1. INTRODUZIONE 
1.1 Le specie alloctone e le invasioni biologiche 
L‟incremento esponenziale della popolazione umana e dell‟uso 
delle risorse naturali ha causato l‟aumento delle attività legate all‟industria 
e all‟agricoltura (includendo silvicoltura, pastorizia, ecc.). Questo urban 
sprawl (Frumkin, 2002) ha prodotto una serie di modificazioni ambientali 
a scala globale: una crescente concentrazione di CO nell‟atmosfera; la 
2
produzione e il rilascio di nuovi e persistenti composti organici come i 
clorofluorocarburi (CFC) e i policlorobifenili (PCB); l‟alterazione dei cicli 
biogeochimici dell‟azoto, zolfo e altri elementi; cambiamenti nell‟uso e 
copertura del suolo; la frammentazione, la degradazione e l‟isolamento 
degli habitat naturali; la rimozione dei grandi predatori e consumatori in 
ambienti terrestri e marini causata dall‟attività venatoria; le invasioni 
biologiche da parte delle specie alloctone (Vitousek et al., 1997). 
L‟introduzione di specie alloctone al di fuori della loro distribuzione 
geografica nativa rappresenta una seria e crescente minaccia alla 
conservazione della biodiversità mondiale (Vitousek et al., 1997). Infatti, 
questo evento inserisce elementi estranei in un contesto ambientale ove 
sono presenti popolazioni di specie animali autoctone. Queste ultime sono 
il risultato di un lungo processo coevolutivo con le specie vegetali 
indigene e con la storia e i processi ecologici locali (Gatto e Casagrande, 
2003). Il numero e la varietà delle specie recentemente introdotte ha 
avviato un processo di progressiva alterazione di preesistenti strutture 
dinamiche di specie e comunità naturali, anche in relazione al fatto che tali 
introduzioni hanno portato ad annullare l‟isolamento ecologico ed 
INTRODUZIONE 77 
evolutivo indotto dalle barriere biogeografiche. L‟introduzione 
antropogena di specie alloctone può, quindi, essere considerato uno tra gli 
effetti collaterali del fenomeno noto oggi come globalizzazione, che sta 
portando anche ad una progressiva “uniformità biologica” dei continenti 
(Vitousek et al., 1997; Scalera, 2001b). 
Le specie che, in seguito ad un accidentale o intenzionale rilascio, 
riescono ad acclimatarsi, riprodursi e infine naturalizzarsi nei nuovi 
ambienti, sono tuttavia ridotte, anche rispetto al considerevole numero di 
introduzioni che si riscontrano in tutto il mondo. Questo avviene sia per 
cause demografiche (un numero troppo piccolo di individui può non 
essere in grado di consentire l‟effettiva colonizzazione di un‟area), sia per 
cause ecologiche (presenza di predatori e di fattori ambientali fortemente 
limitanti; Andreotti et al., 2001). 
In alcuni casi però, in assenza di predatori naturali, le specie 
alloctone riescono ad insediarsi con popolazioni stabili e a riprodursi tanto 
da non rappresentare più solo un elemento di novità dal punto di vista bio-
ecologico ma una vera e propria minaccia, causando gravi danni non solo 
di natura ecologica (a livello di comunità, ecosistemi, processi), entrando 
in competizione con le specie autoctone per le risorse trofiche, ma anche 
di tipo economico (ai raccolti e agli animali di allevamento) e igienico-
sanitario, con effetti sulla salute umana (Vitousek et al., 1997). Le specie 
alloctone che hanno un tale impatto sulla componente antropica, sulla 
biodiversità e i processi sono note come “specie invasive” (SI). 
Williamson (2006) ha calcolato che su dieci specie introdotte, in media 
solo una riesce a insediarsi in natura e che per dieci specie insediate, in 
media solo una diventa invasiva. 
Tra i vertebrati, l‟introduzione di specie alloctone si colloca al 
secondo posto, subito dopo la distruzione dell‟habitat, tra le cause di 
INTRODUZIONE 88 
estinzione (20%) e minaccia (12%) delle specie di uccelli a livello 
mondiale (Gatto e Casagrande, 2003). 
