PREFAZIONE
a modernità, con i suoi onori ed oneri, i suoi velleitari propositi ed i suoi effettivi ed evidenti 
esiti, con le sue conquiste ed i suoi fallimenti sociali, è sottoposta da tempo ad attenta analisi 
a causa delle forti e numerose evidenze di condizioni non garantiste di una normale salute 
psicosociale. 
La devianza, non solo minorile ma che riguarda anche un sempre crescente numero di giovani adulti, 
da quelle che vengono considerate come normali condizioni per un buon vivere, si manifesta 
quotidianamente, con fenomeni molto pericolosi e purtroppo diffusi (non solo, ma soprattutto tra i 
giovani), quali l'assunzione di sostanze stupefacenti o di alcolici. Numerosi i casi di disagio, sempre 
più presente, che nei ragazzi porta ad atti di vandalismo, ma che talvolta ha conseguenze ben più 
tragiche: basti pensare ai numerosi casi di suicidio verificatisi negli ultimi anni e a quelli di tentato 
suicidio che, sebbene a volte nascosti e occultati, risultano drammaticamente evidenti. 
Qual’è la causa di questa situazione? Quale potrebbe essere il movente di tali aberrazioni sociali? La 
disgregazione familiare, la perdita di sicurezze, la violazione degli obiettivi, la mancanza di 
prospettive, di opportunità, di motivazioni ma anche l'impossibilità di distaccarsi da una microsocietà 
ermetica, chiusa in se stessa e priva di reali valori, ma ricca di false speranze che emargina coloro che 
non si adattano (i "diversi"), portano a fenomeni di frustrazione, depressione, impotenza, che sfociano 
nella devianza più o meno grave e creano un pericoloso circolo vizioso con concatenazione di eventi 
indissolubilmente legati e inevitabilmente disastrosi.
Come intervenire? A tale proposito, sono stati prospettati diversi approcci risolutivi al problema, ma 
che in verità risultano talvolta alquanto difficili da impostare nella realtà sociale: l'apertura di centri di 
ritrovo, la fondazione di associazioni che richiamino l'attenzione degli individui, le organizzazioni sul 
territorio, l’auto-aiuto e, non ultimo, l'assistenza di psicologi presso i servizi sociali sono i principali 
mezzi con cui arginare l'emorragia deviante di personalità ormai vuotate di identità e sempre più 
spesso stanche dell'asfissiante vivere quotidiano. 
L'unica soluzione dunque, può essere una riscoperta dell'identità personale e dei propri valori, una 
rivalorizzazione delle proprie capacità, una responsabilizzazione ed una sostanziale rinascita psichica: 
l'emergere, come dei moderni Ulisse in un'interpretazione junghiana dell'Odissea, da quel mare di 
qualunquismo di massa in cui si è naufragati inconsciamente seguendo ingenuamente le fittizie rotte 
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dettate da una società, quella post-moderna, senza timoniere che si affida a venti volubili, assuefante, 
ingannevole e ammutinatrice delle speranze di giovani e meno giovani, uomini e donne che hanno però 
radicato in loro il sentimento di rivalsa, anche se ancora sommerso nel baratro del conformismo 
imperante e incatenato ai timori e alle paure infantili di essere semplicemente se stessi. 
Un saggio, tempo fà, scriveva queste parole cariche di significato: 
"Followers to the leader of mass hypnotic corruption that live their lives only to criticize,
where is the invisible line that we must draw to create individual thought patterns?".
"Seguaci dei leader della corruzione tramite ipnosi di massa che vivono le loro vite solo per criticare, 
dov'è la linea invisibile che dobbiamo tracciare per creare il nostro tracciato di pensiero 
individuale?".
(Chuck Schuldiner, 1993)
E parafrasando questa perla di saggezza, si potrebbe dire che la soluzione sta proprio nel tracciare 
quell'invisibile ma importantissima linea, quel tracciato di pensiero individuale che ci permette di 
essere, nel senso proprio del termine, umani: e umanamente agire per se stessi e quindi per gli altri, 
con se stessi e quindi con gli altri, conoscendosi e conoscendo per costruire dei nuovi concetti si vita e 
salute. 
