91 
 
3.3 MODELLO DEL CICLO DI VITA DELLA FAMIGLIA 
Nonostante quello della famiglia sia forse da sempre la colonna portante della società, i 
primi studi che riportano dei dati sulle dinamiche dell’interazione familiare risalgono al 
1948 con i sociologi Duvall e Hill che, attraverso una commissione indetta dalla 
Conferenza Statunitense di Vita familiare, per la prima volta si strutturò una griglia di 
riferimento da cui attingere per iniziare a studiare ed analizzare i diversi momenti di 
sviluppo del sistema famiglia. La Malagoli Togliatti nel suo libro “Dinamiche 
relazionali e ciclo di vita della famiglia” spiega come il modello sviluppato dai due 
sociologi fosse caratterizzato dall’attribuzione di caratteristiche specifiche a ciascun 
membro il quale era contemporaneamente portatore e fautore di cambiamento 
all’interno del sistema, dove per compiti evolutivi intendeva appunto l’insieme degli 
obiettivi che una persona si prefigge al fine di raggiungere una realizzazione personale. 
Introduce inoltre la divisione familiare proposta da Duvall, in cui erano presenti 8 
differenti stadi caratterizzati appunto da differenti compiti di sviluppo; il superamento 
di ciascun compito segnava l’inizio della successiva fase del ciclo di vita della famiglia. 
Inoltre, la Togliatti spiega come anche il sociologo Hill aveva messo in risalto le 
dinamiche familiari del nucleo, concentrandosi sull’analisi della sfera di tipo storico-
genealogico che era strettamente collegata, secondo l’autore, ai rapporti di dipendenza 
fra le diverse generazioni
92
. 
Più generalmente, ogni qualvolta la famiglia si trova dover accedere ad una nuova fase 
della vita del nucleo, è assolutamente necessario che essa si modifichi e si adegui ai 
cambiamenti con atteggiamento positivo e propositivo, in quanto deve metabolizzare i 
cambiamenti che hanno portato alla rottura dei vecchi schemi già interiorizzati e quindi 
alla presenza improvvisa di nuovi. Quando parliamo di momenti di cambiamento, ci 
riferiamo ad esempio alla formazione di una nuova coppia, la nascita di un figlio, la 
presenza di figli adolescenti fino alla famiglia che convive con i genitori anziani.  
 
                                                           
92
 Togliatti, M. M., & Lavadera, A. L. (2002). “Dinamiche relazionali e ciclo di vita della famiglia”. Bologna, 
Italia: Il Mulino.
92 
 
All’interno di un nucleo familiare funzionali, i cambiamenti vengono accolti, seppur con 
le difficoltà peculiari di ciascuna situazione, con gioia e tendenzialmente con spirito 
adattivo, in maniera che ciascun membro veda e consideri il cambiamento come 
occasione di crescita. Tuttavia, può succedere che all’atto di passaggio a una nuova fase, 
il nucleo familiare non riesca a porre in essere un’organizzazione adeguata, che rimanga 
ancorata alle vecchie modalità di funzionamento nonostante gli eventi si siano 
modificati col tempo e che in generale non sia pronta a fronteggiare i cambiamenti in 
atto poiché priva degli strumenti adeguati. Analizzando la letteratura presente, diversi 
studiosi come già accennato si sono dedicati allo studio di queste dinamiche nel sistema 
famiglia: i modelli che ho deciso di prendere in esame sono quelli che maggiormente 
hanno dato un contributo all’analisi sistemica della famiglia e che hanno aiutato a fornire 
un modello di comprensione della genesi delle dipendenze in ottica sistemica.  
Il primo, è il modello sviluppato da E. Carter e M. McGoldrick
93
, l’altro è il modello 
ottenuto dalla collaborazione tra Luigini Cancrini e Selvini Palazzoli. 
Il modello del ciclo di vita di Carter e McGoldrick rappresenta un importante punto 
cardine all’interno delle teorie che tracciano lo sviluppo della famiglia e nasce 
dall’unione di più contributi di significato, principalmente quello psicologico e quello 
sociologico. Nonostante l’obiettivo della stesura di questo modello fosse quello di 
tracciare i connotati del funzionamento della famiglia cosiddetta “sana”, è stato poi di 
grande aiuto agli studiosi postumi che lo hanno utilizzato come base per mettere in luce 
le criticità e le problematiche connesse alla rottura delle normali dinamiche descritte in 
questi modelli teorici. Le studiose teorizzarono che il ciclo vitale della famiglia potesse 
essere suddiviso in 6 differenti stadi in cui, al suo interno, le diverse generazioni 
cambiano i loro stili di vita e si adattano con le loro strategie personali ai cambiamenti 
che ciascun passaggio di fase presuppone.  
Lo sviluppo del nucleo familiare inoltre, ruota attorno alla relazione che il sistema 
famiglia mette in atto nel corso del tempo con le generazioni passate e presenti. Per 
questo, secondo le autrici e come riassunto nel testo di Gambini “Psicologia della 
famiglia. La prospettiva sistemico-relazionale”, testo che costituisce all’interno di 
                                                           
