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INTRODUZIONE 
 
 
« Il turismo responsabile come strumento per la cooperazione internazionale allo 
sviluppo? » 
Questa è la mia domanda di ricerca. Ho cercato di trovare una risposta a questa 
domanda, ma nel corso della ricerca mi sono resa conto che non esiste una risposta 
chiara ed univoca ad un quesito così complesso, che si interroga a sua volta su altre due 
questioni: esiste un turismo che possa essere responsabile o è solo un’illusione? E poi, 
la cooperazione internazionale allo sviluppo adempie effettivamente al suo ruolo? 
 
La mia domanda di ricerca parte, forse, da un’utopia: il desiderio di far sì che il turismo 
possa rivelarsi un aiuto concreto per i Paesi poveri o meno sviluppati e che questo 
genere di aiuto possa essere sostenibile; il desiderio di non vedere più il turismo come 
qualcosa di scintillante che fa spendere migliaia di euro per vivere vacanze in resort di 
lusso e di conseguenza ne fa guadagnare altrettanti a chi offre i pacchetti all inclusive. 
La mia domanda di ricerca parte da qui e lo stesso desiderio, nel corso della ricerca, si 
scontra con la realtà grazie sia all’approfondimento teorico, che alla permanenza nel 
Paese che ha rappresentato il caso studio della mia tesi: la Bosnia Erzegovina. 
 
Grazie al Programma Exchange, infatti, l’Università degli Studi Milano Bicocca e 
l’Università di Sarajevo, mi hanno permesso di trascorrere tre mesi, da Ottobre e 
Dicembre 2011, in Bosnia Erzegovina precisamente a Sarajevo, la capitale. Questo 
periodo è stato utile perchØ mi ha permesso di vivere la vita quotidiana e i disagi che i 
cittadini e gli studenti bosniaci vivono tutti i giorni, ma è anche stata un’ottima 
opportunità per poter andar oltre all’apparenza della capitale. In questi mesi ho infatti 
visitato diverse località bosniache e, attraverso i lunghi viaggi in autobus, ho avuto 
l’occasione di essere più consapevole del territorio che stavo analizzando per la mia 
ricerca, anche grazie all’incontro con le persone. Vivere nella capitale mi ha permesso 
di capire i macromeccanismi che governano il Paese, mi ha permesso di entrare in 
contatto con la comunità internazionale che lavora in Bosnia Erzegovina e con le 
istituzioni. La possibilità invece di trascorrere giornate o weekend in altri luoghi 
simbolo, o meno, della Bosnia mi ha permesso di comprendere la differenza tra la
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capitale e il resto del territorio. Per piacere personale e per comprendere più a fondo il 
territorio dal punto di vista turistico ho visitato luoghi simbolo come Srebrenica per un 
turismo della memoria, così come Mostar, e poi le località turistiche più gettonate come 
Neum, unico sbocco sull’Adriatico della Bosnia, e Medjugorje, luogo di pellegrinaggio 
cattolico che ogni anno raduna migliaia di fedeli, in gran parte italiani. Gli altri viaggi 
sono stati in luoghi meno turistici, ma mi hanno dato la possibilità di osservare da 
vicino i progetti che la cooperazione italiana sta realizzando in Bosnia, come ad 
esempio a Breza il progetto di Re.Te. “Breza cooperazione e sviluppo: supporto alle 
iniziative locali per la ricostruzione e lo sviluppo”, a Prijedor il progetto di 
cooperazione decentrata, sostenuto dalla Provincia di Trento, in collaborazione con 
l’associazione Viaggiare i Balcani, che ha creato l’associazione Promotur a Prijedor, e 
infine Bihać e il Parco dell’Una dove ICEI sta promuovendo il progetto “Una valle 
rinasce: azione integrata di agricoltura biologica, turismo sostenibile e inclusione 
socio- economica nella valle dell’Una in Bosnia i Herzegovina”.  
 
