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INTRODUZIONE
La zona da cui provengo è la cosiddetta “bassa veronese”, il territorio
all’estremo Sud della provincia di Verona. Un’area, questa, disseminata di piccoli
paesi, piccole comunità, distese di campi e, nella stagione invernale, immersa
nella nebbia. Tanta nebbia. Questi, sono luoghi di tradizioni; tradizioni contadine
che si fondono con il capillare radicamento della tradizione cattolica.
Un ambiente, che dalla fine della seconda guerra mondiale e il ritorno alla
democrazia, venne dominato politicamente, ma anche culturalmente, dalla
Democrazia cristiana. La “Grande balena bianca” – così era soprannominato il
partito democristiano – era parte della vita quotidiana delle persone. Se in Emilia-
Romagna o in Toscana, le cosiddette “regioni rosse”, i punti di ritrovo della
maggior parte delle persone erano le Case del popolo, qui, nella bassa veronese e
in Veneto, i punti di aggregazione principali erano le parrocchie, le chiese e i
centri giovanili.
Questi erano luoghi d’incontro nei quali si diffondeva una determinata
pedagogia di popolo, fondata sui valori cristiani. Valori quali l’amore per la Casa,
per la Famiglia, per non parlare della dedizione quasi “protestante” per il lavoro.
Gli anni ’90 furono anni di transizione. A poco a poco, la Dc scomparve
dalla scena locale e nazionale, sommersa dagli scandali di un intero sistema
partitico. A tale perdita, la maggior parte delle donne e degli uomini che avevano
vissuto nel segno di quella tradizione, di quei valori, incarnati nel partito che fu di
De Gasperi, si trovò in un limbo. Un limbo dettato dalla venuta meno del
principale riferimento culturale e politico; la Democrazia cristiana era stata infatti
il raccordo, il punto di contatto, fra quel “Nord produttivo” e le istituzioni centrali.
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C’era dunque un vuoto; un vuoto anche valoriale, dato che anche la Chiesa
stava cambiando e l’ondata secolarizzante si stava facendo largo anche nel
bianchissimo Nord Italia.
Ma ecco, dunque, la Lega Nord. A metà degli anni ’90, un movimento del
tutto nuovo, un movimento dai toni sicuramente più aggressivi della vecchia Dc,
si faceva largo ed otteneva consensi in tutte quelle aree che, fino a pochi anni
prima erano state fortini democristiani.
I leghisti si presentarono come custodi dell’antica tradizione cristiana, dei
valori contadini e della laboriosità di un Nord, che, nella loro idea, stava subendo
il “latrocinio” e la “schiavitù” da parte di “Roma ladrona”.
Alla tradizione cristiana, però, andarono a mischiare un insieme di nuovi
simboli. Alle loro manifestazioni s’intravedevano druidi, personaggi trasvestiti da
guerrieri crociati, elmi vichinghi ed una simbologia che poco avevano a che fare
con l’antica tradizione cristiana che a parole si prefiggevano di custodire.
I giornalisti, gli opinionisti, la stampa nazionale bollarono queste insolite
dimostrazioni e manifestazioni come “carnevalate”, puro e semplice
“folklorismo”. Nessuno li prese mai sul serio, i leghisti e i loro druidi.
Premettendo che chi scrive si è da sempre trovato su posizioni opposte e
contrarie rispetto alla proposta politica della Lega Nord, sono sempre stato
affascinato dal fenomeno leghista, non solo dal punto di vista politico, ma, in
particolare, dal punto di vista socio-culurale.
In questo elaborato, il mio intento sarà quello di capire, attraverso uno
studio attento dei documenti leghisti, se quelle “carnevalate”, quel “folklorismo”
tanto denigrato, fossero invece qualcosa di più. Un qualcosa come un
immaginario, una mitologia, un culto paganeggiante volto a trascendere la
semplice sfera politica.
