4 
 
Introduzione 
 
 
Il presente lavoro si propone di analizzare il fenomeno di tabuizzazione linguistica 
inerente le questioni bioetiche relative ad aborto, eutanasia e identità di genere, 
esaminando i principali sostituti eufemistici impiegati in riferimento ai campi semantici 
sopracitati, nelle lingue russa e inglese.  
L’insorgenza dei concetti di bioetica e tabù linguistico è databile in epoche 
diametralmente opposte: se notevole risulta la differenza a livello temporale tra la 
comparsa del termine “bioetica” , che si fa risalire agli anni ‘ 70 del Novecento, e del 
termine “tabù”, introdotto in Europa circa duecento anni prima, essi risultano altrettanto 
distanti dal punto di vista referenziale. Difatti, laddove per “bioetica” si intende la 
disciplina che si occupa di coniugare etica e ricerca medica, ricorrendo all’applicazione 
delle nuove tecnologie per fronteggiare i problemi fondamentali della vita, entro i 
nebulosi limiti della morale individuale e collettiva, il termine “tabù” si riferiva 
inizialmente, in ambito linguistico, ai processi di interdizione magico-religiosa a opera 
di popoli primitivi. Tali popolazioni, le cui società erano basate su un rigido sistema di 
proibizioni associate all’inviolabilità di determinati oggetti e soggetti, attribuivano alle 
parole proprietà evocative, e si rifiutavano, pertanto, di indicare col proprio nome 
referenti venerati, temuti, o ritenuti pericolosi. Poiché neppure le società europee erano 
esenti da tale atteggiamento linguistico, successivamente si è utilizzato il termine 
“tabuizzazione” in riferimento al fenomeno pe r il quale il parlante evita di pronunciare 
una qualsiasi parola, la cui menzione possa costituire fonte di disagio. La parola, infatti, 
si permea della medesima carica negativa associata al referente denotato, e necessita di 
essere sostituita da un altro termine che risulti meno diretto, esplicito e offensivo, 
impiegato quindi in qualità di eufemismo.  
Nel primo capitolo verrà fornita un’ampia panoramica introduttiva sui concetti di 
tabù, eufemismo, ortofemismo e disfemismo, esaminando i principali moduli di 
sostituzione impiegati per coniare espressioni con valore eufemistico, e i diversi campi 
semantici di tabuizzazione linguistica, a partire dal meno recente fenomeno di 
interdizione magico-religiosa, per arrivare alle tipologie di interdizione più attuali,
5 
 
inerenti il politically correct e le tematiche bioetiche. Sarebbe scorretto, infatti, ritenere 
che il fenomeno di tabuizzazione non riguardi anche le società più moderne e 
differenziate: esso è andato incontro a modificazioni dettate da fattori spaziali e 
temporali, vedendo plasmata la forza dei tabù in relazione allo sviluppo culturale, 
sociale e tecnologico di una determinata società. Nel secondo, terzo e quarto capitolo, 
pertanto, verranno esaminate nel dettaglio le forme di interdizione linguistica inerenti 
rispettivamente l’aborto, l’eutanasia e l’identità di genere, ricorrendo all’analisi di 
corpora collezionati a partire da articoli di giornale redatti in lingua russa e inglese. In 
un primo momento, l’analisi verrà condotta a livello individuale sulle singole lingue, e 
virerà successivamente su un reciproco confronto, finalizzato a verificare in primo 
luogo se il fenomeno di interdizione relativo ai sopracitati campi semantici sia presente 
in entrambe le lingue, in secondo luogo se le eventuali soluzioni eufemistiche impiegate 
in sostituzione dei termini tabuati siano le medesime.  
Nello specifico, il secondo capitolo si focalizzerà sull’analisi dei fenomeni di 
tabuizzazione e sostituzione eufemistica relativi alla procedura di interruzione di 
gravidanza, con l’ulteriore obiettivo di verificare se, all’interno dei due campioni 
linguistici, ci si riferisca nei medesimi termini alle differenti tipologie di aborto 
spontaneo, volontario e tardivo.  
Nella stesura del terzo capitolo, incentrato sulle procedure dell’eutanasia e del 
suicidio assistito, ci si soffermerà sulle eventuali analogie tra il fenomeno di 
tabuizzazione inerente il suddetto campo semantico e le ulteriori tipologie di 
interdizione di morte, suicidio, omicidio e malattia incurabile ad esso correlate.  
Infine, il quarto capitolo, relativo all’identità di genere, esplorerà in particolare 
l’ambito del transessualismo, ovvero la condizione degli individui affetti da disforia di 
genere che decidono di intraprendere un processo di transizione medico-legale. 
Verranno esaminati e confrontati, dunque, gli eventuali sostituti eufemistici impiegati in 
relazione all’operazione chirurgica di riassegn azione dei caratteri sessuali, rispecchianti 
l’identità di genere cui la persona transessuale si identifica.
6 
 