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INTRODUZIONE
a seguente relazione è un resoconto sulle tematiche riguardanti le principali forme di disagio 
giovanile, come la devianza, l’abuso di droghe, il maltrattamento minorile, analizzate 
nell’ottica della psicologia di comunità. Tale branca della psicologia, nel corso della sua 
storia e nelle sue diverse varianti paradigmatiche, ha contribuito a comprendere le cause fondamentali 
e sviluppare delle metodologie di prevenzione e d’intervento efficaci per poter affrontare le cause e gli 
effetti delle varie forme di disagio giovanile.
Nella prima parte verrà analizzata la storia della psicologia di comunità, dalla nascita al suo sviluppo 
ed affermazione come principale strumento di intervento per lo studio, la prevenzione ed il trattamento 
del disagio sociale. Saranno affrontati i principali autori e le correnti storiche e moderne, nella 
prospettiva di un’analisi completa dello sviluppo del concetto di comunità, dell’organizzazione degli 
strumenti e dei mezzi costituiti per gli interventi nella realtà, specifici per fasce d’età, localizzazione, 
risorse, caratteristiche dei destinatari.
La seconda parte del lavoro è dedicata allo studio dei principali fenomeni di insalubrità psichica e 
sociale giovanile, dalla devianza minorile (come il bullismo e l’abbandono scolastico), agli abusi 
sessuali, all’uso di sostanze quali droghe o alcolici da parte di soggetti giovani ed agli interventi 
necessari per comprenderne le cause, prevenirli ed affrontarli.
Nella sezione dedicata all’abuso sui minori, si analizzeranno tutti gli aspetti (fisici, psicologici, 
giuridici, storici e sociali) legati a questo fenomeno. Si farà riferimento ai metodi d’intervento nei 
diversi casi di violenza, alle procedure adottate per la tutela del minore durate le fasi di accertamento e 
quelle riguardanti il suo reinserimento nella famiglia d’origine o l’eventuale affidamento a terzi. In 
conclusione verranno portati come esempio di intervento alcuni provvedimenti effettuati dal Tribunale 
dei Minori di Cagliari.
Si affronterà infine, il problema dell’abuso di droghe (sostanze stupefacenti o alcolici) tra i  soggetti 
più giovani: verranno indicati i rischi dovuti all’utilizzo e alla dipendenza da queste sostanze (con 
testimonianze dirette delle esperienze di individui rimasti coinvolti), i luoghi (fisici, emotivi e 
psicologici) di assunzione, le possibili cause scatenanti la patologia e i metodi di prevenzione, cura e 
riabilitazione. Anche in questo caso sarà riportato l’esempio di un progetto d’intervento di 
informazione e prevenzione.
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* PARTE PRIMA *
L’APPROCCIO DELLA PSICOLOGIA 
DI COMUNITA’
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na lettura ingenua considera l’opera di aiuto solidale verso gli altri come intrinsecamente 
positiva, poiché positivi sono i giudizi (legati alla morale socialmente condivisa) nei 
riguardi di chi si impegna in questo settore: in ogni caso, non è necessaria la presenza di 
istituzioni sovraindividuali relative al contesto societario, ma basta il semplice essere con altri, 
conoscere, relazionarsi, empatizzare. La validazione del lavoro sociale non và ricercata nella morale 
comunemente accettata, ma nei valori di fratellanza, conoscenza ed identificazione nell’altro che 
stanno alla base dell’umana coscienza: la solidarietà reale si fonda sulla responsabilità nei confronti 
degli altri. La peculiarità del lavoro sociale con e per le persone, consiste nell’esercitare la più alta 
responsabilità esistenziale, quella rivolta agli altri (la solidarietà).
