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A conclusione di questo capitolo, sono stati schematizzati in tabelle i risultati della 
ricerca di un corpus di circa duecento parole siciliane su alcuni dizionari del siciliano e 
filologici, al fine di comprendere quali termini hanno più probabilità di essere derivati 
dalla presenza della lingua spagnola in Sicilia. La scelta dei dizionari, poi, non è stata 
casuale, ma è basata sulla necessità di avere diversi punti di vista per ottenere una buona 
base di partenza per l‟analisi dei termini contenuti nel corpus preso in esame. 
Il dizionario di Vincenzo Mortillaro, datato 1853, è uno dei primi dizionari siciliano– 
italiano, elaborato qualche secolo dopo la fine della dominazione spagnola in Sicilia, 
quindi, considera un siciliano molto vicino a quello parlato nel periodo che ha visto la 
presenza iberica in Sicilia e rappresenta una delle fonti più autorevoli per l‟analisi 
lessicografica del siciliano moderno.  
Inoltre, la figura dell‟autore è di particolare importanza per via del contributo offerto 
dallo studioso in ambito politico, storico e letterario. 
Il secondo dizionario preso in esame è quello di Andreas Michel, del 1996. La scelta 
di utilizzare questo testo per la comparazione dei termini presenti nel corpus deriva dal 
fatto che questo dizionario rappresenta uno dei pochi esempi di pubblicazioni recenti 
sull‟argomento di questa tesi, inoltre, fornisce un‟analisi specifica di numerosi termini. 
Il terzo dizionario è un‟opera del XVI secolo dell‟autore spagnolo Scobar, nata dalla 
traduzione del vocabolario realizzato da Elio Antonio da Nebrija, maestro di 
quest‟ultimo. L‟opera di Nebrija, il Dictionarium latinum–hispanicum et hispanicum–
latinum, infatti, era già stato pubblicata in Spagna intorno al 1492 e fu il primo 
dizionario latino– spagnolo realizzato con la conoscenza di entrambe le lingue. L‟opera 
di Scobar, oltre a registrare circa tremila voci del dialetto, è considerata un importante 
veicolo della diffusione e dello sviluppo dell‟umanesimo sull‟isola. 
Gli ultimi due testi presi in esame, infine, sono due dizionari filologici. In particolare, 
quello di Giarrizzo è uno dei pochi esempi di dizionari filologici siciliani dati alle 
stampe negli ultimi anni. D‟altro canto, anche quello realizzato da Varvaro nel 1986 (tre 
anni prima di quello di Giarrizzo) è un dizionario filologico estremamente curato e 
molto dettagliato, ma il suo limite più evidente è quello di contenere termini solo dalla 
lettera A alla L, a dimostrazione della scarsità di testi validi su cui basare un‟analisi 
approfondita. 
 
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I risultati ottenuti attraverso l‟osservazione dei testi sopracitati, poi, hanno portato ad 
un secondo livello di studio. L‟ultima parte, infatti, prende in considerazione le varianti 
evidenziate dalla ricerca e le verifica su diversi dizionari per evidenziarne eventuali 
ipotesi e collegamenti con i temi trattati in questa sede. 
Oltre ad un approfondimento del tema della variante linguistica anche dal punto di 
vista sociolinguistico, la terza parte di questo lavoro propone una schematizzazione ed 
un‟analisi di alcune delle varianti più significative emerse dal confronto con i termini 
contenuti nei dizionari di riferimento. Uno dei fini principali della metodologia usata è 
quello di mostrare con chiarezza le relazioni tra lingua spagnola e dialetto siciliano in 
riferimento anche all‟uso odierno di questi sistemi linguistici. 
Lo studio cerca di essere, insomma, quanto più esaustivo nella scelta delle tematiche, 
linguistiche e non, che influenzano le relazioni tra dialetto siciliano e lingua spagnola, 
tenendo conto della difficoltà insita in questa scelta, dal momento che scindere 
l‟influenza spagnola a livello semantico –ma non solo– da quella francese o, in 
generale, romanza non risulta semplice da un punto di vista scientifico. 
Tuttavia, nel complesso, sono emersi dei temi molto significativi in qualsiasi analisi 
che tenga conto del contatto tra due lingue e della loro evoluzione, inoltre, è stato 
possibile provare quanto il contatto tra popolazioni possa essere profondo sia a livello 
culturale e, conseguentemente linguistico e quanto questo emerga nella penetrazione 
della lingua a tutti i livelli e campi semantici del dialetto, per quanto riguarda il caso 
specifico preso in esame in questa sede. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Capitolo Primo 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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1. Situazione generale: la Sicilia spagnola 
 
