non stupirsi. Lo stupore ha la caratteristica di essere legato ad un fatto 
imprevedibile e gratuito, che accade nella vita dell’uomo senza che lui possa 
impedirlo. 
Ma dicevamo che la sua potenza, il suo vero merito, il suo valore risiede 
nel fatto che, proprio in virtù di questa sua natura, ci fa accorgere di quello che la 
realtà è – e la realtà è contraddizione – in un modo che ci suggerisce anche la 
direzione di marcia del nostro desiderio di conoscenza, verso quella causa, 
origine, che ignoriamo ma che ci lancia un richiamo sensibile attraverso il suo 
effetto: «Verrà, forse già viene/ il suo bisbiglio».
1
  
 
Lo stupore è l’origine della filosofia 
È interessante, direi stupefacente, scoprire il rilievo fondativo che allo stupore 
danno i padri della filosofia occidentale. Platone nel Teeteto fa dire a Socrate:  
 
Pare davvero, amico mio, che Teodoro non abbia espresso un giudizio sbagliato sulla tua 
indole: ciò che provi – la meraviglia – è un sentimento assolutamente tipico del filosofo. 
La filosofia non ha altra origine che questa e, a quanto pare, chi ha definito Iride figlia di 
Taumante non ha tracciato una cattiva genealogia.
2
 
Stupefacente anche scoprire la massima chiarezza con cui Aristotele 
riprende questa considerazione sull’origine del pensiero filosofico:  
 
Gli uomini, sia nel nostro tempo sia dapprincipio, hanno preso dalla meraviglia lo spunto 
per filosofare, poiché dapprincipio essi si stupivano dei fenomeni che erano a portata di 
mano e di cui essi non sapevano rendersi conto.
3
 
 Tornando al passo di Platone, ci accorgiamo che la considerazione che fa 
Socrate ci dice davvero molte cose. Il brano di riferimento è il 265-266 della 
Teogonia di Esiodo, in cui è presentata la messaggera degli dèi Iride, 
                                                 
1
 C. Rebora, Dall’immagine tesa, in Canti anonimi. 
2
 Platone, Teeteto, 115d. 
3
 Aristotele, Metafisica, 928b. 
 4
personificazione mitica dell’arcobaleno, al pari del quale congiunge terra e cielo. 
La dea è figlia del Titano Taumante (dal verbo greco thaumàzo, “provo 
meraviglia”) e con essa Socrate identifica la filosofia. La filosofia è dunque il 
medio tra la perfezione della verità divina e l’anelito al vero degli uomini che la 
desiderano e la sua origine è l’esperienza di trovarsi di fronte a qualcosa che ci 
sbalordisce, che ci lascia a bocca aperta. Certo, non si può pensare di essere 
permanentemente meravigliati, ma essendo la meraviglia l’origine del filosofare, 
essa va continuamente tenuta presente. 
 
La realtà è contraddizione 
Ci sono dunque delle evidenze che provocano i sensi dell’uomo (quindi si tratta di 
esperienze) e lo mettono in movimento, mettono in moto il suo desiderio di 
conoscerne le relazioni – di queste evidenze tra loro e di queste evidenze con sé –, 
di scoprirne il senso.  
 Non c’è dubbio che l’evidenza più evidente della vita, come accennavo 
all’inizio, sia l’esperienza della contraddizione: gli uomini nascono e muoiono, le 
cose nascono e muoiono, esiste il sole che appare e scompare, la luce e il buio, 
esistono le stagioni, dei tempi in cui fa caldo e altri in cui si gela; esiste 
l’alternanza di gioia e dolore; esiste l’orgoglio dell’individualità e il senso di 
appartenenza; esiste il desiderio di comunicare e la difficoltà quasi impediente di 
riuscirci. Ognuno potrebbe addurre infiniti esempi di questa esperienza della 
contraddizione perché contraddistingue la vita di ogni giorno e contribuisce a fare 
della vita di ogni giorno un problema. 
 Un problema o lo si affronta cercando di risolverlo o, se resta irrisolto, si è 
costretti a conviverci, in una convivenza inevitabilmente drammatica e burrascosa, 
quella descritta mirabilmente in questi versi di Rebora: 
 