93
 Carter, E. A., & McGoldrick, M. (1980). “The Family life cycle: a framework for family therapy”. New York, 
United States: Gardner Press : distributed by Halsted Press.
93 
 
questa trattazione uno dei più stabili fondamenti teorici, le trasformazioni avvengono 
lungo tre livelli, ciascuno dei quali contiene una dimensione verticale e una orizzontale 
riguardo la tipologia delle relazioni con le generazioni precedenti. Per riassumere, i 
cambiamenti avvengono:  
• Dal punto di vista individuale: il nucleo familiare è composto da persone che, con 
la loro individualità, costituiscono gli elementi unici e irripetibili che, attraverso 
le loro modificazioni, influenzano e cambiano di conseguenza il corso degli 
eventi all’interno della famiglia. L’asse verticale in questa macro categoria è 
costituita dal carattere e dal patrimonio genetico e biologico che ha ereditato dalla 
passata generazione, l’asse orizzontale rimanda invece allo sviluppo del soggetto 
nel corso della sua vita, che può essere di tipo psicologico, fisico, emotivo. 
• Dal punto di vista familiare: come abbiamo detto, se i soggetti modificano i loro 
comportamenti nel tempo allora sia avrà che anche le relazioni fra i membri 
tenderanno a mutare con il tempo. Quindi, l’asse verticale del nucleo familiare 
non coinciderà altro se non con la storia familiare personale del nucleo stesso. 
Dall’altro lato, invece, nell’asse orizzontale si collocano tutti i compiti di 
sviluppo che, come già anticipato, segnano il passaggio da una fase evolutiva a 
quella successiva e che è necessario che la famiglia fronteggi per non ostacolare 
il normale decorso del ciclo vitale del gruppo. Tuttavia, Gambini sottolinea a 
questo proposito che le modalità di fronteggiamento di ciascuna problematica 
non dipendono esclusivamente dalle condizioni in cui il nucleo versa in quel 
preciso istante e quindi alle abilità di cui dispone in quel preciso momento, ma 
sono fortemente influenzate dalla modalità con cui problematiche analoghe sono 
state affrontate dai nuclei generazionali precedenti.  
• Dal punto di visa gruppale: se consideriamo l’ambiente come una macro 
dimensione, possiamo dire che la famiglia modifica e si evolve in relazione ai 
cambiamenti che avvengono nel sistema sociale e culturale di vita in cui è 
inserita. Secondo Gambini dunque, in questa area, l’asse verticale corrisponde a 
tutti quei cambiamenti di tipo sociale e culturale, compresi i valori e le credenze, 
che si sono tramandati da una generazione all’altra. Al contrario, nell’asse 
orizzontale si collocano tutti quei cambiamenti socio culturali ma anche
94 
 