Al fine di conservare la biodiversità e di contrastare e gestire in 
maniera più consapevole le invasioni da parte di specie alloctone, si sono 
attivate diverse organizzazioni internazionali. Le più importanti sono: 
lo IUCN (World Conservation Union), che, dal 1948, ha 
l‟obiettivo di “influenzare, incoraggiare e assistere le società 
del mondo al fine di conservare l'integrità e la diversità della 
natura e di assicurare che qualsiasi utilizzo delle risorse 
naturali sia equo ecologicamente sostenibile” (IUCN, 2008); 
la CITES (Convention on International Trade in Endangered 
Species of Wild Fauna and Flora), che, dal 1975, opera per 
assicurare che il commercio internazionale delle specie 
selvatiche non minacci la loro sopravvivenza; 
il GISP (Global Invasive Species Programme), stabilito 
durante il primo meeting internazionale sulle specie invasive 
tenuto a Trondheim in Norvegia nel 1996, la cui missione è 
quella di conservare la biodiversità floristica e faunistica 
minimizzando la diffusione e l‟impatto delle specie invasive; 
l‟ISSG (Invasive Species Specialist Group), che gestendo il 
Global Invasive Species Database (GISD), promuove e 
facilità lo scambio di informazioni e di conoscenze sulle 
specie invasive e garantisce uno strumento utile agli 
interventi gestionali. 
INTRODUZIONE 99 
1.1.1 Il problema delle specie alloctone in Europa e in Italia 
In Italia, come in tutta Europa, gli avvistamenti e le catture di 
individui di specie alloctone, sfuggite accidentalmente o rilasciate 
intenzionalmente sono sempre più frequenti (Scalera, 2001a). 
Nell‟ambito del Sesto Programma Quadro di ricerca dell‟Unione 
Europea (P.Q6), è stato finanziato il progetto DAISIE, che consiste in un 
portale informativo sulle invasioni biologiche in Europa. Esso ha 
individuato 8996 specie alloctone invasive che minacciano gli ambienti 
1
marini, terrestri e d‟acqua dolce europei. 
L'articolo 1 della legge regionale 14 dicembre 1990, n. 89, definisce 
animali alloctoni “i mammiferi, gli uccelli, i rettili, gli anfibi delle specie 
facenti parte della fauna selvatica esotica, le cui popolazioni vivono 
stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nei paesi di 
origine, delle quali non esistono in Italia popolazioni naturali anche se gli 
2
esemplari si sono riprodotti in stato di cattività nel territorio nazionale”. 
Sul territorio italiano sono state individuate più di 110 specie di uccelli 
alloctoni (Andreotti et al., 2001), appartenenti soprattutto all‟Ordine degli 
3
Psittaciformi e a quello dei Passeriformi (Scalera, 2001a). Fonti ANSA 
confermano un aumento anche nelle segnalazioni di specie di pappagalli, 
come amazzoni e ara ararauna, rinvenute o consegnate agli agenti del 
Corpo Forestale dello Stato. Dati stimati dall‟Ufficio Traffic del Wwf 
(2008), che monitora il commercio della fauna selvatica, in riferimento 
1
 “About DAISIE”, disponibile all‟url: http://www.europe-aliens.org/aboutDAISIE.do, consultato il 
10/10/2009. 
2
 “Regolamento regionale 27 gennaio 1997, n. 1”, disponibile all‟url: 
http://www.regione.lazio.it/web2/contents/normativa/dettaglio_regolamento.php?id=69&tipo=tc&nreg
=&anno=&testo= , consultato il 2/11/2009. 
3
 “Sempre più pappagalli esotici nelle case degli italiani”, disponibile all‟url: 
http://www.bioparco.it/forma/news/news_ID960.php, consultato il 2/11/2009. 
INTRODUZIONE 1010 
alle importazioni di Psittaciformi, indicano, solo in Italia, 45.000 individui 
trasportati con un trend cha va dai 6.000 del 1995 ai 19.000 del 2000. 