Quanto fosco imprecar, quanto tormento! 
Perché l’insidia 
Se vivere è fiducia, 
Perché la colpa 
 5
Se vivere è bellezza, 
Perché l’angoscia 
Se vivere è conquista, 
Perché la morte 
Se vivere è promessa?
4
 
O, ancora, in questi altri versi di Leopardi: 
 
Natura umana, or come, 
se frale in tutto e vile, 
se polve ed ombra sei, tant’alto senti?
5
 
Ma il più delle volte l’uomo di ogni giorno rifiuta questa convivenza con 
la contraddizione drammatica della vita, perché gli costa troppo. Ragionevolmente 
però, gli scenari possibili sono solo due: questa contraddizione è possibile 
acquietarla o nella sua soluzione (alètheia, la parola che in greco significa 
“verità”, letteralmente indica una cosa “che non può stare nascosta”, che esce 
dall’oblio) o nella dimenticanza, nell’oblio appunto.
6
  
 Eppure c’è un’esperienza della vita che impedisce che ci si dimentichi 
della contraddizione: l’esperienza dello stupore che ci fa godere dell’effetto di una 
causa che c’è, ma che ci è invisibile. La meraviglia di cui Platone e Aristotele 
parlano è ciò di fronte a cui non si può rimanere immuni. Non a caso, infatti, ciò 
che accomuna filosofi e poeti è il loro aver a che fare con ciò che origina lo 
stupore, il loro aver a che fare con la contraddizione della vita.  
Quindi dire che l’esperienza della contraddizione è l’origine della poesia 
come della filosofia non è in antitesi con quello che abbiamo sostenuto prima, e 
cioè che sta nello stupore lo scatto originario del filosofare. Filosofi e poeti sono 
uomini che non vogliono dimenticare la realtà, ma affrontarla, scoprirla. 
                                                 
4
 C. Rebora, frammento L, in Frammenti Lirici. 
5
 G. Leopardi, Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della 
medesima. 
6
 E in effetti non è poi così difficile rintracciare nell’evoluzione socio-culturale della nostra società 
– dalla caccia alle streghe fino all’invenzione dei manicomi – una matrice, quella di far 
dimenticare ciò che è contraddittorio. 
 6
 Non a caso, inoltre, «la meraviglia, e la sorpresa, queste forme di un tempo 
squarciato dall’evento, rinnovato dall’inatteso, questi modi privilegiati e profondi 
della conoscenza, sono propri del fanciullo e ci dicono qualcosa sull’origine della 
filosofia e della poesia: “e forse perciò il fanciullo sa talvolta assai più del 
filosofo, e vede chiaramente delle verità e delle cagioni, che il filosofo non vede 
se non confusamente, o non vede punto…” (Zib., 2020, 31 ottobre 1821)»
7
. 
L’incessante “perché?” dei bambini in fondo è una domanda che l’esperienza 
dello stupore rende ineludibile: “qual è o chi è la causa di questo effetto che ho 
davanti agli occhi?”. 
Dunque non bisogna mai dimenticare, quando si hanno per oggetto la 
filosofia e la poesia, che a tema ci sono essenzialmente due cose: l’uomo e la 
realtà. In particolare il loro rapporto, in particolare l’esperienza della 
contraddizione.  
 