economici che investono il gruppo famiglia nella quotidianità.
94
 In definitiva, 
possiamo affermare che questo modello, nonostante si riferisca originariamente 
alla suddivisione fasica di un nucleo sano, non si riduce a una mera ripartizione 
dei momenti temporali, ma si presenta come un modello flessibile e adattabile 
alle diverse realtà, ciascuna caratterizzata dalla propria complessità e immersa in 
periodi storici peculiari.  
Come abbiamo anticipato, il modello di Carter e McGoldrick comprende sei differenti 
stadi di sviluppo:  
1. Giovane adulto non ancora vincolato da legami affettivi: questo stadio è quello 
che differenzia questo modello da tutti gli altri presenti in letteratura; si tratta 
sostanzialmente della fase in cui il soggetto non ha ancora intrapreso una 
relazione stabile con un partner e in cui l’obiettivo primario è quello di separarsi 
e differenziarsi dal suo nucleo familiare di origine. 
2. Costituzione e formazione della coppia: durante questo stadio, si assiste al 
passaggio dall’individualità del singolo alla formazione di nucleo primordiale 
che però non è la semplice sommatoria delle parti, ma porta con sé una nuova 
tipologia di rapporto: siamo in presenza di un io, di un tu e di un noi. L’evento 
principale di questa fase è costituito dal matrimonio, e quindi “esso dovrebbe 
significare che sono stati fatti progressi notevoli sulla strada dell’indipendenza 
emotiva dalla famiglia di origine, non che tale processo sua sul punto di iniziare, 
o che venga automaticamente compiuto con la celebrazione della cerimonia” 
(Carter & McGoldrick, 1980). In questa fase del ciclo di vita, il nuovo nucleo che 
si viene formato è inserito all’interno di un triangolo relazionale in cui ai due 
vertici restanti troviamo le due rispettive famiglie di provenienza: i rapporti con 
esse definiranno e segneranno lo sviluppo futuro della neo coppia. Il matrimonio 
in questo caso, si va configurare come l’evento critico caratterizzante questa 
specifica fase, in quanto racchiude in sé 3 importanti compiti di sviluppo: 
- La costruzione dell’identità di coppia, che prende forma grazie ai progetti in 
cantiere e alla volontà di strutturare la quotidianità sulla base del rispetto e della 
                                                           
94
 Gambini, P. (2007). “Psicologia della famiglia. La prospettiva sistemico-relazionale”. Milano, Italia: Franco 
Angeli.
95 
 
fiducia reciproca: la coppia non è solo dunque lo spazio in cui vengono 
soddisfatte le esigenze materiali ma è il luogo in cui è necessario coltivare e 
mantenere la sfera affettiva che coinvolge i partner, che va di pari passo con 
l’attribuzione di specifici valori, stili di vita e di comunicazione. 
- Svincolo dalla famiglia di origine, quale condizione per raggiungere un equilibrio 
interno alla coppia, senza dimenticare che obiettivo fondamentale per il benessere 
della coppia è la stabilizzazione di una buona relazione con i familiari del proprio 
partner; 
- Cura delle differenze, come base solida e imprescindibile per sviluppare 
dinamiche di coppia sane e libere da intrusioni tipiche delle personalità più 
narcisistiche.  
3. Fase della famiglia con bambini e nascita del primo figlio: la nascita di un figlio 
deve sempre essere accettata e la nuova vita conferisce alla coppia un’ulteriore 
importante funzione: quella genitoriale, da cui non ci può sottrarre e che è 
irrevocabile. (Scabini, 1997). In questa fase, la coppia rivede i propri ruoli e 
rinegozia i rapporti interni fra partner e quelli con le rispettive famiglie e si 
assume in maniera consapevole e responsabile il ruolo genitoriale, che implica in 
sintesi la capacità di fornire cure morali e materiale, porsi come modello di 
riferimento valido e positivo per il figlio e in un futuro rendersi parte attiva della 
vita e degli ambienti di vita in cui il figlio è inserito. Il compito di sviluppo 
fondamentale durante questa fase è quello di accettare che un nuovo elemento si 
sia inserito nel sistema e che esso risulta avere un ruolo che potrebbe in qualche 
modo sconvolgere le dinamiche preesistenti della coppia. Per far fronte a questa 
fase, ciascun partner deve aver raggiunto un buon livello di differenziazione del 
sé e aver posto delle buone basi dal punto di vista dell’intimità con il suo partner.  
Durante questa fase inoltre, è necessario che entrambi i partner stabiliscano dei 
confini chiari fra i vari sottosistemi che automaticamente si sono creati con la 
nuova nascita, elaborati nel 1974 da Minuchin: il sottosistema coniugale (quello 
che concerne i rapporti fra i due coniugi) quello genitoriale (quello che racchiude 
le funzioni genitoriali dei partner), e quello dei fratelli/sorelle (riguarda il 
rapporto fra i figli). Secondo Minuchin, durante questa fase ciascun sottosistema
96 
 