Capitolo I: L’interdizione linguistica 
 
 
I.1 Terminologia 
 
I.1.1 Tabù 
Il termine “tabù” deriva dalla parola polinesiana “tabu”, o “tapu”, significante 
“marcato interamente”
1
. Essa indicava il concetto di sacralità di determinate azioni, 
persone, oggetti, parole
2
, che venivano contrassegnate affinché la loro inviolabilità fosse 
evidente, e a cui era associato un rigoroso sistema di proibizioni. Tale termine fu 
introdotto in Europa dall’esploratore James Cook a seguito di un viaggio a Tonga nella 
seconda metà del 1700 ed utilizzato in ambito linguistico per indicare, inizialmente, i 
processi di interdizione legati alla sfera magico-religiosa. Successivamente, esso 
cominciò ad essere impiegato per designare l’intero fenomeno di interdizione 
linguistica, indipendentemente dal campo semantico di appartenenza delle parole 
interdette.  
Il termine “tabù”, tuttavia, non detiene un significato unitariamente condiviso: alcuni 
studiosi gli hanno attribuito l’accezione di «interdizione religiosa primitiva»
3
, distinguendo 
altre forme di interdizione tipiche delle società moderne. In Semantica dell’eufemismo, 
Galli de’ Paratesi si riferisce al fenomeno per il quale il parlante evita di pronunciare 
determinati termini appartenenti alla sfera sessuale, di decenza, sociale, politica, relativa 
a difetti morali e vizi
4
 con il termine di “interdizione”, differenziandolo rispetto al tabù, 
che si riferisce invece alle proibizioni linguistiche dettate da motivi religiosi e imposte a 
opera di popoli primitivi. L’autrice definisce l’interdizione come «la coazione a non parlare 
                                                             
1
 Cfr. Shortland E., Traditions and superstition of the New Zealanders, London Longman, Brown, Green, 
Longmans & Roberts, London, 1954, p. 81. 
2
 Cfr. Frazer J. G., Il ramo d’oro, Bollati Boringhieri, Torino, 1990, pp. 236-313. 
3
 Galli de’ Paratesi N., Le brutte parole, Semantica dell’eufemismo, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 
1973, p. 27. 
4
 Cfr. ivi, pp. 91-183.
7 
 
di una data cosa o ad accennarvi con termini che ne suggeriscano l’idea pur senza indicarla 
direttamente»
5
. 
Ne Il pudore del linguaggio, Appiani ricorre invece al termine “tabù” per riferirsi al 
fenomeno di interdizione linguistica accompagnato da phòbos, indipendentemente 
dall’ambito in cui esso si manifesti
6
. L’autrice definisce “phòbos” 
 
[…] un piccolo attacco di panico […] che accompagna, in forma più o meno intensa fino a 
divenire in certi casi addirittura impercettibile, l’interdizione ad usare determinate parole in 
determinati momenti e in determinati luoghi
7
. 
 