Si può a questo punto già percepire come un uomo, poeta e filosofo della 
grandezza di Leopardi, possa aiutare ognuno di noi nella messa a fuoco di questa 
contraddizione, l’approfondimento della quale è il primo mattone della 
conoscenza di sé.  
Alle pagine 4099-4100 dello Zibaldone, datate 2 giugno 1824, leggiamo ad 
esempio: 
 
Per esempio quel principio, estirpato il quale cade ogni nostro discorso e ragionamento ed 
ogni nostra proposizione, e la facoltà istessa di poterne fare e concepire dei veri, dico quel 
principio “Non può una cosa insieme essere e non essere”, pare assolutamente falso 
quando si considerino le contraddizioni palpabili che sono in natura. […] Del resto e in 
generale è certissimo che nella natura delle cose si scuoprono mille contraddizioni in 
mille generi e di mille qualità, non delle apparenti, ma delle dimostrate con tutti i lumi e 
l’esattezza la più geometrica della metafisica e della logica; e tanto evidenti per noi 
quanto lo è la verità della proposizione “Non può una cosa a un tempo essere e non 
essere”. 
                                                 
7
 PRETE, 1998, p. 35. 
 7
 Questo brano dello Zibaldone sull’inconsistenza del principio di non 
contraddizione ci riporta alle origini del pensiero filosofico occidentale.
8
 Ciò che 
ha mosso il ragionamento di Parmenide e le osservazioni di Leopardi è, infatti, la 
stessa cosa: l’evidenza della contraddittorietà della realtà è una domanda che 
l’uomo non può non porsi. Se tutto è contraddizione che senso ha l’essere?: è 
questo il porto di partenza della riflessione parmenidea. È la stessa cosa che scrive 
Leopardi in Sopra il ritratto di una bella donna, che abbiamo già citato (ma che 
continueremo a citare): «Natura umana, or come,/ se frale in tutto e vile,/ se polve 
ed ombra sei, tant’alto senti?». Ogni cosa è contraddizione, ma la natura umana, 
nonostante tutto, sente «tant’alto» che non possiamo fermarci a contemplare 
passivamente questa contraddizione, ma dobbiamo penetrarla, penetrare fino al 
cuore della realtà alla ricerca dell’unità segreta che lega tutte le cose – tra loro e a 
noi –, proprio tutte quelle cose così contraddittorie. 
 È lo stesso Leopardi che rende esplicito questo concetto in una 
meravigliosa definizione di filosofia: 
 
Lo scopo della filosofia (in tutta l’estensione di questa parola) è il trovar le ragioni delle 
verità. Queste ragioni non si trovano se non se nelle relazioni di esse verità, e col mezzo 
del generalizzare. Non è ella, cosa notissima che la facoltà di generalizzare costituisce il 
pensatore? Non è confessato che la filosofia consiste nella speculazione de’ rapporti? 
[Zib. 947] 
 
La filosofia, dunque, parte proprio con questo sguardo aperto in questo 
scenario aperto, e la domanda che pone non è una domanda particolare, ma un 
domanda totale: si può penetrare nelle contraddizioni della realtà fino a un punto 
di semplificazione, di spiegazione? In altre parole, c’è una ragione per cui 
nonostante sia fragile in tutto, sia vile in tutto, sia polvere ed ombra sempre, 
nonostante questo, il mio cuore «tant’alto» sente? 
 
 
                                                 