agisce e si rapporta con gli altri secondo le richieste dei membri che lo 
compongono, che sono però delimitati da dei confini. Il concetto di confine risulta 
all’interno del nostro lavoro uno dei concetti portanti in quanto, come vedremo 
successivamente, nella famiglia del tossicodipendente si assiste alla presenza di 
confini con caratteristiche completamente differenti dagli altri nuclei familiari e 
che quindi ci aiutano a comprendere al meglio come le dinamiche al suo interno 
formano un intreccio. In generale essi possono essere definiti come quell’insieme 
di norme e regole che definiscono ruoli e modalità di partecipazione all’interno 
della vita familiare: in relazione ai sottosistemi svolgono una funzione 
importantissima in quanto hanno il compito di differenziarli e mantenere 
ciascuno di loro ben differenziato. (Minuchin, 1974) Quando i confini sono ben 
chiari e delineati ciascun componete del sottosistema riesce a svolgere le proprie 
funzioni e ad assolvere ai suoi ruoli senza problematiche o interferenze. Nel caso 
della famiglia del tossicodipendente, si assiste a dei confini alterati dove i conflitti 
fra i vari sottosistemi si fondono e confondono, in cui non hanno un loro spazio 
d’esistere e che alterano il rapporto soprattutto fra genitore e figlio
95
. La Scabini, 
in questo breve estratto di un suo articolo, connette il concetto di confine e quello 
di rischio, avvalorando la nostra tesi che confini ben definiti aiutano e facilitano 
il superamento delle fasi di conflitto, e quindi di rischio a cui è sottoposto il 
nucleo familiare: “Il rischio si configura infatti una tematica di confine, che 
consente di comprendere fenomeni sociali che si collocano al bordo. Osservare 
ciò che è al confine, implica una revisione sostanziale di paradigmi tradizionali 
ma inadeguati, fondati sulla dicotomia, e non sulla dialettica, tra categorie 
concettuali contrapposte quali normale/patologico, adattato/disadattato, ecc. Al 
contrario di quanto si possa pensare, essere a rischio, al confine implica un 
punto di vista spazioso e aperto, come chi è sul limitare e può concedersi di 
vedere cosa succede di qua e di là dal confine. In questo senso la situazione di 
                                                           
95
 Aruta, C. (n.d.). “Il ciclo di vita della famiglia”. Disponibile 2 Febbraio, 2019, da 
http://www.mediazionefamiliaremilano.it/consulenza_familiare/vita_famiglia.shtml
97 
 
rischio, di confine è rivelativa di ciò che avviene o può avvenire anche nelle 
situazioni cosiddette normali, a volte più stabili solo perché «ferme» e chiuse.
96
 
