiche (raggi UV, X, γ) e l’utilizzo delle 
alte pressioni. 
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Le tradizionali metodiche di decontaminazione e sterilizzazione tuttora utilizzate dalle 
industrie agro-alimentari, se da una lato risultano essere efficaci ed economiche dall’altro 
spesso compromettono l’uso o il tempo di vita dei prodotti (denaturazione delle proteine, 
decadimento delle vitamine termolabili) poiché, utilizzando il calore come mezzo per 
contenere il carico microbico, spesso richiedono ore per raggiungere lo scopo. Sempre più 
pressante è pertanto la richiesta di metodi alternativi che risultino meno invasivi (in termini 
di mantenimento delle proprietà nutrizionali e funzionali degli alimenti) ma sicuramente 
altrettanto efficaci per l'abbattimento della carica microbica, e che garantiscano la 
conservazione dei prodotti e la loro disponibilità nel tempo.
In questo contesto, tra le tecnologie più interessanti e promettenti dal punto di vista 
applicativo vi sono i trattamenti al gas plasma. L’analisi critica della letteratura testimonia 
come l’efficacia di questa tecnologia sia applicabile ai più diversi settori industriali 
(microelettronica, tessile, decorazione, cartario, beni culturali, packaging farmaceutico, 
imballaggi industriali) tra cui quello alimentare, su cui si stanno concentrando svariati 
ambiti di ricerca.
Il plasma appartiene a quella categoria di tecniche di disinfezione “non termiche” e 
chiamate AOP (Advanced Oxidation Process), considerate “tecniche pulite” poiché 
prodotte da una piccola quantità di specie chimiche e che utilizzano ozono, perossido di 
idrogeno e raggi UV, specie reattive dell’ossigeno e radicali liberi tra cui OH·, O
2
· e H
2
O
2
. 
Tra le tecniche AOP ci sono anche gli ultrasuoni (usati per i trattamenti di disinfezione 
dell’acqua e del cibo), l’ozono (utilizzato anch’esso per il trattamento delle acque), la 
fotocatalisi (usata per il trattamento dell’aria e dell’acqua).
Numerosi studi di letteratura hanno dimostrato la capacità del plasma di inattivare in pochi 
minuti i microrganismi senza avere gli inconvenienti dei metodi ad alta temperatura. 
Infatti, grazie alla sua composizione (fotoni, ioni, elettroni, radicali UV, radicali liberi 
ROS), la sterilizzazione al plasma opera in modo diverso e più accurato rispetto agli altri 
metodi: i microrganismi vengono sottoposti ad un bombardamento da parte di radicali 
liberi prodotti dalla miscela del plasma che causano lesioni sulla membrana cellulare che le 
cellule non riescono a riparare, distruggendosi così molto rapidamente. In opportune 
condizioni operative, questa tecnica può agire a temperature relativamente basse (<50°C), 
con una raffinata selezione della potenza permettendo di raggiungere risultati ottimali. 
Numerose ricerche scientifiche hanno dimostrato la capacità del plasma di distruggere 
anche  microrganismi molto resistenti, come ad esempio i batteri sporigeni ed i funghi oltre 
a Stafilococcus aureus, Clostridium perfrigens, Salmonella spp., Listeria monocytogenes, 
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Vibrium paraemoliticus, Bacillus cereus, Escherichia coli entero-emorragico, responsabili 
di più del 90% dei casi di avvelenamento da cibo e capaci di sopravvivere per lunghi 
periodi di tempo in condizioni avverse e a temperature di refrigerazione.
Tuttavia, a fronte di tanti aspetti positivi associati alla tecnologia del plasma, solo di 
recente essa ha iniziato ad essere sperimentata in laboratorio per la decontaminazione dei 
prodotti finiti e/o materie prime o materiali da imballaggio senza però essere ancora 
utilizzata nel settore alimentare della realtà industriale italiana. 