Se la procedura di sostituzione di un dato termine avviene in assenza di phòbos, 
siamo di fronte non più a tabù, ma a un atteggiamento di falso pudore del parlante, «[…] 
tendente […] a nascondere un’intenzione aggressiva, mascherandola diet ro un atteggiamento di 
cortesia»
8
. 
Poiché il fenomeno di interdizione linguistica rappresenta la reazione del parlante a 
un originario e univoco momento psicologico, in questa sede utilizzeremo le espressioni 
“tabù” e “interdizione linguistica” in funzione di sinonimi, ricorrendovi per indicare il 
fenomeno linguistico per il quale, in qualsiasi ambito, il parlante eviti di nominare una 
determinata parola la cui pronuncia possa essere fonte di disagio poiché percepita come 
sgradevole e offensiva.  
Sebbene il tabù sia motivato da un disagio interiore al parlante, esso ha origine 
esterna, nelle norme sociali, religiose e morali frutto della vita associata, che vengono 
interiorizzate dall’individuo e fatte proprie. Egli tenderà dunque a percepire come 
naturali e assolute le proibizioni introiettate e a sottoporvisi volontariamente, operando, 
dal punto di vista linguistico, un processo di autocensura. 
Il tabù linguistico si origina quando viene avvertita una mancanza di arbitrarietà tra 
significato e significante: il primo si trova a prevalere sul secondo e trasferisce su di 
esso le caratteristiche negative o imbarazzanti che gli sono proprie. Infatti, i sostantivi 
                                                             
5
 Ivi, p. 25. 
6
 Cfr. Appiani M., Il pudore nel linguaggio, Ulrico Hoepli Editore, Milano, 2010, p. 77. 
7
 Ivi, p. 21. 
8
 Ivi, p. 78.
8 
 
possiedono quella che Leisi definisce “funzione ipostatizzante”: «essi possono ipostatizzare 
(erigere a sostanza) processi, relazioni, stati e qualità»
9
. In questo caso, il legame tra significato e 
significante risulta essere inscindibile, poiché il primo ha contaminato il secondo, 
rendendolo intrinsecamente disturbante, come se esso racchiudesse l’essenza del 
significato cui si riferisce. Da ciò deriva la scelta del parlante di ricorrere a ortofemismi 
o eufemismi che indichino il medesimo referente richiamato dal termine interdetto, 
senza però essere ancora stati contagiati dall’accezione negativa di cui quest’ultimo è 
pregno. Per tale ragione, si preferirà l’utilizzo di parole come “fare l’amore”, 
“congiungersi”, anziché “scopare”.  
Il processo di interdizione linguistica va incontro a modificazioni dettate da fattori 
temporali e spaziali, variando nel corso delle epoche e delle rivoluzioni sociali
10
 che le 
caratterizzano, e in base a ciò che una determinata cultura considera tabù. Per tale 
ragione, la forza di alcuni tabù può affievolirsi, così come venire completamente meno; 
d’altro canto, l’accrescersi della differenziazi one sociale e l’avanzare dello sviluppo 
scientifico-tecnologico determinano la comparsa di nuovi tabù inerenti lo status sociale, 
l’orientamento sessuale, l’appartenenza etnica, le questioni bioetiche.  
 
I.1.2 Eufemismo, disfemismo, ortofemismo 
Per eufemismo si intende il fenomeno linguistico per il quale una parola sottoposta a 
interdizione linguistica viene sostituita con un’altra, che assume valore eufemistico. Il 
ricorso ai sostituti eufemistici consente al parlante di riferirsi ad argomenti e termini la 
cui trattazione e pronuncia comportano disagio e imbarazzo, smussandone la 
sgradevolezza. Spiega Chamizo Domínguez:  
 
A given term can function as a euphemism if it fulfils two main conditions at least: (1) its meaning 
must be ambiguous enough that, in a given utterance, it could be understood according to its literal 
meaning and according to the meaning of the taboo or axiologically neuter term it substitutes […] 
                                                             
9
 Ullmann S., Principi di Semantica, Einaudi, Torino, 1977. 
10
 Dopo l’avvento della rivoluzione sessuale, ad esempio, i termini relativi alla sfera del sesso sono stati 
sottoposti a interdizione meno astringente rispetto al passato.
9 
 
and/or (2) it must have ameliorative or emotionally positive connotations with regard to the taboo or 
axiologically neuter term it substitutes […]
11
. 
 