Questa mia idea e progetto nascono principalmente da due mie letture di
questi anni universitari: il saggio Le religioni della politica, scritto dal celebre
storico Emilio Gentile, e l’opera del sociologo delle religioni americano Robert
Nelly Bellah, Civil religion in America (La religione civile in America). In queste
due opere gli autori attestano come dietro al pragmatismo della politica
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contemporanea, molto spesso, ci sia anche la presenza di un discorso, se
vogliamo, religioso. La politica che incrocia dunque la religiosità e che quindi,
attraverso il ruolo del “capo” che diventa alla stregua di un “sacerdote”, assume
un valore sacrale.
Questo è filo di ricerca lungo il quale intendo sviluppare questo mio
elaborato, andando a tracciare per prima cosa una storia del movimento leghista,
dalle origini fino agli anni ’90, per poi passare all’analisi delle varie forme di
sacralizzazione politica, e per arrivare, infine, allo studio del caso leghista. Il tutto,
con lo spirito critico di colui che studia e fa ricerca, scevro da pregiudizi e
conclusioni affrettate.
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CAPITOLO 1
NASCITA, SVILUPPO E ASCESA DEL LEGHISMO (1980-
1996): CENNI STORICI
1.1. LA SITUAZIONE INTERNAZIONALE E ITALIANA TRA LA FINE
DEGLI ANNI ’70 E I PRIMI ANNI ’80
Gli anni che vedono, se pur ad un livello ancora localistico, l’affermazione
del fenomeno delle leghe, si possono considerare come un periodo di importanti
cambiamenti, in particolare sul piano economico e politico.
Innanzitutto, la rivoluzione informatica e tecnologica, unita a quella delle
comunicazioni, dà il via a «processi di cambiamento e di riconversione dell’intero
sistema produttivo che portano ovunque un rallentamento dell’economia,
inflazione e disoccupazione».
1
Tutto ciò viene seguito da una significativa crisi
dello Stato Sociale, con i maggiori paesi che si trovano in difficoltà nel gestire il
progressivo invecchiamento della popolazione ed una sempre più ampia
espansione dei sistemi d’istruzione pubblici.
Sul palcoscenico della politica internazionale, la seconda metà degli anni
‘70 vede il riaffiorare dello scontro Usa-Urss, nonostante i trattati sul disarmo
2
firmati tra le due superpotenze nei primi anni ‘70. In Italia, il dibattito politico si
infiamma sulla questione degli euromissili, la quale si conclude in parlamento nel
1979, a favore dell’installazione di questi sistemi d’arma, con l’unica opposizione
del Pci.
1 Simona Colarizi, Storia politica della Repubblica. 1943-2006,
Laterza, Roma-Bari, 2007, p. 140.
2 Il Salt I (Strategic Armaments Limitations Talks) viene firmato dal
presidente americano Richard Nixon e dal sovietico Leonid Breznev nel
1972, mentre il Salt II vide l’accordo fra lo stesso Breznev ed il presidente
Gerald Ford, successore di Nixon.
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Sempre sul piano della politica italiana, termina l’esperienza della
solidarietà nazionale, che aveva visto l’inedita formula del governo della “non
sfiducia”: un monocolore Dc guidato da Giulio Andreotti con l’astensione di Pci,
Psi, Psdi e Pri. Nel 1979 i partiti si preparano ad una nuova tornata elettorale.
Proprio i partiti, i principali soggetti che avevano dominato il quadro istituzionale
della penisola per anni, vengono ora colti impreparati da quelle trasformazioni
economiche globali di cui si è parlato in precedenza, arenati su posizioni inadatte
a trovare le possibili soluzioni per far fronte a nuovi sconvolgimenti d’equilibri.
Riemergono così, in maniera sempre più marcata, alcune contraddizioni
antiche, ma mai realmente sopite, della società italiana: la frattura fra centro e
periferia, fra Nord e Sud del paese, fra pubblico e privato, e, per l’appunto, fra
attori politici e società civile. Ecco, di quest’ultima frizione, in particolare, si
possono notare le avvisaglie già con il movimento del ’77: un’ondata di
contestazioni studentesche, che per certi aspetti richiamavano la stagione
sessantottina, ma con accenti maggiormente violenti. Questi giovani si definivano
«autonomi», nella volontà di evidenziare il loro distacco da qualsiasi
riconoscimento in qualsivoglia forza politica e addirittura sindacale. Esemplare di
questo scollamento tra la base giovanile e l’istituzione sindacale è la feroce
contestazione contro il leader Cgil Luciano Lama, in occasione di un incontro a
«La Sapienza» di Roma.