Confrontarmi con la realtà, senza leggerla in chiave puramente teorica, mi ha permesso 
di andare più a fondo al problema e di comprendere come la mia domanda di ricerca 
abbia senso, ma che forse debba calarsi un po’ di più nella realtà stessa. In particolar 
modo ho avuto l’opportunità di toccare con mano gli argomenti teorici di cui parlo, 
grazie alla ONG italiana ICEI, Istituto Cooperazione Economica Internazionale di 
Milano, presente in Bosnia Erzegovina da un anno con un progetto multisettoriale che 
comprende anche il turismo sostenibile, dal titolo “Una valle rinasce: azione integrata 
di agricoltura biologica, turismo sostenibile e inclusione socio- economica nella valle 
dell’Una in Bosnia i Herzegovina”. Vivere nel luogo del progetto per una settimana è 
stata un’esperienza molto significativa; ICEI mi ha permesso infatti di essere 
un’osservatrice partecipante del suo progetto, vivere con la Project Manager e andare, 
non solo in ufficio ogni giorno vivendo la quotidianità dei cooperanti italiani all’estero, 
ma anche di visitare i luoghi del progetto e incontrarne gli attori. La visita ai luoghi del 
progetto, tanto quelli effettivi quanto quelli potenziali, è molto importante per quel che 
riguarda la ricerca turistica e per capire come portare avanti un progetto di questo 
genere. La parte di turismo sostenibile era ancora nella fase embrionale nel progetto di 
ICEI, fase in cui si cercava cioè di capire quali fossero le risorse a disposizione e di
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parlarne con gli attori da coinvolgere. Da questo punto di vista ICEI mi ha dato la 
possibilità di partecipare alla suddetta fase, tenendo in considerazione ogni mia 
osservazione o suggerimento da laureanda in “Turismo, territorio e sviluppo locale”. 
Questa opportunità non solo mi ha permesso di capire più in concreto la cooperazione 
internazionale e di razionalizzare meglio la mia domanda di ricerca, che parte da utopie 
come il turismo responsabile e scatole vuote come la cooperazione, ma mi ha permesso 
anche di partecipare a questo processo, non solo da osservatore esterno, ma in maniera 
coinvolgente, potendo così in parte mettere a frutto le conoscenze teoriche studiate negli 
anni accademici.  
 
La mia analisi parte dalla comprensione teorica della cooperazione internazionale allo 
sviluppo: cercare di capire dove e come è nata, perchØ, quali sono gli attori che ne fanno 
parte e come è cambiata nel corso degli anni; questo aspetto mi ha permesso di avere 
una base teorica da cui partire e con cui confrontare poi la realtà. Solo con una visione 
chiara dei meccanismi che fanno vivere la cooperazione internazionale possiamo 
analizzare uno dei suoi possibili strumenti, ovvero il turismo responsabile. 
 
Da qui la mia domanda di ricerca si rivolge agli effetti positivi e negativi del turismo. Il 
turismo da un lato è osannato come il settore in continua crescita che fa crescere 
l’occupazione, che porta reddito alle comunità locali e fa crescere i PIL nazionali, il 
turismo che ci permette di conoscere luoghi e persone sconosciute, il turismo che ci 
permette di andare oltre i nostri confini. Ma il turismo è anche il “mostro” che divora 
l’ambiente, inquina l’aria, il mare, sfrutta persone e luoghi per arricchire se stesso. 
Partendo da questa riflessione mi sono chiesta come e quale turismo può essere davvero 
una risorsa positiva per tutti. ¨ a questo punto che subentra il concetto di turismo 
responsabile. 
 