4. Famiglia con figli adolescenti: durante questa fase il nucleo familiare si confronta 
con i cambiamenti che la fase adolescenziale porta con sé: durante questo periodo 
il figlio sperimenta le prime esperienze di differenziazione del nucleo familiare e 
inizia un percorso consapevole di maturazione di una propria identità personale 
che per forza di cose destabilizza le dinamiche preesistenti rendendole 
disarmoniche e conflittuali. Per la prima volta l’adolescente inizia a fare i conti 
con la progettazione della propria vita, mentre parallelamente i genitori vivono 
una fase di controllo e verifica di ciò che hanno seminato fino ad ora
97
. La coppia 
si trova dunque a dover affrontare delle difficoltà tipiche di questa fase che vanno 
dalla necessità del figlio adolescente a provare a costruirsi un’identità autonoma 
alla difficoltà di rinegoziare la relazione con il figlio che si trova in una fase in 
cui necessita di differenti supporti da parte dei genitori per adempiere ai suoi 
compiti di sviluppo. L’autonomia crescente dei figli deve necessariamente andare 
di pari passo con la rinegoziazione delle relazioni fra i membri e una revisione 
dei sistemi di attaccamento. Anche i confini precedentemente citati devono essere 
in un certo senso ammorbiditi e gestiti per facilitare il figlio nel processo di 
svincolo. (Carter & McGoldrick, 1980) Il processo di svincolo diventa difficile, 
se non impossibile, all’interno di una famiglia che percepisce come drammatico 
il processo di differenziazione del figlio adolescente, al punto da “congelare” lo 
spazio e da “fermare” il tempo
98
.  In questo tipo di famiglia si assiste ad un arresto 
della fase del ciclo vitale, verso una situazione statica che li difende dall’angoscia 
di separazione e di differenziazione.
99
  Anche Erikson già nel 1968 aveva 
teorizzato, in uno dei suoi numerosi lavori sullo sviluppo psicologico evolutiva 
dell’identità, il concetto di identità negativa durante il periodo dell’adolescenza, 
                                                           
96
 Scabini, E. (1993). “La famiglia tra rischi e risorse”. Interazioni, 2(2), 45–59. Disponibile da 
http://www.rivistainterazioni.it/numeri/1993_2/Articoli_2_1993_EScabini_La%20famiglia%20tra%20rischio%2
0e%20risorse.pdf 
97
 Baldascini, L. (n.d.). “Il ciclo di vita della famiglia”. Disponibile 1 Febbraio, 2019, da 
https://www.adrianostefani.it/articolo-psicologia.php?id_art=58  
98
 Cooperativa socio-sanitaria Albedo. (1999). “Terapia familiare per tossicodipendenti”. Roma, Italia: Carocci. 
99
 Toscani, T. (1988). “Tossicodipendenza o desiderio di autogenesi? La richiesta di terapia come ricerca di un 
genitore sociale”. Terapia Familiare, 27.
98 
 
il quale va a designare quel tipo di adolescente che si sente spinto ad indentificarsi 
con modelli negativi. Questi modelli negativi hanno, per Erikson, la funzione di 
aiutare il giovane a costruirsi una propria immagine che sia agli occhi degli altri 
diversa e fuori dal comune: la persona tossicodipendente infatti, seppur 
socialmente disprezzato e privato di ogni valore positivo, conferisce 
all’adolescente una caratteristica portante che lo fa sentire nel mondo in maniera 
riconosciuta ai suoi occhi.  
5. Famiglia con figli adulti: è quella fase in cui il nucleo si modifica nettamente a 
causa dell’uscita del figlio dal nido familiare, detta anche infatti fase del “nido 
vuoto”. La riuscita di questa fase e dunque le criticità del passaggio alla fase 
successiva sono rappresentate dall’uscita dal nucleo di un figlio che non ha 
maturato un’identità di sé forte e stabile (per ragioni varie che vanno dall’aver 
subito un’educazione rigida e limitante al non aver avuto la possibilità di 
sperimentare le proprie difficoltà e limiti a causa di un atteggiamento ambivalente 
da parte delle figure genitoriali). Un’altra difficoltà riscontrata potrebbe essere 
quella collegata al fatto che la coppia, privata della presenza del figlio 
nell’ambiente familiare, deve anche accettare la nuova presenza di figure quali i 
nipoti, nuore e generi. Anche la coppia, che fino ad allora aveva fatto coincidere 
la propria esistenza come nucleo con la presenza del figlio, si ritrova 
all’improvviso di nuovo sola, spesso emotivamente lontana e senza la complicità 
dell’inizio; compito delle figure genitoriali è quindi accettare serenamente il 
distacco maturando l’idea che il proprio partner sia l’unica figura in grado di 
colmare il vuoto lasciato dal figlio e ritrovare dunque un proprio equilibrio e 
serenità.  
6. Famiglia nell’età anziana: questa fase è caratterizzata spesso da eventi di natura 
negativa, come la morte del coniuge, la malattia le normali difficoltà date dalla 
vecchiaia legate alla salute e alla riduzione graduale dell’indipendenza. Per far 
fronte a questa nuova fase è necessario che i partner ridefiniscano insieme le loro 
identità di soggetti nella fase della terza età, aiutati da un riavvicinamento e 
supporto dei figli e delle altre figure di riferimento.
99 
 
