4
CAPITOLO PRIMO
NORMATIVA ANTIDOPING
SOMMARIO: 1.1. Premesse. - 1.2. Prime disposizioni in materia antidoping. – 1.3.
Azioni della Comunità Europea in materia di tutela sanitaria delle attività sportive: il
Codice Mondiale Antidoping – 1.4. L. 14 dicembre 2000 n. 376. – 1.5. Esigenza di
coordinamento per un’adeguata strategia antidoping: il regolamento antidoping del
C.O.N.I. .
1.1. Premesse.
L’esigenza di migliorare il rendimento dell’atleta nelle performance
agonistico-sportiva ha da sempre favorito la diffusione del
convincimento di poter ricorrere, spesso a discapito dell’integrità
psicofisica, all’assunzione di farmaci o altre sostanze esogene capaci
di indurre un’azione stimolante-energizzante e quindi a presunta
valenza migliorativa sulle prestazioni stesse
1
.
Tale problema è divenuto ancor più cogente negli ultimi anni attese le
numerose e ineludibili sollecitazioni e pressioni di varia natura (in
primis quelle economiche
2
) che ricorrono sul rendimento di quanti
primeggiano nelle specifiche discipline sportive.
1
Cfr. R. GAGLIANO-CANDELA, Tossicologia forense, Milano, 2001, pp. 89-91.
2
Così M. MICCIO, Comunicazione, evoluzione e denari nel calcio, in Analisi giuridica
dell’economia, 2005, pp. 521-527.
5
E’ nelle parole del positivista H. Spencer che si rinvengono le tracce
dell’odierno atleta “positivo”, disinteressato alla gloria di nobili
ricompense senza valore materiale e proiettato esclusivamente in una
logica capitalistica della contesa sportiva
3
.
A ben guardare, il ricorso a sostanze “miracolose” ha origini ataviche.
Si ricordi a tal proposito, presso l’antica Grecia, la somministrazione
agli atleti di funghi ad azione stimolante, riportato da Filostrato
4
e da
Galeno nei loro commenti sull’etica degli atleti ai giochi olimpici
5
; la
somministrazione ai gladiatori di droghe prima dei combattimenti.
Nell’800 tra gli atleti si diffuse l’abitudine di bere estratti di cola,
ricchi di caffeina, o addirittura nitroglicerina per i suoi effetti
sull’apparato cardiovascolare.
Controversa è l’origine del forestierismo doping per uno dei più
autorevoli dizionario dell’idioma nostrano
6
: la voce inglese,
propriamente participio presente di to dope, drogare, sarebbe da
3
Così M. ZERBINI, Alle fonti del doping, Roma, 2001, pp. 140-146.
4
Cfr. A. MONTAGNA, Ancora un caso di supplenza da parte della magistratura?, in Minori
Giustizia, 1998, p. 33-39, che richiama FILOSTRATO, Commento sull’etica degli atleti ai Giochi
Olimpici ,Novara, 1995.
5
Forme di alimentazione e “allenamento errato” che si affermano con il prevalere della
“ghiottoneria siciliana”: v. FILOSTRATO DI LEMNO, Il manuale dell’allenatore (fra il 220 e il
230 d.c.), Novara, 1995, p. 74.
6
N. ZINGARELLI, Lo Zingarelli 2006. Vocabolario della lingua italiana, Bologna 2005.
6
collegare al sostantivo di origine olandese dope, liquido spesso (doop,
salsa, da dopen, mescolare, battezzare per immersione )
7
.
Analoga incertezza è data riscontrare negli scritti in argomento, che si
lasciano però ricondurre sostanzialmente a tre filoni: alcuni citano il
dop, forte liquore, o acquavite dal potere euforizzante e disinibitorio
consumato in occasione di cerimonie religiose da popoli o tribù
dell’Africa sudorientale variamente identificati come boeri
8
, kafir,
cafri
9
o bantu; altri preferiscono puntare sulla nascita equina del
vocabolo doping, soggiungendo una data – intorno al 1890
10
– ovvero
evocando l’alternativa costituita dalla somministrazione del prodotto a
levrieri; altri ancora mettono l’indice sull’aggettivo inglese dupe,
illuso, sempliciotto, stupido, quale termine che ben si associa alla
pratica in esame.