Ma come possono incontrarsi il turismo responsabile e la cooperazione internazionale 
allo sviluppo? Il turismo a livello globale è gestito unicamente dai Paesi ricchi e dalle 
loro multinazionali che muovono milioni di persone ogni anno in ogni parte del mondo 
e che permette alle stesse di arricchirsi oltremodo. Ma quale tipo di turismo è questo? Il 
turismo di massa, un turismo che non tiene conto dell’ambiente e della sua capacità di
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carico, un turismo che non considera adeguatamente le comunità locali ospitanti, ma che 
rinchiude i suoi ospiti in resort meravigliosi, realtà chiuse e vuote, staccate da ogni 
possibile legame con il territorio esterno. Il turismo responsabile è la risposta ad un 
turismo migliore per tutti?  
La risposta potrebbe essere affermativa, ma mi sono chiesta: a fronte di un turismo 
come quello appena descritto, che è una delle poche industrie che, nonostante le crisi 
economiche continua a crescere ogni anno, in cui vi investono continuamente migliaia 
di aziende principalmente occidentali, come può il turismo responsabile emergere e 
diventare uno strumento di sviluppo, una risorsa da far fruttare e non da sfruttare, in cui 
le comunità locali possano godere delle loro bellezze e mostrarle al mondo uscendo da 
condizioni di povertà e miseria? ¨ qui che entra in gioco la cooperazione internazionale, 
che per ora rappresenta l’unico sbocco del turismo responsabile, del turismo come 
attività fine a se stessa. 
La comunità internazionale si interessa di tutto il globo e cerca di far sì che tutti possano 
avvalersi di una vita dignitosa. Credo sia necessario comunque sottolineare la 
somiglianza tra turismo e cooperazione, ovvero il fatto che anche la cooperazione 
internazionale allo sviluppo sia principalmente nelle mani dei Paesi ricchi occidentali, 
ma di questo discuteremo successivamente. La domanda iniziale è: con quali strumenti 
agisce la cooperazione? Ce ne sono diversi: si cerca lo sviluppo tramite l’agricoltura, 
tramite le donazioni, tramite lo sviluppo di progetti per combattere la fame, le malattie e 
le guerre, ma ultimamente uno strumento di “tendenza” nella cooperazione 
internazionale è il turismo, o meglio il turismo rigorosamente sostenibile.  
 
La domanda di ricerca e il quadro teorico iniziale sia sulla cooperazione internazionale 
allo sviluppo, sia sul turismo responsabile, mi hanno permesso di inquadrare meglio il 
caso empirico: la Bosnia Erzegovina. Vivere in Bosnia mi ha permesso di concretizzare 
la teoria e di scoprire un Paese difficile da comprendere dai testi, libri che raccontano 
una storia intricata; ma non solo per questo motivo è difficile capire la realtà bosniaca 
senza viverla. Infatti, soprattutto per quel che riguarda il turismo, non esiste una vasta 
bibliografia, nØ in lingua originale nØ ovviamente in lingua inglese. Così tutti gli 
incontri realizzati con i bosniaci, ma anche con i rappresentanti dei principali Paesi 
donatori (Unione Europea e Stati Uniti d’America), con le ONG italiane, bosniache e
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internazionali e con chi, in Bosnia, vive e lavora per scelta, per caso o per passione, si 
sono rivelati non solo utili, ma essenziali per la ricerca.  
Nell’introduzione del caso empirico presenterò il Paese cercando di inquadrarlo sia dal 
punto di vista geografico, ma anche da quello storico-politico. Cercherò di essere chiara 
e concisa, ma senza sottovalutare l’importanza della storia e della geografia di questo 
Paese che ci permettono di comprendere la Bosnia oggi e le conseguenze che, in 
particolar modo la guerra, ha portato nel Paese. Solo da questa base si può partire per 
capire come la comunità internazionale sia intervenuta e interviene tuttora, ma per 
capire anche che tipo di turismo c’era e c’è e, di conseguenza, che cosa si può fare per  
trasformarlo in uno strumento e una risorsa per lo sviluppo del Paese. 
 
La mia domanda di ricerca mette al centro le persone: le persone che lavorano per la 
cooperazione internazionale, le persone che ne beneficiano, le persone che sognano un 
turismo migliore per tutti e le persone che potrebbero beneficiarne, le persone che hanno 
vissuto in Bosnia, le persone che hanno vissuto la guerra e le persone che sono pronte a 
ricostruire il proprio Paese con idee innovative e a farlo conoscere al mondo non solo 
come “il Paese della guerra”, ma anche per tutto quello che può offrire dal punto di vista 
ambientale, naturalistico, culturale ed umano.
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CAPITOLO 1 
 