Dunque, la forza mitigatrice dei sostituti con valore eufemistico consiste nella loro 
indefinitezza, che permette di riferirsi al termine interdetto con maggior distacco e 
delicatezza, e nella capacità di attribuire al termine interdetto connotazioni positive
12
. 
Per tale ragione, rivolgendosi a una persona colpita da lutto, il parlante prediligerà 
l’utilizzo di espressioni volte a non urtarne la sensibilità, quali “perdita”, “scomparsa” , 
anziché “morte”. Ancora, il sostituto eufemistico “fare l’amore” attribuisce all’azione 
del copulare una connotazione migliorativa.  
Al contrario dell’eufemismo, il disfemismo ha una connotazione negativa, offensiva. 
Secondo Chamizo Domínguez:  
 
[…] a given term works as a dysphemism when it fulfils the contrary characteristics, that is to say: (1) 
it must have been disambiguated by the use to such an extent that its most salient meaning is the taboo 
object (e.g. cock, ass); and/or (2) it has derogatory or emotionally negative connotations with regard to 
the axiologically neuter term it replaces […]
13
.  
 
Nel primo caso, l’autore si riferisce alla proprietà tota lizzante del termine interdetto: 
in presenza di due omofoni, di cui uno costituisce un termine tabuato e l’altro una 
parola innocua, il primo determina il contagio del secondo e, di conseguenza, la scelta 
del parlante di evitare l’utilizzo del termine anche nella sua accezione inoffensiva. È 
questo il caso nella lingua inglese di “cock” per “rooster” e “penis”, “ass” per “donkey” 
e “bottom”. Ancora, l’assonanza tra l’antico inglese “adela”, “sudiciume”, e “ādl”, 
                                                             
11
 Chamizo Domínguez P. J., Linguistic Interdiction: Its Status Quaestionis and Possible Future Research 
Lines, in «Language Sciences», n. XXXI, 2009, p. 434. 
12
 A tale proposito è interessante approfondire l’origine del termine “eufemismo”: «Esso deriva dal gr. 
eyfemeìn “dire parole di buon aus picio, evitare parole di cattivo augurio” e quindi, soprattutto nei 
sacrifici, “serbare religioso silenzio”. Il verbo greco deriva a sua volta dall’avverbio eu “bene”, unito a 
phéme che significa “cosa detta”, “parola”, anche nel senso di “voce profetica” e quindi “presagio, 
augurio”. L’eufemismo ci riporta quindi al tema dell’imprevedibilità della sorte e al tentativo di 
controllare l’angoscia che ne deriva attraverso un uso corretto della parola» , Appiani M., Il pudore nel 
linguaggio, op. cit., p. 127. 
13
 Chamizo Domínguez P. J., Linguistic Interdiction: Its Status Quaestionis and Possible Future Research 
Lines, op. cit., pp. 434-435.
10 
 
“malattia”, determinò la scomparsa di quest’ultimo termine in favore di “disease”, che 
originariamente deteneva valore eufemistico, con il significato di “mancanza di 
benessere”
14
. In italiano il verbo “scopare” ha sia il significato di “spazzare con la 
scopa” che quello di “avere un rapporto sessuale”. 
Relativamente all’ortofemismo,  
 
The concepts of euphemism and dysphemism imply the presence of direct terms that are neither 
sweet-sounding, evasive, overly polite (euphemistic) nor harsh, blunt or offensive (dysphemistic); such 
expressions we call orthophemisms
15
.  
 