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2. LA CONSERVAZIONE DEGLI ALIMENTI Il deterioramento dei cibi e delle derrate alimentari costituisce un problema che l’uomo, da 
tempi immemorabili, sta cercando di risolvere. Per conservare il più a lungo possibile i 
raccolti stagionali, i prodotti dell’allevamento, i bottini di caccia sono stati impiegati per 
millenni la cottura, l’affumicamento, la salagione, la trasformazione di alimenti deperibili 
in altri più stabili e altre tecniche più o meno rudimentali. Le prime industrie di 
conservazione nacquero in Europa nel 1900; ciò, se da una parte fu reso possibile dai 
progressi scientifici e tecnologici, dall’altra fu determinato dalle esigenze di una società 
che stava cambiando radicalmente il proprio modo di vivere: lo spopolamento delle 
campagne, la nascita di grandi centri cittadini, allontanavano sempre di più il consumatore 
dai luoghi di produzione. Trasferiti a livello industriale, anche i metodi tradizionali, oltre a 
quelli più innovativi, acquistarono fondamenti scientifici: occorreva conoscere bene le 
cause dell’alterazione degli alimenti per poterle contrastare o eliminare danneggiando il 
meno possibile i prodotti. Durante il XIX secolo, grazie agli studi e alle scoperte di 
numerosi scienziati, primo fra tutti Pasteur, i microrganismi vennero riconosciuti come i 
principali responsabili dei fenomeni di alterazione e trasformazione delle sostanze 
organiche. In un secondo momento apparve chiaro come l’attività microbica fosse mediata 
da enzimi, molecole di natura proteica, presenti in tutte le cellule, o da queste prodotte e 
secrete, con funzione di catalizzatori, indispensabili per lo svolgersi di qualsiasi reazione 
metabolica. Sono state individuate anche altre cause di alterazione degli alimenti come 
reazioni puramente chimiche, non mediate da enzimi, che insieme agli agenti fisici 
contribuiscono in maniera sostanziale al deterioramento delle sostanze alimentari. 
Riassumendo è possibile schematizzare le cause di alterazione degli alimenti in due gruppi: 
cause biologiche che comprendono enzimi presenti nell’alimento stesso e microrganismi; 
cause fisico chimiche, che invece comprendono ossigeno, radiazioni, calore, variazioni del 
contenuto idrico. 
Avvicinandoci ai nostri giorni l’affermazione di un mutato stile di vita generato da tempi 
molto frenetici, dall’inserimento della donna nel mondo del lavoro, dall’aumento dei pasti 
fuori casa, la globalizzazione dei prodotti alimentari, l’esigenza di dedicare poco tempo in 
cucina, hanno introdotto la necessità di disporre sempre più di prodotti predisposti all’uso 
nel breve periodo (verdure già lavate), ma anche di prodotti precucinati di natura 
complessa. Tutto questo ha portato ad un’inarrestabile evoluzione dei metodi di 
conservazione degli alimenti che hanno l’obbiettivo comune, attraverso diverse azioni, di 
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creare un ambiente sfavorevole alla vita, allo sviluppo e all’attività dei microrganismi, 
agendo sui fattori che influenzano la vita di questi ultimi: 
-  temperatura: la maggior parte dei microrganismi sono mesofili, quindi la temperatura di 
crescita è 30-37°C.
-  ph: la maggior parte dei batteri patogeni preferisce un ambiente a ph neutro.
- activity water (Aw): indica la quantità di acqua libera disponibile per la crescita 
microbica.
- potenziale redox: indica il grado di ossidazione di un alimento ed è in relazione 
all’ossigeno contenuto nell’alimento ed alla respirazione dei batteri (aerobi, anaerobi).
- sostanze antimicrobiche naturali: alcuni alimenti contengono naturalmente sostanze 
antimicrobiche (es. acidi negli agrumi).
Facendo una veloce rassegna dei metodi più utilizzati partiamo dall’utilizzo delle basse 
temperature che consentono di conservare più a lungo gli alimenti grazie al fatto che 
rallentano le reazioni enzimatiche e chimiche. Il freddo rallenta, fino ad arrestare, l'attività 
enzimatica ma, non disattiva gli enzimi (al contrario del calore), che riacquistano le loro 
proprietà quando la temperatura aumenta. Possiamo trattare gli alimenti attraverso la 
refrigerazione cioè ad una temperatura di poco superiore allo zero, la durata degli alimenti 
è variabile e limitata perché il trattamento refrigerante inibisce la crescita di mesofilli e 
termofili e rallenta l’attività degli psicrofili; si osservano scarse alterazioni strutturali degli 
alimenti, conservando il valore nutritivo (perdita di vitamina C). Se si utilizzano 
temperature più basse come -18/-20°C (congelamento) otteniamo il blocco della 
moltiplicazione microbica. Il congelamento lento, cioè in un tempo superiore alle quattro 
ore, porta alla formazione di grandi cristalli di ghiaccio che causano lo sfondamento delle 
pareti cellulari ed alterazioni tissutali durante lo scongelamento, essudazione di liquido e 
perdita di nutrienti; il congelamento veloce invece, che determina un rapido abbassamento 
della temperatura fino a -18°C in un tempo massimo di quattro ore, porta alla formazione 
di piccoli cristalli di ghiaccio che durante lo scongelamento non vengono rilasciati sotto 
forma di acqua permettendo all’alimento di mantenere l’aspetto iniziale e le caratteristiche 
organolettiche. 