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE ALLO SVILUPPO 
 
 
1.1 Definizione, origini e motivazioni della cooperazione internazionale allo 
sviluppo 
 
1.1.1 Definizione di cooperazione internazionale allo sviluppo ed elementi 
caratterizzanti 
 
“Cooperazione internazionale allo sviluppo” è un’espressione tanto diffusa quanto 
confusa. Iniziamo quindi facendo un po’ di chiarezza, cercando di capire cosa 
effettivamente significa, quali sono i suoi elementi caratterizzanti, in quale contesto 
nasce e quali sono le sue motivazioni. 
La cooperazione internazionale allo sviluppo, o meglio, le politiche di cooperazione 
internazionale allo sviluppo (PCS) vengono definite: « l’insieme delle politiche attuate 
da un governo, o da un’istituzione multilaterale, che mirano a creare le condizioni 
necessarie per lo sviluppo economico e sociale duraturo e sostenibile in un altro Paese » 
(Bonaglia, de Luca, 2006, p. 10). Questa definizione, seppur inizia a delineare in modo 
più preciso la cooperazione internazionale allo sviluppo, non è però definitiva in quanto, 
come vedremo, nel corso degli anni si affacciano sulla scena della cooperazione nuovi 
attori e il suo significato è in continua trasformazione. 
La cooperazione può essere realizzata, come si vedrà nel corso degli anni, non solo dai 
governi o dalle organizzazioni internazionali, ma anche dai privati e dalle ONG 
(Organizzazioni Non Governative). 
 
L’elemento fondamentale delle PCS è il trasferimento di risorse verso i Paesi 
“bisognosi” tramite l’APS (Aiuto Pubblico allo Sviluppo). L’APS è l’insieme degli aiuti 
che i “Paesi sviluppati” mettono a disposizione per la cooperazione e quindi per aiutare i 
“Paesi sottosviluppati”. Queste risorse possono essere finanziarie oppure di assistenza 
tecnica. Le risorse finanziarie possono essere erogate sottoforma di doni oppure come
15
prestiti con un tasso di interesse agevolato. Le finalità dell’APS sono: supportare lo 
sviluppo economico e dare assistenza tecnica al Paese. 
Gli APS vengono gestiti dal DAC (Development Assistance Committee), un forum 
internazionale all’interno dell’OCSE che ha il compito di definire le linee guida e 
coordinare le politiche di cooperazione internazionale allo sviluppo fra i Paesi membri 
(Bonaglia, de Luca, 2006). All’interno dei singoli stati membri gli APS possono essere 
gestiti in due forme diverse anche se organizzate in modo simile: all’interno dei 
Ministeri, come ad esempio il caso italiano in cui gli APS sono gestiti dal MAE 
(Ministeri degli Affari Esteri), oppure da strutture pubbliche specializzate come nel caso 
statunitense con USAID (United States Agency International Development) (Carrino, 
2005).   
L’Aiuto Pubblico allo Sviluppo viene distribuito in base ad almeno tre diversi criteri: il 
canale di cooperazione, l’area geografica e il tipo di risorsa per la cooperazione. 
Vediamoli nel dettaglio. 
 
I canali della cooperazione possono essere di tre generi: bilaterali, multilaterali e 
multi- bilaterali (Bignante, Dansero, Scarpocchi, 2008).  
Il canale bilaterale prevede accordi diretti tra il governo donatore e il governo 
beneficiario, in questo canale è l’ente donatore a scegliere gli enti a cui affidare la 
gestione dei finanziamenti. Se l’Italia (Paese donatore), ad esempio, attraverso il MAE, 
decidesse di donare alla Bosnia Erzegovina (Paese beneficiario) indirebbe un bando a 
cui possono partecipare, ad esempio, le ONG riconosciute, presentando progetti coerenti 
con le richieste del MAE. Il vincitore del bando prende i finanziamenti da portare al 
Paese beneficiario sottoforma, ad esempio, di assistenza tecnica. Nel canale bilaterale i 
finanziamenti possono essere di due tipi: a credito di aiuto (molto agevolato) oppure a 
dono. Il finanziamento a credito di aiuto si usa generalmente per realizzare opere, 
impianti o forniture il cui ente esecutore è spesso il Paese donatore. Si tratta di un 
prestito con tassi di interesse molto agevolati (Carrino, 2005). Il finanziamento a dono, 
invece, realizza qualsiasi genere di intervento. Essi possono essere gestiti direttamente 
dall’agenzia pubblica (MAE), da imprese private selezionate, da ONG o da Enti 
Pubblici (Regioni, Provincie, Comuni). Come sottolinea la Legge n. 49/87  « La 
differenza principale tra le due forme di finanziamento è costituita dalla caratteristica
16
che nel credito di aiuto, a differenza del dono, il capitale prestato deve essere restituito, 
seppure a condizioni estremamente agevolate, cioè con tassi di interesse molto bassi e 
con periodi di rimborso molto lunghi. Altro fattore che distingue gli interventi di 
cooperazione finanziati con crediti di aiuto da quelli finanziati con doni è il grado di 
responsabilizzazione del Paese destinatario che nei crediti di aiuto è molto maggiore. »
1
  