Queste dunque, sono in sintesi le normali fasi che qualsiasi nucleo familiare si trova ad 
affrontare nel corso del suo sviluppo. In un primo momento la famiglia vive una fase di 
rottura rispetto alle precedenti modalità organizzative, in seguito si dà inizio ad un 
momento di transizione che può terminare o in una riorganizzazione evolutiva della 
famiglia oppure, se questa non riesce ad affrontare i compiti di sviluppo specifici 
dall’evento critico, in una destrutturazione del sistema. Eugenia Scabini ci fan notare 
come, nella tossicodipendenza questo normale susseguirsi delle fasi è bloccato. I 
rapporti si cronicizzano, le figure appaiono sempre più rigide, chiuse in loro stesse e 
incapaci di ammorbidirsi per far fronte alle difficoltà. I tempi appaiono bloccati, lo 
sviluppo si arresta e va rovinosamente a collidere con le esigenze di svincolo del figlio 
che non riesce a rimanere al passo con i suoi compiti evolutivi. In questo contesto, il 
sintomo assume un ruolo non di poca importanza: l’assunzione della sostanza eleva il 
soggetto dipendente a conduttore dei fili relazionali che collegano tutti i membri, è su di 
lui che tutto confluisce e la condotta di assunzione mette nero su bianco le difficoltà de 
nucleo familiare nell’affrontare i cambiamenti, ponendosi così come l’unica cosa in 
grado di ristabilire e riequilibrare ruoli e confini. E’ a questo punto che la Scabini mette 
in luce un aspetto fondamentale sulla funzione del sintomo in questi particolari ambienti 
familiari: esso infatti non rappresenta, da parte del figlio, un colpo volto ad affossare 
ancora in maniera più decisiva la sua famiglia, quanto piuttosto una sorta di tentativo di 
ristabilire e riequilibrare i rapporti degradati che si sono instaurati da membri assumendo 
quindi un’accezione protettiva
100
.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             
 
Cirillo e colleghi nel 1996, attingendo al patrimonio teorico fornito in particolar modo 
dalla Selvini Palazzoli, hanno elaborato un ulteriore modello che si approccia al 
fenomeno delle dipendenze in maniera tale da integrare i differenti contribuiti che 
provengono da numerose ispirazioni teoriche. Cirillo dunque, ipotizza che una famiglia 
che possegga determinate caratteristiche di tipo psicologico e sociologico abbia un ruolo 
primario nella genesi e mantenimento della condotta tossicodipendente. 
                                                           
100
 Scabini, E., Cigoli, V., & Rossi, G. (1980). “L'organizzazione della famiglia, tra crisi e sviluppo”. Milano, 
Italia: Franco Angeli.
100 
 
Innanzitutto, uno dei primi e più importanti dati emersi dagli studi dell’autore, è che la 
trasmissione intergenerazionale del trauma risultava essere uno dei fattori più influenti 
e importanti da tenere in considerazione. A questo proposito dunque, egli elabora un 
modello costituito da una griglia composta da 7 differenti stadi per ogni stadio del ciclo 
di vita; in maniera sintetica, gli stadi sviluppati sono i seguenti:  
 
1. Relazione fra coppia e famiglia di origine: Cirillo rileva che entrambi i genitori 
del soggetto affetto da dipendenza patologica ha vissuto un’infanzia connotata da 
profonde carenze affettive che hanno inesorabilmente condotto all’instaurarsi di 
un attaccamento insicuro. Le carenze dei suoi genitori non sono mai state 
verbalizzate e rielaborate quindi il figlio si trova in una condizione per cui la sua 
sofferenza viene negata.  
 