E’ tuttavia dal 1963 la prima definizione ufficiale di doping
allorquando il Comitato Europeo per l’educazione extrascolastica lo
adoperò per indicare la <<ingestione o l’uso di sostanze non
biologiche da parte di individui sani, con il solo scopo di migliorare
7
Incasellano il doping come olandesismo anche A. BARBARITO MARANI TORO, Questioni
giuridiche nel procedimento per doping a carico del Bologna F.C., in Riv. dir. spor., 1964, p. 350-
377: doopen nel senso di accrescere le facoltà motorie.
8
Cfr. A. ALBANESI, Tutela sanitaria delle attività sportive, in Riv. dir. spor.,1971, p. 385-415;
G. AIELLO, La commissione di indagine sul doping, in Riv. dir. spor., 1993, p. 667-678.
9
S. CALIFANO, Doping: istruzioni per l’uso, in Profili attuali di diritto sportivo e nuova legge
antidoping. Atti del Convegno organizzato da Avvocatura indipendente con il contributo del
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze, a cura di G. GAMBOGI, Milano, 2002, p. 68.
10
G. MICHELETTA, I profili penalistici della normativa sul doping, in Ind. pen., 2001, p. 1320.
7
artificialmente e slealmente la propria prestazione in vista di una
gara>>
11
.
1.2. Prime disposizioni in materia antidoping.
La prima normativa italiana contenente disposizioni contro il
fenomeno del doping risale al 1942 (L. 16 febbraio 1942 n. 426 e
succ. mod.) relativa alla “costituzione” ed ordinamento del Comitato
Olimpico Nazionale Italiano
12
.
In essa si sanciva che l’assunzione di sostanze farmacologiche e
cliniche assunte per migliorare le potenzialità fisiche dell’atleta era
contraria ai principi di lealtà, correttezza e probità sportiva. Si trattava
di un’affermazione di principio del tutto priva di un correlato sistema
sanzionatorio, sia pure solo interno dell’ordinamento sportivo.
Il riconoscimento del reato di doping avvenne a distanza di molti anni
con la L. 26 ottobre 1971 n. 1099
13
intitolato “tutela sanitaria delle
attività sportive”
14
. Con riferimento alle sanzioni penali l’art. 3 comma
11
G. PALMIERI, V. PINCOLINI, A. CASTI, in Doping 2004, Instant Medical Books, MNL
Scientific Publishing e Communication, pp. 4-63.
12
Cfr., G. ARIOLLI-V. BELLINI, in Disposizioni penali in materia di doping, Milano, 2005,
pp.3-7.
13
In G.U., 23/12/1971, n. 324, pp. 8162-8164. Per un inquadramento generale in rapporto
all’impianto normativo previdente, A. VIGORITA, Il doping negli atleti nel diritto ordinario ed in
quello sportivo, in Riv. dir. spor., 1971, pp. 273-290.
14
D. R. VANTAGGIATO, Il doping da steroidi androgeni anabolizzanti, in Italian Journal of
Sport Sciences, vol. 12- n. 2 2005.
8
1 puniva la condotta dell’atleta partecipante ad una competizione
sportiva che impiegasse la sostanza proibita, in quanto nociva per la
salute, “al fine di modificare artificialmente” le proprie energie
naturali (trattasi di reato proprio).
Nel 2° comma era previsto un reato comune, realizzabile da chiunque
(es. medici, dirigenti sportivi o anche da altri atleti). La condotta
consisteva nel somministrare agli atleti, sempre partecipanti alle
competizioni sportive, le sostanze “proibite” con la consapevolezza di
alterare le energie naturali.
Entrambe le fattispecie venivano punite con la pena della sola
ammenda.