Il canale multilaterale prevede, invece, che il Paese donatore finanzi progetti di un 
organismo multilaterale, quindi che finanzi gli interventi che si realizzano attraverso i 
programmi, fondi, istituti, agenzie specializzate e altre entità dell’ONU e della Banca 
Mondiale. Ad esempio, se l’UNICEF promuove un programma sulla malnutrizione dei 
bambini in Africa, i vari governi dei Paesi possono dare il loro contributo a questo 
progetto gestito dall’organizzazione internazionale. In altre parole l’ONU e le sue 
organizzazioni propongono dei progetti e chiedono il contributo ai vari Paesi donatori 
(donors).  
Infine, il canale multi- bilaterale si utilizza quando l’intervento deciso e finanziato a 
livello bilaterale, è affidato ad un organismo multilaterale. Ad esempio, se l’Italia 
attraverso il MAE decide di finanziare a credito di aiuto o a dono un qualsiasi PVS, 
mette in mano questa donazione ad un’organizzazione internazionale che la gestirà. 
(Bignante, Dansero, Scarpocchi, 2008). 
 
L’area geografica in base al quale viene erogato l’APS varia a seconda degli interessi 
economici-politici del Paese donatore. Non è automatico che il Paese più “bisognoso” 
riceva maggiori aiuti, anzi quasi sempre gli aiuti vanno sia a livello bilaterale, che 
multilaterale e multi- bilaterale a Paesi strategici per i membri del DAC o per i Paesi 
donatori. Si pensi che tra i primi 20 beneficiari degli APS in Italia per l’anno 2010 i 
primi tre classificati sono: Afghanistan, Albania e Territori Autonomia Palestinese. Con 
62.029.639 € di impegno in doni e crediti e 41.786.350 € di erogazioni effettive per 
l’Afghanistan, che si classifica al primo posto; al secondo posto c’è l’Albania, con 
40.500.158 € di impegno e 40.809.580 € di erogazioni sempre totali fra doni e crediti, e 
al terzo posto si classificano i Territori Autonomia Palestinese con 24.407.029 € di 
                                                 
1
  La cooperazione finanziaria nei Paesi in Via di Sviluppo, Legge n. 49/87 art. 6: 
http://www.esteri.it/MAE/IT/Politica_Estera/Economia/Cooperaz_Finanziaria/
17
impegni e 24.168.122 € di erogazioni
2
. Tutti e tre questi Paesi non rientrano nella 
classifica dei Paesi in assoluto più poveri e quindi tecnicamente più bisognosi al mondo 
dove ai primi tre posti, secondo l’indice GDP per capita (Gross Domestic Product) 
ovvero l’indice di Prodotto Interno Lordo (PIL) pro capite della Banca Mondiale per 
l’anno 2010, si classificano: Burundi (192 $ all’anno), Repubblica Democratica del 
Congo (199 $ all’anno) e Liberia (247 $ all’anno)
3
. Secondo invece lo “Human 
Development Report 2011 - Sustainability and Equity: A Better Future for All” per 
quando riguarda l’ISU cioè l’Indice dello Sviluppo Umano (HDI – Human Development 
Index) si classificano agli ultimi posti: la Repubblica Democratica del Congo (0,286), 
seguita dal Niger (0,295) e dal Burundi (0,316). Mentre per quel che riguarda il GNI 
(Gross Nation Income per capita), ovvero il Reddito Nazionale Lordo (RNL)
4
,  si 
classificano agli ultimi posti: la Liberia (265 $ all’anno), seguita dalla Repubblica 
Democratica del Congo (265 $ all’anno) e dal Burundi (368 $ all’anno)
5
. 
Questa breve analisi dei dati ci fa capire come al mondo esistano Paesi più poveri dei 
Paesi a cui effettivamente finiscono gli APS. L’Afghanistan, infatti, presenta un HDI di 
0,398, un GNI di 1.416 $ (dati aggiornati al 2010) e un GDP per capita di 362 $ (dati 
aggiornati al 2008). L’Albania, invece, ha un HDI di 0,739, un GNI di 7.803 $ e un 
GDP per capita di 3.678 $ (dati aggiornati al 2010). Infine i Territori Autonomi 
Palestinesi presentano un HDI di 0,641, un GNI di 2.656 $ e un GDP per capita non 
sono presenti i dati
6
. 
                                                 