Tra le specie di uccelli che si sono maggiormente adattate a vivere 
negli ambienti urbani italiani, sfruttando al meglio le opportunità offerte 
dalla convivenza con l‟uomo e con le sue attività, si inseriscono 
principalmente quattro specie di pappagalli: 
1) il Parrocchetto dal collare (Psittacula krameri, Scopoli, 
1769), che è la specie più comune, è una presenza ormai 
stabile in diverse città, dal Nord al Sud Italia (Genova, Roma, 
Napoli, Lecce, Catania, Palermo e Siracusa; Angelici, 1986; 
Andreotti et al., 2001; Pitzalis et al., 2005); 
2) il Parrocchetto monaco (Myiopsitta monachus, Boddaert, 
1783), meno diffuso del Parrocchetto dal collare, ma 
comunque presente in molte città come Pavia, Bergamo, 
Pastrengo e Verona, ma anche a Udine, Trieste, Genova, 
Modena, a Roma e sul litorale della capitale, a Molfetta e a 
Catania (Andreotti et al., 2001; Pitzalis et al., 2005); 
3) l‟Amazzone fronte blu (Amazona aestiva, Linneus, 1758), 
con una popolazione stabilizzata a Genova costituita da una 
trentina di individui (Andreotti et al., 2001); 
4) il Pappagallo ondulato (Melopsittacus undulatus, Shaw, 
1805), con popolazioni stabili e nidificanti a Roma (Villa 
Pamphilj) fin dai primi rilevamenti nel periodo dal 1999 al 
2004 (Andreotti et al., 2001; Pitzalis et al., 2005). 
INTRODUZIONE 1111 
1.2 Ordine Psittaciformes 
1.2.1 Origini evolutive dell’ordine Psittaciformes 
L‟ordine degli Psittaciformi (Psittaciformes), a cui appartengono i 
pappagalli, si inserisce all‟interno della classe tassonomica degli Uccelli 
(Aves), e si distingue dagli altri per i particolari elementi morfologici che 
caratterizzano gli animali che ne fanno parte. Le probabili origini 
evolutive degli Psittaciformi sono state ricostruite analizzando dati 
morfologico-funzionali, ecologici, filogenetici, biogeografici, geologici, e 
paleoecologici. Tali studi hanno rivolto particolare attenzione alle 
caratteristiche distintive del becco e delle zampe (Cracraft, 2001; 
Homberger, 1991; 2003). 
I pappagalli sono dotati di un tozzo, robusto becco adunco, formato 
da una corta mandibola e una mascella superiore che, non essendo fusa 
con il cranio, permette una maggiore fluidità dei movimenti della testa e 
del becco. Tale apparato boccale è un ottimo strumento per rompere i 
resistenti rivestimenti legnosi di alcuni frutti di cui si cibano, per tagliare, 
afferrare e strappare foglie o ramoscelli usati da alcune specie, per la 
preparazione di una lettiera nei nidi prima della deposizione delle uova, ed 
anche, come nel caso del pappagallo monaco, per la costruzione e il 
mantenimento dei nidi. In particolare, le strutture specializzate (scaglie 
ossee trasversali) presenti lungo il perimetro del lato interno della 
mascella superiore ricurva, forniscono maggiore presa all‟animale nel 
momento in cui afferra i semi oleosi di cui si nutre. Le superfici taglienti e 
orizzontali della mascella inferiore permettono di inciderli e romperli 
prima di ingerirli (Homberger, 1980a; 1980b; 2003). 
INTRODUZIONE 1212 
La possibilità di usare simultaneamente la muscolatura mandibolare 
e mascellare rende massima la pressione del morso. Il vantaggio selettivo 
di queste caratteristiche morfologiche si manifesta soprattutto in 
specifiche condizioni ambientali, dove cioè le piante producono frutti 
fibrosi e resistenti, i cui semi sono accessibili unicamente ad uccelli che 
possiedono un elevato grado di specializzazione (Homberger, 2003). 
Altri caratteri importanti degli Psittaciformi sono le zampe 
zigodattile, che con quattro dita, il secondo e il terzo dito rivolti in avanti, 
il primo e quarto rivolti nella direzione opposta, conferiscono ai pappagalli 
una eccezionale agilità negli spostamenti tra i rami degli alberi, forniscono 
un punto d‟appoggio alla parte anteriore del corpo, permettono di 
muoversi con più facilità e precisione e suggeriscono una probabile 
evoluzione da uccelli ancestrali di ambienti forestali. L‟ipotesi da cui si 
possano far derivare gli Psittaciformi da antenati adattati alla vita nelle 
foreste, è in linea con altre caratteristiche ecologiche di questi animali 
(Homberger, 2006). 