La psicologia di comunità nasce nel 1956 (in Italia si sviluppa verso la fine degli anni ‘70), dalla 
consapevolezza accademica dell’inefficienza dell’attuale disciplina e dalla volontà di fondazione di 
una nuova, costituita dall’approccio interdisciplinare ai problemi della comunità (psicologia, 
sociologia, politica, urbanistica, giurisprudenza, pedagogia) e da una ricerca ed intervento di 
prevenzione attivo e diretto sul campo, in relazione con l’utenza.
1.1 - EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI COMUNITA’
Il termine comunità rappresenta generalmente l’idea di entità sociale globale, in cui i legami tra i 
membri sono molto stretti, il senso di gruppo è molto forte e radicato: essa si presenta come un’entità 
sovraindividuale che si impone sul singolo in virtù della sua forza trascendente di ordine culturale ed 
etico. Si impone come garante e tutore del bene comune, come luogo privilegiato di espressione della 
libertà individuale e di appartenenza secondo natura.
La comunità come espressione del Romanticismo, è l’espressione dell’opposizione all’individualismo 
e alla società: il sentimento oltre la ragione dell’illuminismo, che porta l’uomo non solo a riconoscere i 
diritti universali, ma a manifestare l’amore e la solidarietà identificandosi reciprocamente con il 
prossimo e creando una società comunitaristica, un’entità superiore in grado di gestire la vita comune, 
di ritrovare le radici culturali e storiche, di rappresentare e identificare gli individui (concetto di 
nazione). Aberrazione del pensiero nazionale e patriottico, portano a risultati opposti a quelli ideali 
della comunità romantica, a nazionalismi estremi e negazione della libertà individuale in nome della 
nazione o, meglio, del gruppo di potere dominante (totalitarismo nazionalista). Secondo 
Schleiermacher (1799), ma anche per Tonnies (1887), la comunità si delinea come un’entità speciale, 
vivente, ricca di legami e sentimenti, di valori etici, culturali e morali, sostenuta da un comune 
impegno e scopo: dunque contrapposta all’idea di socialità come società, che appare non dotata di 
senso comune, un semplice aggregato meccanico e la cui esistenza è strutturata su legami sostenuti 
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dalle ragioni del contratto, in difesa di egoismi ed interessi privati. Anche secondo Weber (1922) la 
comunità è la manifestazione di un’azione fondata su una comune appartenenza, mentre la società 
come associazione è semplicemente l’unione degli sforzi per raggiungere degli scopi o interessi.
Secondo Durkheim (1895) e la scuola francese, la società è un organismo superiore ed indipendente 
dalle dinamiche degli individui che lo compongono ed afferma il suo primato psicologico, morale sui 
soggetti (il tutto è più della somma delle singole parti). Dal lato tedesco invece, la società viene 
interpretata come più soggettivizzata, costituita e organizzata attorno ai processi dell’individuo.
In sintesi, l’idea di comunità manifesta alcuni aspetti: interdipendenza delle relazioni tra persone, 
omogeneità dei valori e norme al suo interno (interiorizzati più che espressi), condivisione di una 
cultura e forte senso d’appartenenza – comunità come condizione basica della vita in comune, legata 
ad un luogo, una storia, in cui un gruppo di persone stanno insieme per perseguire non scopi particolari 
ma le condizioni essenziali della vita quotidiana. All’interno di una comunità si può svolgere la vita al 
suo completo, cosa che non succede invece per le associazioni che risultano essere parziali e non 
integrali. Zimmerman (1938) distingue due tipi di comunità: uno localistico, in cui i legami sono molto 
stretti e si parla di gruppo, i rapporti sono di amicizia e di solidarietà molto forti (si tratta di comunità 
chiuse ed isolate, ostili al cambiamento e allo scambio); l’altro cosmopolita, in cui è privilegiata 
l’individualità, i rapporti sono più superficiali come i sentimenti che strutturano le relazioni, vi sono 
scarsi richiami alle tradizioni ed i valori sono più materialistici (sono comunità aperte e favorevoli allo 
scambio ed al cambiamento). Riguardo alle modalità di cambiamento e alla transizione, Redfield 
(1941) coglie tre processi: disorganizzazione culturale in cui le regole, le norme e le caratteristiche di 
base si perdono, si aprono nuove possibilità e si creano conflitti; processo di secolarizzazione in cui 
usi, costumi, cultura perdono il loro significato; processo di crescita dell’individualismo, che si 
esprime nella massima libertà di scelta dell’individuo.