2
 Fonte: elaborazione su dati DGCS, da “Il ministero degli affari esteri in cifre – Annuario Statistico 
2011”  
3
 Fonte dati: per l’indice GDP per capita: Banca Mondiale: 
http://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.PCAP.CD/countries/1W?display=default 
4
 La differenza tra il PIL e il RNL è che il PIL si riferisce alla produzione effettuata all’interno del Paese, 
cioè dai cittadini (non importa se nazionali o stranieri) operanti all’interno del Paese. Il PIL, quindi, 
utilizza come criterio “dove” è stato prodotto il valore aggiunto. Mentre il RNL (Reddito Nazionale 
Lordo o anche PNL cioè Prodotto Nazionale Lordo) utilizza invece come criterio la proprietà dei mezzi di 
produzione. Pertanto, verranno considerati nel PNL tutti i redditi percepiti dai cittadini del Paese. Non 
importa se questi redditi sono stati percepiti operando all’interno del Paese oppure all’estero. Quello che 
conta è che i fattori produttivi (nel nostro esempio il lavoro) siano di proprietà di cittadini nazionali.  
5
 Fonte dati: per gli indici HDI e GNI: “Human Development Report 2011 - Sustainability and Equity: A 
Better Future for All” UNDP, 2011 
6
 Fonte dati: vedi note 3 e 4;
18
 
Infine il tipo risorsa per la cooperazione può essere: la risorsa finanziaria, materiale 
oppure di assistenza tecnica. All’interno poi del tipo di risorsa scelta si potrà indirizzare 
l’intervento in un’area precisa: sociale, economica o produttiva (Bignante, Dansero, 
Scarpocchi, 2008). 
La risorsa finanziaria, come abbiamo visto prima, può essere a credito d’aiuto, quindi 
l’erogazione di un prestito con tassi d’interesse molto agevolati, oppure a dono. La 
risorsa materiale può essere di vario tipo, un esempio è la fornitura di cibo o di 
vestiario, mentre la risorsa di assistenza tecnica può essere rappresentata dal 
trasferimento di conoscenze tecniche in particolari ambiti. Quello di cui mi occuperò nel 
mio elaborato sarà principalmente la risorsa tecnica come trasferimento di know-how 
turistico. Per quanto riguarda invece i settori di intervento, sempre più spesso si tende a 
staccarsi dal processo per cui una risorsa specifica vada a finire in un ambito preciso. La 
tendenza non è più quella per cui un aiuto finanziario vada a supportare solamente, ad 
esempio, il settore produttivo, ma le risorse andranno sempre più verso un 
finanziamento di tipo multi-settoriale, per cui una risorsa finanziaria andrà a finire nel 
settore produttivo, ma cercando di avere ricadute positive e quindi di contribuire al 
finanziamento anche del settore sociale e di quello economico. Lo stesso discorso si può 
fare con le risorse che possono intersecarsi e andare ad incidere su più settori. 
 
Finora abbiamo dunque parlato di Aiuto Pubblico allo Sviluppo, ma non bisogna 
dimenticare l’importanza che ha acquisito negli anni l’aiuto privato allo sviluppo 
tramite le ONG e le associazioni no-profit. Questo genere di aiuto è molto difficilmente 
quantificabile, cambia per quantità, tipologia e metodologia in base alle varie ONG e lo 
analizzeremo meglio in seguito.  
 
1.1.2 Il contesto in cui nasce la cooperazione internazionale allo sviluppo 
 
Il contesto in cui nasce la cooperazione internazionale allo sviluppo è da collocarsi dopo 
la Seconda Guerra Mondiale in tre precisi momenti: il primo, nel 1945, con la firma 
della Carta delle Nazioni Unite e con la nascita dell’ONU; il secondo, nel 1948, con il 
Piano Marshall per la ricostruzione dell’Europa dopo la guerra e la creazione dell’OCSE
19
(Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) e il terzo, nel 1949, con 
il “discorso dei quattro punti” ovvero il discorso inaugurale del presidente statunitense 
Harry S. Truman (Carrino, 2005). 
 