Associando al trattamento refrigerante la modifica della composizione chimica 
dell’atmosfera che circonda l’alimento, si può prolungare notevolmente la vita dei prodotti. 
Si può utilizzare un’atmosfera controllata dove il tenore di ossigeno viene mantenuto al di 
sotto del fabbisogno respiratorio del prodotto, sostituendolo con azoto e anidride carbonica 
e questa è una tecnica utilizzata in particolar modo per la frutta e la verdura. La 
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conservazione sotto vuoto utilizza sacchetti di cloruro di polivinile che immersi per 
qualche secondo a 90°C aderiscono perfettamente alle superfici poiché sono termoretraibili 
e  con questa tecnica si conservano principalmente carni fresche e insaccati. Si possono 
utilizzare atmosfere controllate a base di ossigeno, azoto e anidride carbonica, gli ultimi 
due gas  inibiscono in particolare la formazione di muffe, batteri, lieviti e l’alterazione dei 
lipidi nella frutta, verdura e cereali.
I trattamenti che utilizzano il calore sono pastorizzazione e sterilizzazione. La prima è un 
trattamento di bonifica microbica che si prefigge di distruggere tutti i microrganismi 
patogeni e la flora microbica non sporigena presente, visto che non si raggiungono 
temperature sufficienti a distruggere i termofili e le spore, la pastorizzazione è seguita da 
un rapido raffreddamento del prodotto. Si suddivide in bassa pastorizzazione (60-65°C per 
30 secondi, utilizzata per vino e birra, latte, formaggio), alta pastorizzazione (75-85°C per 
2-3 minuti, un tempo utilizzata per il latte ora sostituito da HTST), pastorizzazione rapida o 
HTST: 75-85°C per 15-20 secondi, condotta su alimenti liquidi che scorrono in uno strato 
sottile tra due pareti metalliche. L'impiego della pastorizzazione non è usato per la 
sanificazione a larga scala di tutti gli alimenti, poiché può indurre alterazioni sul gusto e 
sulla qualità dei cibi. Il suo uso è limitato ad alcuni alimenti in forma liquida (soprattutto 
latte, vino, birra e succhi di frutta), su cui il processo si può compiere con particolare 
efficacia e con limitati effetti avversi.
La sterilizzazione ha lo scopo di distruggere tutte le forme microbiche, comprese le spore. 
Il prodotto tuttavia non è completamente asettico e non può mantenersi all’infinito. Per 
raggiungere questo scopo occorrerebbero temperature e tempi di esposizione tali da 
compromettere le caratteristiche del prodotto. I nuovi metodi di sterilizzazione prevedono 
l’esposizione dell’alimento ad una temperatura molto elevata (140°C)  per pochi secondi, 
seguita dal raffreddamento e dal confezionamento asettico in recipienti sterili.
Molti polimeri sono poco resistenti al calore quindi sterilizzazioni mediante alte 
temperature sono generalmente inapplicabili. I trattamenti  chimici, come quello con 
ossido di etilene, possono essere una soluzione ma spesso rimangono tracce di componenti 
attivi che costituiscono un rischio inaccettabile. L’ossido di etilene è tossico per inalazione, 
la sua esposizione può provocare mal di testa e confusione, seguiti da convulsioni, fino a 
colpi apoplettici e coma. È anche irritante per le vie respiratorie e può provocare in esse 
versamento di liquidi anche ore dopo l’avvenuta esposizione. Studi sui roditori hanno 
evidenziato la comparsa di tumori in siti multipli e problemi riproduttivi  (aborti spontanei 
e mutazioni nella progenie), nell’uomo tuttavia, questi effetti devono ancora essere provati.