Per esempio, l‟abitudine a nidificare nelle cavità dei tronchi di 
alberi morti, il colore bianco dei gusci delle uova e il piumaggio 
appariscente, indicano che le specie ancestrali probabilmente 
necessitavano di luoghi riparati dove poter covare e nascondere le uova e i 
nidiacei. Quest‟ultimi pur essendo alla nascita inetti, crescendo, 
sviluppano un cervello voluminoso, che li rende tra gli uccelli con le 
capacità cognitive più elevate. Sono capaci di apprendere, direttamente 
tramite l‟esperienza individuale o indirettamente dall‟osservazione di altri 
individui, molteplici e complessi comportamenti. Questa peculiarità 
conferisce a queste specie un alto grado di encefalizzazione che 
contribuisce a supportare l‟ipotesi che i pappagalli derivino da uccelli 
ancestrali arboricoli. Nutrendosi di cibo non direttamente esposto alla loro 
INTRODUZIONE 1313 
vista, come possono esserlo i semi contenuti in frutti legnosi, questi 
animali svilupparono capacità cognitive che permisero loro di 
riconoscerne la presenza attraverso evidenze indirette acquisite con 
l‟esperienza (Homberger, 2006). 
Le grandi dimensioni del cervello hanno fatto guadagnare agli 
Psittaciformi l‟appellativo di avian primates, cioè primati tra gli uccelli 
(Aves). Proprio come i primati, i pappagalli sono animali curiosi, che 
amano esplorare l‟ambiente e interessati da tutto quello che li circonda 
(Mettke-Hofmann et al., 2002; Pepperberg, 2002). 
4
Studi di filogenesi molecolare multilocica hanno accertato che 
l‟origine degli Psittaciformi può essere collocata tra la fine del Cretaceo e 
l‟inizio del Terziario, in Gondwana dopo la separazione dell‟Africa dal 
blocco India-Madagascar, a cui è seguita una diversificazione delle specie 
dovuta sia a vicarianza che a dispersione (Wright et al., 2008). 
Le specie che appartengono all‟ordine degli Psittaciformi risultano 
oggi avere una distribuzione generalmente pan-tropicale: Australia, 
Tasmania, Nuova Zelanda, Nuova Caledonia, Isole Fiji, la parte centrale 
della Nuova Guinea, l‟Africa Sud-Sahariana, il Sud America, con alcune 
specie presenti anche nelle regioni più temperate dell‟emisfero Australe e 
una specie in Nord America (il Parrocchetto della Carolina, Conuropsis 
carolinensis Linneus, 1758; recentemente estinto). La maggiore presenza 
di specie e sottospecie di pappagalli si trovano in Sud America ed 
Australasia (Homberger, 2006; Waterhouse et al., 2008). 
4
 su più loci. 
INTRODUZIONE 1414 
1.2.2 Classificazione dell’ordine Psittaciformes 
Alla relativa facilità con cui è individuabile l‟ordine Psittaciformes 
si contrappone una difficoltà nell‟inquadrare le successive suddivisioni 
tassonomiche, quali le famiglie, le sottofamiglie, i generi e le specie 
(Homberger, 2006). 
La comunità scientifica ha proposto numerose classificazioni negli 
ultimi decenni, ma, generalmente, si sono rivelate quasi tutte incomplete o 
inesatte. La ragione principale della difficoltà nel proporre una 
classificazione più sicura è dovuta al fatto che, questo ordine è un gruppo 
molto antico con una lunga storia evolutiva, nel corso della quale si sono 
verificati numerosi e successivi cambiamenti climatici e ambientali. 
Queste modificazioni dell‟ambiente hanno esercitato una forte pressione 
selettiva sulle specie animali abitanti le diverse regioni del pianeta. Si è 
assistito così alla formazione di specie che, pur derivando da linee 
filetiche differenti, hanno occupato la stessa nicchia ecologica sviluppando 
caratteristiche morfologico-funzionali simili anche se acquisite in maniera 
indipendente per convergenza adattativa (Homberger, 2006). 
Questa similarità tra specie, dovuta a cause diverse dall‟origine 
comune, come risultato di evoluzione indipendente (convergenza, 
parallelismo, retromutazioni), viene definita da Begun (2007) come 
“omoplasia” e si contrappone all‟”omologia”, che i tassonomi definiscono 
la somiglianza derivante da caratteri acquisiti da antenati comuni. I biologi 
evoluzionistici hanno come obiettivo di studio la distinzione tra caratteri 
omoplasici e omologhi. L‟omoplasia può fornire evidenze errate sulle 
relazioni filogenetiche, se erroneamente interpretata come omologia (Poe, 
2005; Homberger, 2006). 