Quindi, potremmo definire l’ortofemismo come un termine percepito con valenza 
neutrale, laddove l’eufemismo e il disfemismo costituiscono rispettivamente le sue 
versioni migliorative e peggiorative. Volendo esemplificare tali definizioni, per riferirci 
all’organo s essuale femminile useremo il termine “vagina” in qualità di ortofemismo, 
“patatina” in qualità di eufemismo, “fica”
16
 in qualità di disfemismo. L’ortofemismo è 
generalmente un termine formale e diretto, mentre eufemismi e disfemismi sono parole 
colloquiali e figurative, che in questo caso sono state ricavate dall’uso di metafore , con 
l’aggiunta del suffisso diminutivo, nel caso del termine con valore eufemistico 
“patatina”.  
 eith Allan e  Kate Burridge definiscono «cross-varietal synonymy»
17
 le parole con lo 
stesso significato ma con utilizzo diversificato in base al contesto. Esse, infatti, 
rimandano al medesimo referente, ma con connotazioni differenti. Il parlante medio è 
dunque in grado di riconoscere gli eufemismi, i disfemismi e gli ortofemismi che 
                                                             
14
 Cfr. Palmer L. R., An Introduction to Modern Linguistics, Macmillan, London, 1936, p. 111. 
15
 Allan K., Burridge K., Forbidden Words. Taboo and the Censoring of Language, Cambridge 
University Press, Cambridge, 2006, p. 240. 
16
 Relativamente al processo per cui in presenza di due omofoni, di cui uno sottoposto a interdizione 
linguistica, anche il termine innocuo tende ad essere contaminato, risulta particolarmente interessante la 
storia del termine “fica”. Nella sua accezione di organo sessuale femminile, esso fu introdotto nella lingua 
latina come calco dal greco sykon col significato di “fico” e con valenza metaforica. Success ivamente, nel 
passaggio alla lingua volgare, il termine “fica” nell’accezione di “frutto dell’albero di fico” è stato 
censurato. Infatti, nella lingua italiana i frutti vengono indicati mediante il genere femminile e l’albero 
attraverso il genere maschile, come “mela” per “frutto del melo”. Il termine “fico”, invece, si utilizza per 
designare sia il frutto che l’albero. Cfr. Boggione V., Casalegno G., Dizionario storico del lessico erotico 
italiano, voce: fica, fico, TEA, Milano, 1999, pp. 464-466. 
17
 Allan K., Burridge K., Forbidden Words. Taboo and the Censoring of Language, op. cit., p. 47.
11 
 
denotano un dato referente e discernere le appropriate situazioni d’uso degli stessi. A 
riprova di ciò citeremo A Study of Verbal Taboos
18
, in cui Steadman illustra i risultati 
della sua ricerca condotta su tre differenti tipi di tabù: parole oscene, parole sgradevoli, 
parole innocue che sono state contaminate. In fase di realizzazione dello studio è stato 
chiesto a 361 studenti di redigere individualmente una lista contenente i termini 
sottoposti a interdizione linguistica, successivamente raggruppati a seconda della 
tipologia di appartenenza e specificando la loro frequenza nei singoli elenchi. Il fatto 
che i soggetti sperimentali si siano limitati ad elencare termini tabuati dimostra che il 
parlante medio è in grado di riconoscere il valore intrinsecamente offensivo o innocuo 
delle parole, indipendentemente dal contesto in cui esse ricorrono. Tale valore, tuttavia, 
non è duraturo, ma instabile: secondo la legge Allan-Burridge del cambiamento 
semantico, infatti, «bad connotations drive out good»
19
. Il significato del termine interdetto, 
quindi, contamina il significante con valore eufemistico o neutro, che viene a sua volta 
percepito come offensivo e sottoposto anch’esso a interdizione linguistica. Questo 
spiega la ragione per la quale il lessico eufemistico è continuamente sottoposto a un 
processo di rinnovamento: si avverte l’esigenza di coniare nuovi termini con valore 
eufemistico che possano prendere il posto dei termini trasformatisi da parole innocue a 
disfemismi. Tale processo di contaminazione spiega inoltre il motivo per cui in una 
lingua esistono numerosissime varianti per riferirsi a concetti tabuati, laddove i vocaboli 
non sottoposti al fenomeno di interdizione linguistica sono sprovvisti di un simile 
numero di sinonimi.  
Può capitare, tuttavia, che il frequente utilizzo di un termine con valore eufemistico 
ne accresca la capacità di riferirsi a concetti interdetti passando inosservato; con il 
tempo, infatti, esso entra a far parte del lessico familiare e il parlante inizia a farne uso 
in maniera inconscia. Viceversa, l’utilizzo di espressioni con valore eufemistico meno 
comuni richiede un livello di attenzione e analisi maggiore, affinché il loro significato 
possa essere compreso
20
. Per tale ragione, la potenza evocativa di termini con valore 
eufemistico utilizzati in maniera ricorrente è sottoposta a progressiva degenerazione. Se 
questo può rappresentare un vantaggio per tutte quelle espressioni con valenza 
eufemistica di uso quotidiano, la cui funzione è quella di mitigare il senso di disagio del 
                                                             