La frizione fra politica e società civile trova successivamente espressione in
occasione del referendum abrogativo dell’11 giugno 1978, riguardante la legge sul
finanziamento pubblico ai partiti. Nonostante la vittoria del «No» con il 56,4% dei
voti, elevata si attesta la percentuale di coloro che si sono pronunciati per
l’abolizione del finanziamento alle forze politiche: 43,6%.
É la «crisi strisciante della partitocrazia»
3
, che negli anni ‘90 avrebbe poi
trovato il suo apice con le inchieste giudiziarie di Mani pulite, e che in ultima
avrebbe portato al crollo del sistema partitico primorepubblicano. In questo
quadro, viene progressivamente meno il «paradigma dell’instabile stabilità»
4
che
3
Colarizi, Storia politica della Repubblica, cit., p. 140.
4
Ilvo Diamanti, La Lega. Geografia, storia e sociologia di un nuovo
9
aveva caratterizzato la politica italiana a partire dalla conventio ad excludendum
del 1947. Se nell’«instabile stabilità» la Democrazia cristiana, pur nel mutamento
degli esecutivi, era rimasta infatti costantemente la forza egemone dal punto di
vista dei consensi con un Pci saldamente all’opposizione, nei primi anni ’80 la
solidità elettorale del partito cattolico incomincia ad essere messa in discussione
dall’exploit delle leghe che «si presentano come un collettore dei mutamenti e
delle tensioni che hanno attraversato la società italiana e in particolar modo le aree
periferiche del Nord».
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1.2. FRANCO ROCCHETTA E LA LIGA VENETA: «EL LEÒN CHE
MAGNA EL TERÒN»
6
Per arrivare alla nascita della Lega Nord, quel movimento che il 4 ottobre
1991 il “Wall Street Journal” aveva definito come «il più influente agente di
cambiamento della scena politica italiana»
7
, bisogna risalire all’esperienza della
Società Filologica Veneta. É un cenacolo culturale, attorno al quale, a partire dal
16 febbraio 1977, si radunano i primi esponenti dell’autonomismo veneto. Lo
scopo è quello «riaffermare il diritto della nazione veneta al mantenimento e allo
sviluppo della propria cultura, della propria lingua, delle proprie radici e della
propria identità».
8
Si riscoprono molte opere, da quelle più elevate del Goldoni, fino alle più
leggere e facete come la «lirica porcella del mitico Giorgio Baffo»
9
:
soggetto politico, Donzelli editore, Roma, 1993.
5
Diamanti, La Lega, cit., p. 10.
6
«El leòn che mangna el teròn» era uno degli slogan razzisti più
utilizzati dai leghisti veneti al primo congresso della Liga tenutosi a Recoaro
Terme il 9 dicembre 1979. «El leòn», in gergo dialettale veneto, è
l’appellativo utilizzato per indicare la stessa Liga Veneta. Fonte: La
parabola di Umberto, da Pavia ai fischi di Milano, 06/04/2012,
http://www.ilsole24ore.co.uk
7
Francesco Jori, Dalla Liga alla Lega. Storia, movimenti,
protagonisti, Marsilio Editori, Venezia, 2009, p. 83.
8
Jori, Dalla Liga alla Lega, cit., p. 36.
9
Gian Antonio Stella, Dio Po. Gli uomini che fecero la Padania,
Baldini&Castoldi, Milano, 1996, p. 107. Giorgio Baffo (Venezia, 11 agosto
10
Senza starve a cantar d’arme e d’amor
senza dirve de guerre e de fracassi
per sodisfar el genio e un certo umor
voggio cantarve de la Mona i spassi.