INTRODUZIONE 1515 
Osservando le variazioni nella conformazione anatomica degli 
elementi ossei dell‟orbita di diverse specie di Psittaciformi, questi sono 
stati suddivisi in due differenti gruppi. Il primo gruppo mostra un‟orbita 
ossea chiusa (completa) costituita dalla giunzione del processo orbitale 
con il post-orbitale, formando così un‟arcata suborbitale. Nel secondo 
gruppo di Psittaciformi è assente l‟arco suborbitale, mentre è presente una 
finestra orbitale ossea aperta (incompleta), tipica della maggior parte degli 
uccelli moderni (Machado et al., 2006). La struttura ossea completa, 
presente nel primo gruppo, si è rivelata essere connessa ai movimenti 
laterali della mandibola che alcune specie mostrano durante 
l‟alimentazione (Homberger, 2006). La struttura ossea incompleta, al 
contrario, è interpretabile come un carattere residuo di condizioni 
ancestrali, caratterizzante le specie più primitive di Psittaciformi 
(Homberger, 2006; Machado et al., 2006). 
Un ulteriore ostacolo alla classificazione dell‟ordine degli 
Psittaciformi, è stata la simultanea presenza in una singola specie di 
caratteri primitivi e derivati (“evoluzione a mosaico”), come risultato di 
cambiamenti evolutivi asincroni. Questo è il motivo per cui la filogenesi 
di alcune strutture anatomiche non corrisponde, a volte, a quella di altre 
strutture presenti nella medesima specie. E‟ importante quindi che ci sia 
un‟attenta analisi e integrazione di dati e osservazioni per ricostruire la 
storia evolutiva di ciascuna specie, genere, sottofamiglia e famiglia di 
Psittaciformi (Homberger, 2006). L‟aumento delle dimensioni corporee, 
per esempio, viene considerato un carattere derivato, perché compromette 
la sicurezza e la stabilità durante il volo. Infatti, gli uccelli che hanno 
perso la capacità di volare, hanno raggiunto le dimensioni corporee 
maggiori all‟interno della classe (Homberger, 2006). Seguendo lo stesso 
ragionamento, una specie con dimensioni corporee ridotte, come la 
INTRODUZIONE 1616 
calopsitta comune (Nymphicus hollandicus, Kerr, 1792), appartenente alla 
famiglia dei Cacatuidae, una delle tre famiglie maggiori dell‟ordine 
insieme ai Loridae e agli Psittacidae, potrebbe essere considerata la più 
antica della famiglia, con i suoi 30-32 cm dalla testa alla punta della coda. 
In realtà, tenendo conto del fatto che la calopsitta possiede caratteristiche 
anatomiche dell‟apparato boccale che sono il risultato di un adattamento 
ad un clima arido, questa specie non può essere inserita tra le specie più 
primitive della famiglia (Homberger, 2006). 
La figura che segue (Fig. 1.1) mostra la classificazione dell‟ordine 
degli Psittaciformi proposta da Luescher (2006). 
INTRODUZIONE 1717 
Fig. 1.1 - Classificazione filogenetica dell‟ordine Psittaciformes (Luescher, 2006). 
INTRODUZIONE 1818 
1.3 Stato delle popolazioni di pappagalli in natura 
I pappagalli oggi vivono solo nelle regioni tropicali e temperate 
dell‟emisfero Sud, ma due paleontologi irlandesi, Waterhouse e Lindow 
(2008), hanno recentemente scoperto, in Scandinavia, resti fossili di 
Psittaciformi vissuti circa 55 milioni di anni fa (Eocene). Tali scoperte 
confermerebbero la presenza di pappagalli nelle regioni che oggi sono 
occupate da Norvegia e Danimarca. Questo pappagallo fossile, a cui è 
5
stato dato il nome Mopsitta tanta (Pappagallo blu danese), è stato 
scoperto sull‟Isola di Mors nel Nord-Est della Danimarca, lontano da dove 
ci si potrebbe normalmente aspettare di trovare un esemplare di questo 
ordine. Quando questa specie era in vita, la maggior parte del Nord 
Europa era caratterizzato da un clima generalmente caldo e più uniforme 
dell‟attuale e da un ampia e bassa laguna che copriva quasi tutta la 
Germania, il Sud-Est dell‟Inghilterra e la Danimarca (Irish Research 
Council, 2008). 
Nessuno dei fossili di Psittaciformes rinvenuti nell‟emisfero Sud 
risulta più antico di circa 15 milioni di anni fa, quindi questa recente 
scoperta suggerisce che i pappagalli si siano evoluti proprio nell‟emisfero 
Nord prima di diversificarsi, in seguito, in una notevole quantità di specie 
e sottospecie verso Sud, nei tropici. Se da un lato alcune specie hanno 
avuto un grande successo ecologico e sono sopravvissute nel tempo, 
insediandosi inizialmente in ristretti territori e successivamente ampliando 
i loro areali di distribuzione, dall‟altro, molte specie non sono riuscite ad 
adattarsi ai cambiamenti climatici e sono andate incontro ad estinzione 
(Homberger, 2006). 