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Altro trattamento è l’uso di radiazioni che sono un’emissione e propagazione di energia 
sottoforma di onde (elettromagnetiche o sonore) o di particelle subatomiche. Ogni 
radiazione è caratterizzata da una determinata lunghezza d’onda e da una frequenza, 
parametri tra loro inversamente proporzionali. Tra le radiazioni elettromagnetiche, quelle 
che vengono utilizzate nella conservazione degli alimenti sono i raggi UV, X e γ. Le 
radiazioni UV, in genere emesse da lampade a vapori di mercurio, eccitano gli atomi che 
incontrano, queste modificazioni coinvolgono in particolar modo le basi pirimidiniche 
timina e citosina del DNA determinando arresto della duplicazione o mutazioni. La 
capacità dei microrganismi di riparare il danno sul DNA e la bassa capacità di penetrazione 
ne limitano però l’utilizzo. Vengono infatti soprattutto impiegate nella disinfezione di 
superfici. I raggi X e γ sono radiazioni di natura elettromagnetica ad alta energia ed, 
assieme alle radiazioni corpuscolate α e β, vengono comunemente dette ionizzanti per il 
loro meccanismo d’azione che si basa sulla ionizzazione degli atomi del materiale irradiato 
che incontrano, con formazione di ioni e radicali liberi; questi elettroni a loro volta 
provocano ionizzazioni secondarie e, perdendo a poco a poco l’eccesso di energia, tornano 
allo stato fondamentale. I radicali liberi combinandosi tra di loro o con l’O
2
 danno origine a 
prodotti con forte potere ossidante che alterano i meccanismi di ossidoriduzione dei 
microrganismi. Non tutti i microrganismi (m.o.) sono sensibili allo stesso modo alle 
radiazioni ma ad esempio sono maggiormente suscettibili i m.o in fase logaritmica di 
crescita e i gram negativi. Le radiazioni ionizzanti si suddividono in radiazioni a bassa 
densità di ionizzazione: X e  γ e radiazioni ad elevata densità di ionizzazione: α e β.  I raggi 
X sono prodotti bombardando sotto vuoto con raggi catodici una lastra di metallo pesante, 
hanno un buon potere di penetrazione. I raggi γ vengono liberati durante la disintegrazione 
nucleare di alcuni isotopi, sono dotati di un buon potere di penetrazione e di una buona 
azione microbicida. Possono essere utilizzati anche per trattare prodotti già confezionati. 
Le radiazioni corpuscolate α e β sono emesse, assieme ai raggi γ, durante il decadimento di 
radioisotopi o generate dalle reazioni nucleari oppure prodotte dagli acceleratori di 
particelle. Le radiazioni α sono costituite da due protoni e da due neutroni e hanno scarsa 
capacità di penetrazione; le radiazioni β, rappresentate da un elettrone che si libera da un 
neutrone, penetrano fino a 3000 cm d’aria e attraversano sottili strati metallici. 
L’applicazione delle radiazioni corpuscolate è limitata dallo scarso potere penetrante, ma 
hanno il vantaggio di agire a temperatura ambiente, di attraversare i contenitori 
consentendo la sterilizzazione di prodotti confezionati, di poter essere controllate dal punto 
di vista energetico e focalizzate nella direzione desiderata. L’irraggiamento può 
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danneggiare direttamente le funzioni o le componenti del DNA attraverso la rottura della 
singola catena (riparabile nella maggior parte dei casi), o attraverso la rottura della doppia 
catena (non riparabile nella maggior parte dei casi), può inoltre formare indirettamente 
radicali liberi che danneggiano anch’essi il DNA. L’irraggiamento non presenta problemi 
di natura tossicologica, microbiologica e nutrizionale fino ad una radiazione di 10kGy, 
nonostante questo trovi opposizione da parte di diverse organizzazioni di consumatori. 
Attualmente l’irraggiamento del cibo è consentito in 37 paesi ma è applicato solo in 25; la 
legge italiana permette di trattare solo patate, cipolle ed aromi. Le principali aree 
applicative nei diversi paesi sono ad esempio evitare la germogliazione di tuberi, bulbi e 
radici, ritardare la maturazione dei frutti tropicali e subtropicali, aumentare il tempo di 
conservazione dei funghi, delle fragole, aumentare la conservazione della carne, 
disinfezione di frutta, grano, noci e spezie, eliminazione di batteri come Salmonella e 
Campylobacter nel pollame crudo. 