La dominazione spagnola in Sicilia iniziò il 23 gennaio 1516, nel momento in cui 
Carlo V divenne re di Spagna, e si concluse il 10 giugno 1713 con la pace di Utrecht, 
momento in cui l‟isola passò sotto il dominio dei Savoia. 
Tuttavia, la Sicilia era divenuta possedimento degli spagnoli già nei secoli 
precedenti, quando nel 1282 Palermo si ribellò ai dominatori angioini, determinandone 
la cacciata. Questo episodio passò alla storia sotto il nome di “Vespri Siciliani”, 
successivamente ai quali, la corona aragonese entrò in possesso della Sicilia. 
Gli storici hanno dato giudizi contrastanti sull‟operato dei governanti spagnoli 
sull‟isola. Alcuni, ricollegandosi al decrescere dello strapotere feudale sotto i viceré e 
all‟importanza strategica assunta dalla Sicilia nelle politiche espansionistiche spagnole 
nel Mediterraneo, hanno dato un giudizio positivo. Altri, invece, come affermato da 
Cucinotta (1996), hanno sottolineato che: 
 
il lungo sforzo di guerra finì con lo stremare l‟economia siciliana e infine la fedeltà 
dei baroni altro non era che la moneta che essi pagavano per i vantaggi che 
godevano in quanto classe privilegiata. Il fatto è che la dominazione spagnola non 
rinnovò strutture, non agevolò il formarsi di una nuova classe dirigente, non 
promosse attività economiche e istituti giuridici che valessero a dare un volto 
nuovo e migliore alla civiltà di un popolo (Cucinotta 1996: 98). 
 
Il governo spagnolo in Sicilia si limitò ad organizzare l‟apparato amministrativo 
quanto bastava per ridurre gli abusi della nobiltà e riscuotere, quindi, maggiori tributi, 
oltre a cercare di piegare questa al potere centrale. Il fine era, secondo Mack Smith 
(1971: 145), rafforzare l‟assolutismo regio senza intaccare i privilegi baronali, i quali, al 
contrario, erano usati per tenere a bada i nobili. L‟autore afferma, inoltre, che: 
 
Ogni viceré, quando tornava in Spagna, redigeva un rapporto generale sul proprio 
lavoro, ma questi rapporti si rassomigliavano tutti, talvolta al punto di sembrare 
copiati; di rado essi penetravano in profondità (Mack Smith 1971: 146). 
 
 
 
 
 
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Le relazioni fra nobili spagnoli e siciliani furono, in generale, buone e questo è anche 
dimostrato dal fatto che i primi tentarono di “sicilianizzarsi” sposando donne dell‟isola, 
in modo da poter accedere, tra l‟altro, a quegli uffici riservati agli autoctoni. 
Un altro ceto a godere di enormi privilegi era il clero, tutelato anche dalla presenza 
del tribunale del S. Uffizio. Quest‟organismo, oltre ai poteri riconosciutigli dalla 
monarchia, se ne attribuì molti autonomamente, al punto da diventare un problema agli 
occhi di alcuni viceré che tentarono di invertire questa tendenza. Cucinotta, infatti, 
sottolinea come 
 
L‟inquisizione, oltre a mandare al rogo o alla tortura migliaia di persone, impose in 
Sicilia, come già in Ispagna, la cacciata degli Ebrei, abbastanza numerosi 
nell‟isola, con pregiudizio per l‟economia siciliana. Durante la dominazione 
spagnola, crebbe la manomorta e si moltiplicò il numero dei conventi (Cucinotta 
1996: 98– 99). 
 