5
 Mo deriva dalla designazione danese “Mo Clay” per descrivere le formazioni Fur di diatomite (farina 
fossile costituita da frustoli di Diatomee); psitta è il diminutivo del termine latino Psittacus 
(pappagallo o parrocchetto) (Waterhouse et al., 2008). 
INTRODUZIONE 1919 
Una specie può avere due destini evolutivi possibili: dare origine a 
nuove specie (speciazione) o estinguersi senza lasciare discendenti 
(estinzione) (Raup, 1994). I valori della speciazione e dell‟estinzione 
variano a seconda delle linee evolutive e quelle con il più alto livello di 
speciazione e con il più basso livello di estinzione producono la maggiore 
diversità di forme viventi. Il fatto che una specie sia più predisposta alla 
speciazione o all‟estinzione dipende dalle sue caratteristiche intrinseche. 
La variabilità di una specie, soprattutto quella che si verifica in 
popolazioni geograficamente isolate, fornisce il materiale da cui si 
possono produrre nuove specie (Hickman et al., 1995). 
La causa principale che oggi limita fortemente i fenomeni di 
speciazione è la riduzione, degradazione, frammentazione e isolamento 
degli habitat naturali dei pappagalli, dovuta all‟esponenziale aumento 
della popolazione umana (Bullini et al., 1998; IUCN Red List, 2009). 
Un‟altra minaccia per la conservazione di questi uccelli è la cattura di 
individui nei loro habitat naturali per alimentare il commercio 
internazionale di specie alloctone, a scopo ricreativo, di allevamento e di 
collezionismo da parte dell‟uomo (Homberger, 2006). 
1.3.1 Il commercio internazionale di pappagalli 
Nel traffico mondiale di uccelli, quello di pappagalli rappresenta la 
più alta fonte di guadagno. Questi uccelli sono richiestissimi come animali 
da compagnia, per le loro qualità canore e per la longevità. Il 47% di tutti 
gli Psittaciformi commercializzati nel mercato internazionale, e circa 
l‟80% degli Psittacini Neotropicali, risultano venduti negli Stati Uniti. La 
restante percentuale è venduta soprattutto in Europa e Giappone (Bird 
Trade Subcommittee of the AOU Conservation Committee, 1991). Nel 
INTRODUZIONE 2020 
periodo dal 1997 al 2000, più di 469.600 pappagalli catturati in natura 
sono stati ufficialmente importati in Europa (Low, 2003). Tra il 1982 e il 
1988 sono stati legalmente esportati 1,8 milioni di Psittacini Neotropicali. 
Secondo una stima del mercato internazionale, la mortalità dei pappagalli 
precedente al trasporto e la dimensione del traffico illegale suggerisce che, 
il numero degli uccelli rimossi dagli ambienti naturali, possa essere due o 
tre volte più grande delle esportazioni legalizzate (Bird Trade 
Subcommittee of the AOU Conservation Committee, 1991). 
Delle 330 specie di pappagalli conosciute in tutto il mondo, 95 (il 
28%) sono oggi inserite nelle categorie di minaccia di estinzione dalla 
Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN). In Sud 
America, delle circa 140 specie di Psittacini, 42 sono a rischio di 
estinzione (Bird Trade Subcommittee of the AOU Conservation 
Committee, 1991). 
Esempi di conservazione delle specie minacciate di pappagalli, 
attualmente in corso, sono quelli per l‟amazzone fronte rossa di Portorico 
(Amazona vittata Boddaert, 1783); il Kaka (Nestor meridionalis Gmelin, 
1788) e il Kakapo (Strigops habroptilus Gray, 1845) in Nuova Zelanda, e 
del parrocchetto dal ventre arancione (Neophema chrysogaster Latham, 
1790) in Australia (Lloyd e Powlesland, 1994). 
1.4 Specie oggetto di studio: il Parrocchetto monaco (Myiopsitta 
monachus) 
1.4.1 Caratteristiche morfologiche 
Il Parrocchetto monaco (Myiopsitta monachus Boddaert, 1783) 
(Aves, Psittaciformes, Psittacidae) è una specie di piccola-media