2. Formazione della coppia genitoriale: questa fase cruciale, secondo il modello di 
Cancrini, risulta strettamente connessa a quella appena precedente. La coppia si 
fonda su modelli e dinamiche ereditate dal rapporto vissuto con i propri genitori. 
Siamo di fronte al matrimonio di interesse
101
 di cui parla Vinci, dove ciascun 
partner sembra voler carpire dalla relazione solo ciò che può essere utile al 
soddisfacimento dei propri desideri personali o di separazione dal nucleo di 
origine.: la coppia si costituisce dunque solo perché l’uno ha bisogno dell’altro 
per appagare le sue esigenze. In queste famiglie le relazioni sono 
qualitativamente molto scarse e caratterizzate da uno scarsissimo investimento 
emotivo nei confronti dei figli.  
 
3. Rapporto madre-figlio durante l’infanzia: in questa fase la donna si trova a dover 
accudire un bambino e lo fa apparentemente in maniera corretta, soddisfacendo 
tutti i suoi bisogni fisiologici e materiali, ma che sono però carenti dal punto di 
vista emotivo e sono in realtà finalizzate esclusivamente al soddisfacimento di 
particolari necessità della madre. Cancrini inoltre descrive un padre in questa fase 
                                                           
101
 Vinci, G. (1991) "Percorsi familiari nelle tossicomanie da eroina. Ipotesi di ricerca". In:“Ecologia della 
mente”, 10, pp. 69-94.
101 
 
completamente disinteressato al ruolo genitoriale, risultando distaccato e 
indifferente alle richieste del figlio. 
 
4. Nucleo con figlio adolescente: durante questa fase si iniziano a sperimentare i 
primi atteggiamenti oppositivi del figlio e si palesano le condotte educative 
fallimentari dei genitori; nel corso di questo periodo la madre dovrebbe  
modificare la concezione che ha del proprio figlio, per ottenere una 
sintonizzazione corretta sul piano emotivo che possa far sentire il figlio accolto 
e sicuro; i l soggetto tossicodipendente non ha avuto modo di sperimentare questi 
sentimenti da parte delle figure accudenti in quanto le sue tensioni evolutive sono 
sempre state minimizzate o negate. La madre rimane dunque bloccata in una fase 
in cui si identifica con un figlio ancora in età infantile, conducendo il loro 
rapporto alla deriva. Ne consegue che l’adolescente, nel momento 
dell’interazione col gruppo dei pari, risentirà di queste dinamiche disfunzionali 
con la propria madre, di cui è parzialmente cosciente e che in un primo momento 
non manifesta, mentre alla lunga tenderà a mettere in atto comportamenti devianti 
e trasgressivi come ad esempio l’abbandono scolastico o l’uso di droghe. Questi 
comportamenti sono agiti verso l’esterno in quanto il ragazzo non è in grado di 
rivolgersi direttamente contro la madre. 
 
5. Il passaggio al padre: A seguito del rapporto conflittuale con la madre, il ragazzo 
tenterà di trovare un supporto nella figura paterna, per evitare quei sentimenti di 
infantilizzazione a cui è sottoposto nella relazione con la figura materna. Il 
ragazzo tuttavia viene quasi sempre rifiutato e, quando viene accolto, viene 
accolto in un’ottica di strumentalizzazione per poi ritornare a i sentimenti di 
abbandono precedentemente sperimentati. Potrebbe anche accadere che il padre 
si rivolga al figlio questo, spesso rifiuta il figlio, e quando apparentemente lo 
accoglie, lo fa in modo strumentale per poi abbandonarlo in un secondo tempo, 
oppure utilizza delle modalità di interazione uguali a quelle della figura materna.
102 
 
6. Incontro con la sostanza stupefacente: Dopo aver sperimentato i fallimenti 
relazionali con le figure di accudimento, il soggetto ripone nella sostanza tutte le 
sue speranze di lenire le angosce, conferendo alla droga la funzione di 
“autoterapia” che lo possa dunque risollevare dai sentimenti negativi e di 
vendetta nei confronti di un’infanzia sofferta e di una crescita travagliata e mai 
veramente completata. Spesso, durante l’incontro con la sostanza, i genitori 
continuano a non accorgersi delle condotte del figlio, in quanto perennemente 
estranei e disconnessi dal suo impianto emotivo, il che non fa altro che aumentare 
nel soggetto le sue sensazioni di solitudine e abbandono, e aumentando 
progressivamente il ricorso alla sostanza quanto più le sensazioni spiacevoli si 
amplificano.  
 