Tuttavia le ragioni che avevano indotto il legislatore del 1971 ad
estendere l’intervento del magistrato penale anche a condotte ritenute
tradizionalmente di esclusiva pertinenza degli organi di giustizia
sportiva, vennero travolte dall’emanazione della L. 24 novembre
1981, n. 689 che degradò a rango di illeciti amministrativi tutti i reati
contravvenzionali puniti con la pena della sola ammenda
15
.
A seguito di detta depenalizzazione, nel tentativo di evitare che
l’utilizzazione di sostanze proibite restasse priva di sanzione penale, la
15
G. VENEZIANO, L’estensione dell’ambito della depenalizzazione e la ripenalizzazione di
illeciti depenalizzati, Milano, 1982, p. 94.
9
dottrina e la giurisprudenza fecero ricorso alla fattispecie della frode
in competizioni sportive, prevista dall’art. 1 della L. 13 dicembre 1989
n. 401
16
.
La norma punisce con la reclusione da un mese ad un anno e con la
multa da € 258 a 1.032 “chiunque offre o promette denaro o altra
utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione
sportiva organizzata dalle federazioni riconosciute dallo Stato e dalle
associazioni ad essi aderenti al fine di raggiungere un risultato diverso
da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della
competizione sportiva ovvero compie altri atti fraudolenti volti al
medesimo scopo”
17
.
La condotta descritta nella seconda parte della disposizione, per la sua
genericità, è apparsa suscettibile di applicazione anche alle condotte di
doping riguardante gli atleti impegnati in attività agonistiche,
integrando l’assunzione e la somministrazione di sostanze e farmaci al
di fuori di ogni necessità terapeutica un artificio idoneo ad alterare il
naturale esito della competizione.
16
In argomento A. LAMBERTI, La frode sportiva. In appendice: commento alla l. 13 dicembre
1989, n. 401, Napoli 1990; F. ALBEGGIANI, Sport. b) Diritto penale, in Enc. dir., Milano, 1990,
pp. 556-559; E. PALOMBI, La frode nelle competizioni sportive,in Riv. pen. ec,1990, pp. 126-
132; A. BOLOGNA, L’illecito sportivo nella nuova normativa, in Riv. dir. spor., 1990, pp. 143-
154.
17
R. BORGOGNO, Sulla riconducibilità del doping al delitto di frode in competizioni sportive ex
art. 1, 13 dicembre 1989, n. 401, in Arch. pen. 1994 n. 606.
10
Tuttavia la norma in esame non è idonea a comprendere al suo interno
il “fenomeno doping” in tutte le sue fattispecie. Vero nodo
interpretativo, è rappresentato dalla possibilità o meno di ricondurre
alla nozione degli “altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo” non
soltanto la condotta di colui che somministra o prescrive all’atleta
sostanze e farmaci “vietati”(c.d. doping esogeno), ma anche quella
dell’atleta che, al fine di modificare le proprie energie psico-fisiche,
assume volontariamente sostanze vietate (c.d. doping autogeno).
La giurisprudenza, a tal proposito, ha ritenuto che la nozione di atto
fraudolento penalmente rilevante debba avere un quid pluris rispetto al
mero atto illecito, escludendo la rilevanza penale di tutti quei
comportamenti (nella fattispecie volontaria assunzione di sostanze
proibite da parte di un atleta ) che non consistono in attività proiettate
all’esterno delle persone che le hanno deliberate e tali da investire
direttamente altri soggetti; in particolare, quelli coinvolti nella
partecipazione alla gara, la cui prestazione sportiva si intende deviare
in modo che da essi derivi un risultato diverso da quello conseguente
al corretto e leale svolgimento della competizione
18
.
18
A. DI MARTINO, Giuoco corrotto, giuoco corruttore: due problemi penali dell’homo ludens,
in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, pp. 137-149.