La borghesia, a differenza di clero e nobiltà, non godeva di privilegi, anche se 
tentava di acquisire maggiore partecipazione all‟amministrazione cittadina.   
Leggermente migliore era la situazione degli artigiani, i quali erano organizzati in 
maestranze che garantivano loro limitate tutele. 
Del tutto infime, al contrario, le condizioni di vita della plebe, caratterizzate, 
soprattutto nelle campagne, da ignoranza e  superstizione. 
 
2. Viceré 
 
Il giudizio sulla dominazione spagnola in Sicilia è controverso, infatti, resta difficile 
sia provare che smentire quanti sostengono che il declino economico, l‟arricchimento 
della classe baronale e altri problemi che hanno afflitto l‟isola e che, in un certo senso, 
possono essere ritrovati in alcune caratteristiche attuali, siano imputabili esclusivamente 
all‟esempio fornito dal governo spagnolo. 
 
 
 
 
 
 
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Sicuramente, come afferma Mack Smith: 
 
la politica spagnola tendeva dichiaratamente più alla conservazione che al 
progresso […]. I viceré non furono incaricati di progettare delle riforme sostanziali. 
Il loro interesse prevalente era mantenere tranquillo il paese, fornire pane a basso 
costo, adeguate fortificazioni e salari per l‟esercito. Essi avevano il compito di 
salvaguardare i privilegi reali, di reprimere il banditismo, e naturalmente di 
riscuotere la maggior quantità possibile di imposte (Mack Smith 1971: 145). 
 
D‟altro canto, però, l‟incarico di viceré in Sicilia risultava estremamente 
impegnativo. Accontentare i siciliani non era semplice, infatti, la maggior parte dei 
governatori fu accusata di essere troppo forte o troppo debole. Inoltre, le motivazioni 
che spingevano i sovrani spagnoli a scegliere un uomo per l‟incarico di viceré non erano 
sempre quelle più consone, ma spesso erano ragioni di comodo a determinare tali scelte, 
come la volontà di esiliare un individuo dalla Spagna. 
La carica di viceré non prevedeva che questi giudicasse in modo discrezionale o che 
lo facesse solo quando la situazione non fosse già regolamentata, per questo motivo, il 
viceré può essere considerato esecutore delle leggi, tenendo sempre presente il loro fine 
ultimo. Solo il sovrano poteva, infatti, decidere se fosse il caso di sollevare qualcuno 
dall‟obbligo di rispettare una regola, ma bisognava, comunque, che fosse per una giusta 
causa. 
Tuttavia, i viceré erano soliti commettere degli abusi e, anche se, a differenza del re, 
dovevano rendere conto del loro operato e quindi guardarsi dal contravvenire alle leggi 
o dall‟eccedere nell‟uso dei loro poteri. Riguardo alla figura del viceré, infatti, Sciuti 
Russi (1984: LII) afferma che: 
 
Egli era l‟esecutore delle leggi, e nel suo governo «no se podrá engañar el virrey, ni 
sugetar a error, estando determinada la mayor parte de las cosas por leyes 
communes y particulares de la provincia», e soprattutto «por tener el rey muchos 
ministros para su interpretación y ejecución». Né [...] queste affermazioni 
dovevano intendersi dirette a comprimere eccessivamente i poteri sovrani del 
viceré nell‟isola, dal momento che gli stessi monarchi si compiacquero di agire in 
conformità al diritto[…](Sciuti Russi 1984: LI).