7. Comportamenti che stabilizzano il consumo e cronicizzano la condizione di 
dipendenza: Quando i genitori si accorgono che il figlio sia diventato un 
tossicodipendente, i comportamenti che seguono contribuiscono a cronicizzarla. 
La madre evita la depressione e continua ad utilizzare le stesse modalità di 
accudimento infantili, e il padre continua a interagire debolmente con il figlio. Si 
assiste, pertanto, ad una cristallizzazione dei ruoli dei genitori, il figlio gode, per 
così dire, dei privilegi di un accudimento infantilizzante e usa la droga come 
unico modo per autonomizzarsi e per esprimere la rabbia. 
La sua teoria è che il fenomeno della tossicodipendenza sia il risultato della trasmissione 
intergenerazionale di esperienze traumatiche che non sono state adeguatamente 
rielaborate e superate dalla coppia genitoriale. Patendo da questo presupposto, egli prese 
in esame le dinamiche familiari di diverse tipologie di nucleo familiare seguendo la 
griglia fasica appena esposta e, da questa, ne ricavò tre sottotipi di famiglia, ciascuno 
con il suo specifico percorso relazionale. Nello specifico:
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1. Il primo sottogruppo familiare è quello che risulta numericamente più rilevante, 
ed è caratterizzato dalla presenza di un apparente e ottimo accudimento dal punto 
di vista formale, ma carente dal punto di vista della cura emotiva e 
dell’attaccamento sano. Le esperienze traumatiche che questo tipo di nucleo 
familiare si porta con sé non sono state elaborate in maniera soddisfacente; questo 
tipo. Cancrini quindi definisce questo percorso “abbandono dissimulato”, perché 
appunto si tratta di un accudimento formalmente adeguato ma nella sostanza non 
sufficientemente stabile. 
2. La seconda tipologia di nucleo è formata da una coppia genitoriale che è 
consapevole e molto influenzata e risentita dai rapporti insoddisfacenti avuti con 
il nucleo familiare di origine: sono le coppie che tendono a strumentalizzare i 
figli per risolvere o manipolare talvolta i conflitti con l’altro coniuge; in questo 
caso siamo di fronte a un abbandono misconosciuto, dove appunto prevalgono le 
strumentalizzazione di propri figli che si configurano come un comportamento 
che riproduce le dinamiche instabili e insoddisfacenti vissute nel proprio nucleo 
familiare di origine; si tratta di genitori che tendono a rifiutare e non riconoscere 
i bisogni dei loro figli , negando mentalmente la loro condizione di abbandono; 
3. Il terzo sottogruppo contiene principalmente i nuclei familiare multiproblematici; 
si tratta di casi di abbandono agito, dove la carenza intergenerazionale è 
predominante e ha da sempre contraddistinto la costruzione di tutti i legami 
familiari. I bambini cresciuti in nuclei di questo tipo, vengono spesso affidati alle 
cure di terzi oppure istituzionalizzati. 
In definitiva, per Cirillo, le carenze trasmesse avrebbero le caratteristiche di una perdita-
interruzione, se esse dovessero essere veicolate da una rapida ed eccessiva 
adultizzazione, oppure assumerebbero i connotati di incompiutezza-invischiamento se 
queste dovessero essere il frutto di una dipendenza protratta nel tempo o irrisolta. In 
particolare, in una famiglia con un figlio maschio con problemi di dipendenza le 
componenti di perdita-interruzione sembrerebbero trasmesse maggiormente dalla figura 
paterna, mentre quelle di incompiutezza-invischiamento sembrano essere tipiche della 
figura genitoriale materna. (Gorrini & Brera, 2004)