No voi però che ve metté in rumor
siben che sti me versi è troppo grassi
perché ve voi provar con rason bona
che tutti i mali nasse da la Mona.
Tra i cultori di questa Società Filologica c’è anche il trentenne Franco
Rocchetta, veneziano, figlio di un imprenditore del settore laniero, per anni fuori
corso a medicina. Rocchetta è un idealista: assieme ai suoi, sogna il “giorno
dell’indipendenza” per il Veneto e vorrebbe trasformare l’associazione culturale
in un vero e proprio progetto politico.
Ad accogliere, quasi provvidenzialmente, l’idea di Rocchetta e compagni è
l’Union Valdôtaine, partito autonomista della Valle d’Aosta guidato da Bruno
Salvadori. Gli autonomisti valdostani offrono ai veneti la possibilità di partecipare
con un loro candidato alle elezioni europee del 10 giugno 1979. Il candidato di
Rocchetta è Achille Tramarin, insegnante padovano di storia dell’arte che,
nonostante la campagna elettorale fai da te, riesce ad ottenere circa 8.000
preferenze.
Il risultato esalta i pionieri del leghismo veneto e li stimola a continuare
sulla strada della fondazione di un nuovo soggetto politico. Il 9 dicembre 1979,
presso il Gran Caffè Municipale di Recoaro Terme, il sogno si realizza. Achille
Tramarin, all’inizio della conferenza “Autonomia veneta ed Europa”, sancisce con
queste parole la nascita di un nuovo attore politico nella scena politica veneta:
1694 – Venezia, 30 luglio 1768), nato da una famiglia del patriziato
veneziano, dedicò la sua vita alla lirica di carattere erotico e profondamente
anticlericale.
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“Oggi per i Veneti è giunto il momento, dopo 113 anni di colonizzazione unitaria italiana,
di riappropriarsi delle loro risorse naturali ed umane, di lottare contro lo sfruttamento selvaggio
che ha portato miseria, emigrazione, inquinamenti e sradicamento della propria cultura”.
10
Il 16 gennaio 1980 poi, presso il notaio Todeschini di Padova, nasce
ufficialmente la Liga Veneta, quella che successivamente il leader Rocchetta, in
un’intervista al sociologo Marc Lazar, chiamerà «la madre di tutte le leghe».
11
1.3. NON SOLO LIGA VENETA: CENNI STORICI
SULL’AUTONOMISMO PRIMA DEL LEGHISMO
Nel panorama politico dei primi anni ’80, il movimento di Franco Rocchetta
si presenta sicuramente come emblema delle nuove fratture e delle istanze
autonomiste di cui si è discusso nei precedenti paragrafi.
Tuttavia, diversi anni prima della comparsa della Liga, il principio
dell’autodeterminazione aveva già ispirato non pochi personaggi, che si
potrebbero definire come i “pionieri dell’autonomismo”.
In ordine temporale, già dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale,
troviamo l’affermarsi di formazioni regionaliste. Si pensi ad esempio al caso della
Valle d’Aosta, dove nel 1945 abbiamo il primo nucleo della già menzionata
Union Valdôtaine (Unione Valdostana).
Negli stessi anni, in Alto Adige, si vede la nascita del Sudtiroler Volkspartei
(Partito Popolare Sudtirolese) e successivamente, durante gli anni cinquanta e
sessanta, si sviluppa un agguerrito movimento indipendentista.
Indipendentismo altoatesino che sfocia presto anche in forme di terrorismo.
Esempio di questo secessionismo armato è l’esperienza dell’ex volontario della
Wehrmacht Georg Klotz.
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Nel corso degli anni sessanta, assieme
all’organizzazione terroristica Befreiungsausschuss Südtirol (Movimento di
10
Jori, Dalla Liga alla Lega, cit., p. 43.
11
Cit. in Jori, Dalla Liga alla Lega, p. 35.
12
Gian Antonio Stella, L'elogio del Santo Martellatore, 22/11/2012,
http://www.corriere.it/cultura