11
Nel contesto delineato dalla norma, la punibilità del partecipante alla
gara è stata ricondotta all’esistenza di un meccanismo in qualche
modo sinallagmatico determinante una correlazione di corrispettività
tra il soggetto autore della proposta corruttiva ed il suo destinatario
19
.
Secondo i giudici di legittimità, ex art. 1 comma 1, la condotta di
doping autogeno, realizzata dall’atleta al di fuori di un patto
corruttivo, significherebbe forzare il significato letterale della norma,
con la conseguente violazione del principio di legalità
20
.
Diversamente, nei casi di doping esogeno, l’attività illecita posta in
essere da chi effettua la somministrazione risulterebbe proiettata verso
l’esterno ed investirebbe altri ed diversi soggetti coinvolti nella
medesima attività
21
.
Se ciò non bastasse, si può far riferimento all’interesse
specificatamente tutelato dalle due disposizioni: la legge del 2000 si
prefigge la contestuale finalità della tutela delle persone “interessate”
all’attività sportiva, in genere, e della lotta contro il doping in
particolare, mentre grazie alla previsione della frode si mira a
garantire la correttezza e la lealtà sportiva come valori da preservare
19
S. BONINI, Doping e diritto penale prima e dopo la legge 14 dicembre 2000, n. 376, in Nuove
esigenze di tutela nell’ambito dei reati contro la persona, a cura di S. Canestrai – G. Fornasari,,
Bologna, 2001, pp. 255-335.
20
V. Tribunale di Trento – sez. Tione – 2 ottobre 2003 – Est. Serao – Imp. P., in Giur. Merito,
2004, p. 1432.
21
V. Cassazione penale, sez. VI, 26 marzo 1996, in Riv. dir. spor. 2001, 181 nota Tanzi.
12
nello svolgimento di manifestazioni ufficialmente in calendario, e con
il peculiare obiettivo di evitare che venga alterato l’esito di queste
ultime
22
.
Ne deriva dunque che non sono sanzionabili penalmente i fatti di
doping autogeno commessi prima dell’entrata in vigore della l. 376
del 2000. In tali casi, infatti, l’atleta andrebbe esente da responsabilità
per non essere il fatto previsto dalla legge dell’epoca come reato
applicandosi il principio dell’irretroattività della legge penale ai sensi
degli articoli 25 comma 2 della Costituzione e 2 comma 1 del codice
penale
23
.
Inoltre, difettando un rapporto di specialità tra le due fattispecie non
potrà, pertanto, invocarsi la disciplina sulla successione di leggi penali
nel tempo, potendo porsi solo un problema di interferenza tra le due
normative quando l’atto fraudolento consista nell’uso di sostanze
rientranti nelle tabelle approvate in attuazione della legge n. 376 del
2000. In tale ultimo caso, dovrà farsi ricorso alla disciplina sul
concorso formale di reati, applicandosi la pena prevista per il più
grave reato di doping aumentata fino al triplo (art. 81, comma 1, c. p.).
22
Cfr. S. BONINI, Doping e diritto penale, Padova, 2006, pp. 128-129.
23
Trib. Torino,sez. I, 26/11/2004, in dir. e giust., numero speciale – supplemento al n. 15 del
16/4/2005. Il doping come frode sportiva ? Il caso Juventus: le norme, i regolamenti , le perizie, le
sentenze, pp. 52-116.
13
1.3. Azioni della Comunità Europea in materia di tutela sanitaria
delle attività sportive: il Codice Mondiale Antidoping.
Principale caratteristica del doping è la sua universalità: sono
interessate tutte le nazioni sia tutte le pratiche sportive.
La pratica sportiva, svolgendo un ruolo importante per la protezione
della salute, dell’istruzione morale e fisica, è espressione degli ideali e
dei principi che costituiscono il patrimonio comune di ciascun stato.
Si avverte, pertanto, l’esigenza a livello internazionale di elaborare
una strategia comune contro il doping che vada al di la delle iniziative
adottate dai singoli ordinamenti sportivi e statali
24
.