18
 Cfr. Steadman J.M., A Study of Verbal Taboos, in «American Speech», vol. X, n. II, 1935, p. 93. 
19
 Allan K., Burridge K., Forbidden Words. Taboo and the Censoring of Language, op. cit., p. 243. 
20
 Cfr. Beck G., McGlone M. S., Pfiester A., Contamination and Camouflage in Euphemisms, in 
«Communication Monographs», Vol. LXXIII, n. III, 2006, pp. 266-279.
12 
 
parlante nel trattare determinati argomenti e pronunciare determinate parole, non lo è 
affatto per quelle con cosiddetta funzione ludica e provocatoria
21
, la cui efficacia si basa 
sulla vividezza e sull’intensità delle immagini che esse sono in grado di richiamare alla 
mente.  
Relativamente alle funzioni che l’eufemismo ricopre, Burridge ne individua sei
22
 : 
1. L’eufemismo protettivo, con funzione di difendere ed evitare l’offesa. La 
funzione primaria dell’eufemismo consiste nel fornire un’alterna tiva verbale creata in 
risposta al meccanismo di interdizione linguistica. Tale alternativa consente al 
parlante di riferirsi a oggetti, soggetti, pratiche percepite come sgradevoli e/o 
offensive mediante l’utilizzo di un termine migliorativo. 
2. L’eufemis mo disonesto, con funzione di mistificare e distorcere. Secondo 
Burridge, in contesti militari, politici e medici, ci si può avvalere di sostituti 
eufemistici con l’intenzione di alterare, fino a camuffare, il referente, come nel caso 
del ricorso a “missio ne di pace” per indicare “guerra”. In questo caso ci troviamo di 
fronte a ciò che William Lutz chiama “doublespeak”, definendolo:  
 
[…] language that only pretends to communicate, that makes the bad seem good, the 
negative appear positive, the unpleasant attractive, or at least tolerant. It is the language that 
avoids, shifts, or denies responsibility, language that conceals or prevents thought
23
. 
 
È nostra opinione, tuttavia, che tale procedimento non possa essere considerato 
proprio del fenomeno di eufemismo, avendo definito quest’ultimo come un 
espediente linguistico finalizzato alla sostituzione di termini interdetti, la cui 
pronuncia è causa di disagio nel parlante. Ad esempio, per quanto riguarda il ricorso 
al termine “guerra” con l’espressione “missione di pace”, dalla scelta di una così 
fuorviante alternativa risulta evidente che la ragione alla base del fenomeno di 
sostituzione linguistica non sia rappresentata dal disagio provocato dal pronunciare la 
                                                             
21
 Cfr. Burridge K., Euphemism and Language Change: The Sixth and Seventh Ages, in «Lexis», n. VII, 
2012, p. 71. 
22
 Cfr. ivi, pp. 67-71. 
23
 Lutz W., The New Doublespeak: Why No One Knows What Anyone’s Saying Anymore, Harper Collins, 
New York, 1996, p. 4.