Il 26 giugno 1945 a San Francisco (USA) viene firmata la Carta delle Nazioni Unite con 
la quale viene istituto l’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite). L’ONU nasce sotto 
la spinta degli USA e degli alleati che avevano sconfitto il nazifascismo: Cina, Francia, 
Regno Unito e Unione Sovietica. Con la Carta queste Nazioni dichiarano l’obiettivo 
dell’ONU: 
 
« Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della 
guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni 
all’umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel 
valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e 
delle nazioni grandi e piccole, a creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto 
degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altri fonti del diritto internazionale possano 
essere mantenuti, a promuovere il progresso sociale ed un più elevato tenore di vita in 
una più ampia libertà, e per tali fini a praticare la tolleranza ed a vivere in pace l’uno 
con l’altro in rapporti di buon vicinato, ad unire le nostre forze per mantenere la pace e 
la sicurezza internazionale, ad assicurare, mediante l’accettazione di principi e 
l’istituzione di sistemi, che la forza delle armi non sarà usata, salvo che nell’interesse 
comune, ad impiegare strumenti internazionali per promuovere il progresso economico 
e sociale di tutti i popoli, abbiamo risoluto di unire i nostri sforzi per il raggiungimento 
di tali fini. » (Carta delle Nazioni Unite, 1945). 
 
Il secondo momento in cui possiamo collocare la nascita della cooperazione 
internazionale è nel 1948 con il piano Marshall, denominato anche “Piano per la ripresa 
europea”. Esso è un piano politico-economico attuato dagli Stati Uniti a favore della 
ricostruzione dell’Europa in ginocchio dopo la Seconda Guerra Mondiale. George 
Marshall, segretario di stato statunitense, con il suo discorso del 5 giugno 1947 
dall’Università di Harvard, comunicò al mondo la decisione degli USA di elaborare e 
attuare un piano di aiuti economico-finanziari per l’Europa. Il piano Marshall iniziò nel
20
1948 per poi finire nel 1951 ed è il primo esempio importante di trasferimento di aiuti 
economico-finanziari a Paesi in difficoltà. Nel 1948 nasce anche l’OCSE 
(Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). La nascita di questo 
organismo fu dovuta all’esigenza di dar vita a forme di cooperazione e coordinamento 
in campo economico tra le nazioni europee nell’immediato dopo guerra. Oggi l’OCSE 
conta 34 membri e ha sede a Parigi, è un’organizzazione internazionale di studi 
economici per i Paesi membri, Paesi sviluppati aventi in comune un sistema di governo 
di tipo democratico ed un’economia di mercato. L'organizzazione svolge 
prevalentemente un ruolo di assemblea consultiva che consente un'occasione di 
confronto delle esperienze politiche, per la risoluzione dei problemi comuni, 
l'identificazione di pratiche commerciali ed il coordinamento delle politiche locali ed 
internazionali dei Paesi membri
7
. 
 
Il 20 gennaio 1949 il presidente statunitense Harry S. Truman pronunciò il suo discorso 
inaugurale, detto anche il “discorso dei quattro punti”. Nel quarto punto Truman dice: « 
dobbiamo avviare un chiaro nuovo programma affinchØ i vantaggi del nostro progresso 
scientifico e industriale siano disponibili per il miglioramento e la crescita delle aree 
sottosviluppate. Oltre metà della popolazione mondiale vive in condizioni di miseria. 
Non ha cibo a sufficienza. ¨ vittima di malattie. La sua vita economica è stagnante e 
primitiva. La sua povertà è uno svantaggio e una minaccia sia per sØ sia per le aree più 
prospere. »
8
. ¨ in questo contesto che per la prima volta viene usato il termine “aree 
sottosviluppate” e si inizia a parlare di “un’era dello sviluppo” (Estava, 1998). In poche 
parole viene affermato che l’emisfero Sud del pianeta è sottosviluppato mentre il Nord è 
implicitamente all’apice del progresso.  
 
 
 
 
 
                                                 
7
 OCSE, History: http://www.oecd.org/pages/0,3417,en_36734052_36761863_1_1_1_1_1,00.html 
8
 Harry S. Truman, Inaugural Address, January 20, 1949: http://www.bartleby.com/124/pres53.html