A tali esigenze risponde la Convenzione contro il doping, stipulata a
Strasburgo il 16 novembre 1989 (ratificata dall’ Italia con legge 29
novembre 1995 n. 552)
25
.
La Convenzione contiene una definizione di doping nello sport, come
somministrazione agli sportivi o uso da parte di questi di classi
farmacologiche di agenti di doping o metodi dopanti.
24
V. S. PAGLIARA, Il doping negli ordinamenti europei e le iniziative mondiali per combatterlo;
in Rassegna dell’avvocatura dello stato, 2005, pp. 2575-2581.
25
G. AIELLO, doping: come l’ordinamento interno recepisce la Convenzione di Strasburgo; in
Riv. dir. spor., 1996 fasc. 1, pp. 71-73.
14
Ai fini dell’esatta determinazione di ciò che costituisce doping,
significativa era la clausola di chiusura prevista dopo l’elencazione
delle classi delle sostanze vietate contenuta nell’allegato alla
convenzione (stimolanti, narcotici, agenti anabolizzanti, diuretici,
ormoni peptidici e glicoproteidi e affini ): veniva infatti stabilito che
nessuna delle sostanze appartenenti alle categorie vietate può essere
utilizzata, anche se non è citata a titolo di esempio.
Per tale motivo è menzionata l’espressione sostanze affini. Tale
espressione indica sostanze affini alle classi in oggetto, in virtù dei
loro effetti farmacologici e/o della loro struttura chimica.
Sulla scia delle medesime finalità è stata istituita a Losanna il 10
Novembre 1999 l’Agenzia Mondiale antidoping (WADA);
L’obiettivo primario dell’Agenzia è stato quello di elaborare un
Codice unico antidoping che, con la firma della Dichiarazione di
Copenaghen del 5 marzo 2003, gli Stati dell’Unione Europea si sono
impegnati a recepire nelle singole legislazioni. Obiettivo del codice è
quello di armonizzare le normative antidoping delle singole
organizzazioni, nonché la pratica dei programmi antidoping
26
.
26
G. FORNASARI, Il doping come problema penalistico nella prospettiva di un diritto
comparato, Bologna, 2001, pp. 337-445.
15
Il Codice unico antidoping, in vigore dal 1° gennaio 2004, ha la
finalità di tutelare il diritto fondamentale degli atleti alla pratica di uno
sport libero dal doping e promuovere la salute, la lealtà e
l’uguaglianza di tutti gli atleti, nonché garantire l’applicazione di
programmi antidoping in modo uniforme, coordinati ed efficaci sia a
livello mondiale che nazionale, al fine di individuare, scoraggiare e
prevenire la pratica del doping.
Il codice prevede un nuovo ed unico elenco delle sostanze e dei
metodi vietati, da aggiornare periodicamente mediante l’introduzione
di nuove sostanze in quanto rispondenti ad almeno due delle seguenti
caratteristiche: miglioramento delle prestazioni; rappresentazione di
un rischio per la salute; che l’uso sia contrario allo spirito sportivo
descritto nel codice; che mascherino altre sostanze proibite.
1.4. Legge 14 dicembre 2000 n. 376.
Il legislatore nella consapevolezza dell’impiego, sempre più diffuso,
di prodotti e metodi vietati tra gli sportivi e delle conseguenze per la
salute di coloro che ne fanno uso, ha ritenuto necessario introdurre
delle specifiche fattispecie penali che sanzionassero quei
16
comportamenti che, per modalità e scopo, si presentavano in contrasto
con gli ideali ed i principi di correttezza e lealtà sportiva.
Ciò ha portato all’ emanazione della legge 14 dicembre 2000 n. 376,
contenente la “Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e
della lotta contro il doping”
27
, composta da nove articoli, cui si
aggiunge un decimo relativo alla copertura finanziaria
28
.