8
 Cfr. anche le pagine 4128-29 dello Zibaldone. 
 8
1.2. Il problema della filosofia: il sistema 
  
Contraddizioni e sistema 
Anche la filosofia però, essendo un prodotto dell’uomo, deve fare i conti con il 
limite dell’uomo che è il suo essere limitato. In questo campo il problema si 
declina allora in questa forma: la filosofia nasce come domanda totale in un 
campo aperto – quello della realtà – con uno sguardo aperto – alla ricerca della 
scoperta del punto di superamento delle contraddizioni della realtà. Ma ogni 
espressione filosofica, ogni forma filosofica, essendo un tentativo di risposta a 
questa domanda, è chiusa, deve cioè, per poter esistere, chiudere il campo aperto 
da cui è partita e chiudere il proprio sguardo nel momento e nel luogo oltre il 
quale non riesce ad andare. 
 La filosofia nasce dalla realtà, quindi nasce aperta, ma per poter esistere ed 
esprimersi ha bisogno di chiudersi e quindi anche di chiudere la realtà. Ecco 
perché la filosofia è una di quelle contraddizioni che la filosofia stessa vorrebbe 
penetrare per arrivare al loro punto di unione.
9
 Ed ecco perché il problema della 
filosofia è intrinsecamente legato a quello del linguaggio e della lingua (è il 
rapporto, che toccheremo sulle tracce dello Zibaldone, tra idee e parole). 
 Il punto problematico della filosofia è quindi il suo essere intrinsecamente 
e inevitabilmente sistema. Le pagine di riferimento sono le famose 945-949 e 
1080-1090 dello Zibaldone in cui Leopardi mentre da un lato condanna «l’amor 
de’ sistemi», dall’altro batte con insistenza sul fatto che non può esistere filosofo 
o pensatore che non cerchi, che non crei o che non scelga un sistema. 
 
Si condanna, e con gran ragione, l’amor de’ sistemi, siccome dannosissimo al vero. […] 
Frattanto però io dico che qualunque uomo ha forza di pensare da se, qualunque s’interna 
colle sue proprie facoltà e, dirò così, co’ suoi propri passi, nella considerazione delle 
cose, in somma qualunque vero pensatore, non può assolutamente a meno di non 
formarsi, o di non seguire, o generalmente di non avere un sistema. [Zib. 945] 
 
                                                 
9
 «E perciò solo è utile la sommità della filosofia, perchè ci libera e disinganna dalla filosofia.» 
[Zib. 305]. 
 9
E più oltre 
 
Allora l’amor di sistema, o finto, o vero e derivante da persuasione, è dannosissimo al 
vero; perchè i particolari si tirano per forza ad accomodarsi al sistema formato prima 
della considerazione di essi particolari, dalla quale il sistema dovea derivare, ed a cui 
doveva esso accomodarsi. Allora le cose si travisano, i rapporti si sognano, si considerano 
i particolari in quell’aspetto solo che favorisce il sistema, in somma le cose servono al 
sistema, e non il sistema alle cose, come dovrebb’essere. Ma che le cose servano ad un 
sistema, e che la considerazione di esse conduca il filosofo e il pensatore ad un sistema 
(sia proprio, sia d’altri), è non solamente ragionevole e comune, ma indispensabile, 
naturale all’uomo, necessario; è inseparabile dalla filosofia; costituisce la sua natura ed il 
suo scopo: e concludo che non solamente non ci fu, ma non ci può esser filosofo nè 
pensatore per grande, e spregiudicato, ed amico del puro vero, ch’ei possa essere, il quale 
non si formi o non segua un sistema. [Zib. 948, corsivo mio] 
 
È allora perfettamente comprensibile il motivo del giudizio di Leopardi 
alla luce di ciò che abbiamo evidenziato: l’amor dei sistemi è dannosissimo al 
vero proprio perché tradisce la causa della filosofia, che nasce invece, attraverso 
l’esperienza dello stupore, di fronte alle contraddizioni della vita con l’intento di 
muoversi tra di esse alla ricerca di un punto segreto che ne renda ragione. Ma è 
inevitabile che la filosofia si esprima in un sistema, e questa inevitabilità si rivela 
dannosa al vero perché non può esistere un filosofo che non sia persuaso di un 
sistema, almeno del proprio, e quindi non c’è possibilità di scampare all’amor di 
sistema. Si potrebbe allora forse distinguere, per capire meglio, tra l’origine non 
filosofica della filosofia, che è anche l’origine della poesia, e la filosofia vera e 
propria, la forma che essa assume nell’espressione di sé, che in una certa misura 
tradisce sempre, o meglio, contraddice lo spirito che l’ha originata. 
È interessante però seguire ancora la riflessione di Leopardi, per cercare di 
approfondire il suo uso del concetto di sistema: 
 
 10