Le alte pressioni rappresentano, insieme alle radiazioni ionizzanti, metodi di conservazione 
più moderni. Si sottopone l’alimento, sistemato in un camera di compressione, all’azione 
di alte pressioni; i prodotti solidi o liquidi densi necessitano di un preconfezionamento, 
mentre quelli liquidi possono essere trattati tal quali e quindi confezionati in ambiente 
asettico. L’effetto sui microrganismi si esplica grazie ad azione meccanica, che porta a 
modificazioni strutturali della cellula e grazie all’azione chimico fisica come la 
ionizzazione delle proteine. Queste due azioni determinano la modificazione 
dell’omeostasi che è responsabile della morte della cellula batterica. L’applicazione pratica 
delle alte pressioni nel settore alimentare riguarda soprattutto i prodotti di origine vegetale 
(marmellate e succhi di frutta), sulla carne provoca la modifica di certi caratteri 
organolettici presentando, dopo pressurizzazione, una tessitura dura e ferma (Capelli e 
Vannucchi, 2004; Bourgeois et al., 1990; Tiecco, 2001). 
Recentemente sono stati proposti nuovi metodi per la sterilizzazione degli alimenti a 
temperatura ambiente: le tecniche AOP ( advanced oxidation processes) che sono tecniche 
essenzialmente pulite e generano solo piccole quantità di specie chimiche persistenti. Sono 
efficienti nell’abbattimento di più di 10 logaritmi di microrganismi e sono 
economicamente favorevoli poiché hanno bassi costi di consumo e di istallazione. 
L’efficienza degli AOP è probabilmente dovuta alla combinazione dell’azione sia fisica 
che chimica. Queste tecniche hanno la peculiarità di generare componenti ossidanti molto 
reattivi e radicali liberi per esempio H
2
O
2
, OH, O
2
-
 e O
3
. Sono tecniche recenti (la loro 
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prima apparizione si colloca all’inizio del 1900), che inizialmente erano state sviluppate 
per la sanificazione delle acque.
Tra le principali tecniche AOP si annoverano il trattamento con ozono che ha azione 
ossidante verso la materia organica ed è un ottimo agente germicida. L’ozono è un 
componente naturale dell’atmosfera terrestre, dove si forma fotochimicamente.  Da anni 
esso trova una notevole applicazione nel trattamento delle acque utilizzate in vari settori 
dell’industria alimentare, per esempio l’ozono  viene disciolto nelle acque utilizzate per i 
lavaggi di frutta e verdura. Viene anche utilizzato nella disinfezione delle superfici, nella 
depurazione dell’aria e degli ambienti nonché nella bonifica e nella decontaminazione dei 
terreni. Molti studi hanno inoltre dimostrato che l'ozono è più efficace del cloro 
nell'eliminazione di alcuni virus che trovano grande vitalità nelle acque potabili (come ad 
esempio il virus EBOLA). Per questo motivo non ci si deve meravigliare se l'ozono è 
largamente usato anche nell'igienizzazione delle piscine. E’ inoltre stato dimostrato che 
l’ozono può allungare i tempi di conservazione di svariati alimenti, in primo luogo 
attraverso la riduzione della carica microbica superficiale. La tecnologia maggiormente 
utilizzata prevede l’uso di ozono in forma gassosa. In pratica tale tipo di conservazione 
prevede la sterilizzazione dell’aria immessa nei locali di immagazzinamento con una 
quantità di ozono sufficiente all’eliminazione dei microrganismi. La sua utilizzazione 
come agente conservante è stata ostacolata dalla grande reattività di questa molecola 
quando viene a trovarsi a contatto con le varie sostanze organiche dando origine a 
manifestazioni indesiderabili rappresentate da fenomeni ossidativi superficiali, 
decolorazioni, comparsa di odori indesiderabili, diminuzione del quantitativo di acido 
ascorbico e tiamina e dal suo potere irritante. La sua instabilità molecolare non gli consente 
di poter essere immagazzinato, quindi viene prodotto in prossimità del suo utilizzo. 
L’ozono è attivo su batteri, muffe, lieviti, virus e parassiti e la sua azione è influenzata 
dalla sua concentrazione, dal tempo di contatto, dal substrato in cui il microrganismo si 
trova. L’azione sui microrganismi avverrebbe a livello della membrana cellulare dove 
vengono attaccate le componenti glicoproteiche e glicolipidiche; la morte dei 
microrganismi sarebbe conseguente a: flocculazione delle proteine, ossidazione del 
protoplasma, distruzione dei sistemi enzimatici deidrogenanti, interferenza con i sistemi 
respiratori, ossidazione dei gruppi SH degli enzimi. Queste azioni nocive sono dovute sia 
alla formazione dei radicali liberi, sia alla molecola dell’ozono stessa (Rodriguez-Romo et 
al., 2005).
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