L’ art. 1 sancisce che l’attività sportiva è diretta alla promozione della
salute individuale e collettiva e dei principi etici e valori educativi
dell’ordinamento sportivo. Ne consegue, essendo il doping contrario a
tali principi, il divieto di svolgere l’attività sportiva con l’ausilio di
tecniche, metodologie o sostanze di qualsiasi natura che possano
mettere in pericolo l’ integrità psicofisica degli atleti .
Lo sport acquista, una valenza che in precedenza le era sconosciuta,
apparendo espressione in concreto del diritto alla salute che ne
costituisce la ragione profonda: il richiamo ai valori educativi ed etici
fondamentali nello sport, rappresenta non solo una qualificazione di
tale fine, ma anche il mezzo attraverso il quale soddisfarlo.
27
Per una disamina generale della materia v. : ARIOLLI-BELLINI, Disposizioni penali in materia
di doping, Milano, 2005, pp.29-41; E. M.GIARDA,Un primo sforzo chiarificatore sulla c.d. legge
antidoping, in Giust. pen., 2003, pp. 294; NASTASI, La tutela penale dell’attività sportiva, in Dir.
e form.,2003, p.1263; G. MARRA, Tutela della salute umana ed etica sportiva nella nuova legge
contro il doping, in Cass. pen. 2001,pp. 2581-2868;A. VALLINI, Disciplina della tutela sanitaria
delle attività sportive e della lotta contro il doping, in Leg. pen., 2001, p. 643.
28
R. GUARINIELLO, Legge e decreti ministeriali sul doping, in Il Foro it., 2004, pp. 88-89.
17
Al comma 2 dell’art. 1 viene fornita la definizione di doping:
Costituiscono doping la somministrazione o l’assunzione di farmaci o
di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione
o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni
patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o
biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni
agonistiche degli atleti.
Da ciò si evince, che risulta vietato sia il ricorso a farmaci o sostanze
potenzialmente dannose per la salute (c.d. doping farmacologico), sia
l’esercizio di pratiche mediche idonee ad incidere sull’organismo.
Va evidenziato, che affinché possa sussistere un fatto di doping
occorre un duplice requisito: l’idoneità della sostanza, anche solo
potenziale, a modificare le condizioni psicofisiche dell’organismo, ed
un’intenzione dell’agente finalizzata a tale risultato.
Il comma 3, equipara al doping la cosiddetta “manipolazione
farmacologia chimica e fisica”, consistente nell’uso di sostanze, di
metodi o pratiche potenzialmente in grado di alterare l’integrità o la
validità dei campioni di sangue o urina utilizzati per i controlli
antidoping, in modo da nascondere o mascherare l’ assunzione di
sostanze dopanti.
18
A tal proposito l’art. 2 (rubricato classi delle sostanze dopanti),
prevede la ripartizione in classi delle sostanze dopanti, secondo un
procedimento che tiene conto degli emendamenti all’appendice della
Convenzione di Strasburgo, delle indicazioni del CIO e degli
organismi internazionali preposti al settore sportivo, in classi di
farmaci, di sostanze o di pratiche mediche approvate con decreto del
Ministro della salute, d’intesa con il Ministro per i beni e le attività
culturali, su proposta della Commissione per la vigilanza ed il
controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive.
E’ espressamente previsto che la ripartizioni in classi avvenga per i
farmaci e le sostanze attive sulla base delle rispettive caratteristiche
chimico-farmacologiche e per le pratiche mediche sulla base dei
rispettivi effetti fisiologici e che sia periodicamente aggiornata con
cadenza non superiore a sei mesi.
Un’importanza centrale riveste l’articolo 6 della l. 376 del 2000,
rubricato “Integrazione dei regolamenti degli enti sportivi”, in quanto
volto a realizzare il coordinamento della nuova disciplina con
l’ordinamento sportivo
29
.
Il primo comma dell’articolo stabilisce l’obbligo per una serie di enti
sportivi (tra cui il C.O.N.I., le federazioni sportive, le società affiliate
29
V. S. BONINI, Doping e diritto penale, Padova, pp. 215-219.