Secondo James (1890) e la scuola americana, la sociologia deve comprendere sia elementi psicologici, 
sociali e soggettivistici (interazione e dipendenza tra elementi psicologici individuali e sociali 
ambientali): la società è vista come un sistema d’interazione tra individui che agiscono all’interno di 
quelle grandi comunità costituite dalle metropoli (organismi naturali sociali – human ecology), in cui 
tutto è radicato, articolato, interattivo (anche competitivo) ma organizzato secondo una disciplina di 
ordine morale ed etico (a differenza dei sistemi animali). Le società umane sono hanno dinamiche 
regolate fondamentalmente da quattro processi: la competizione (più istintiva e animalesca), il 
conflitto (più umano), l’accordo (sorta di accomodamento o non belligeranza), l’assimilazione 
(integrazione, identificazione, fusione).
Secondo alcuni la questione relativa alla solidarietà e al bene comune (molto attuale in questi tempi di 
globalizzazione) può esplicarsi soltanto a livello etico e morale, adottando delle politiche di giustizia 
neutra ed universale che garantisca una eguale distribuzione del benessere tra la popolazione; secondo 
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altri il metodo è quello di ricercare il bene comune all’interno della comunità d’origine, l’unica in 
grado di garantire protezione e cura e, in sintesi, una vita sociale equa e giusta.
1.2 - MODELLI TEORICI
La psicologia di comunità enfatizza l’interdisciplinarità dei suoi modelli teorici di riferimento e 
sottolinea l’importanza della formazione di psicologi più coinvolti e partecipanti: è una nuova 
prospettiva che si rivolge alla prevenzione, che tende a rafforzare laddove si interverrebbe solo in virtù 
della diminuzione del deficit, che si focalizza sull’interazione tra individui e ambiente. Potrebbe anche 
definirsi come un’ideologia, rivolta al cambiamento sociale, al benessere collettivo e del suo contesto. 
Lewin (1951) definì il suo approccio di stampo comunitario come teoria di campo, secondo la quale 
qualsiasi comportamento o mutamento entro un contesto psicologico dipende dalla particolare 
configurazione di quel contesto in quel momento: per campo si intende la totalità degli eventi 
coesistenti nella loro interdipendenza e la sua configurazione è determinata dalla struttura delle 
interazioni tra gli elementi costituenti, secondo un processo dinamico. A proposito si distingue tra: lo 
spazio di vita, la relazione tra persona ed ambiente da cui deriva il comportamento (C=f(P,A)); altri 
fatti che pur essendo presenti non influenzano nel campo psicologico in quanto non hanno effetti 
diretti sull’individuo; fatti di confine, posti tra lo spazio di vita ed il mondo esterno che fungono da 
processi di scambio. Nell’analizzare il comportamento entrano in gioco sia fattori interni quali i 
bisogni e motivazioni che esterni e sociali, quali l’appartenenza ad un gruppo, l’ideologia, la cultura.
Secondo la prospettiva ecologica della psicologia di comunità, il comportamento umano è visto in 
termini di adattamento della persona alle risorse e alle circostanze ambientali, con correzioni, 
miglioramenti, rettifiche in funzione delle possibilità proposte dal contesto: conoscendo il proprio 
ambiente, si possono creare nuove condizioni, esaltare le capacità dell’individuo e rendendolo conscio 
delle proprie possibilità e competenze. I principi fondamentali della prospettiva ecologica sono: 
l’interdipendenza ed interazione dinamica tra le componenti della comunità sociale; la distribuzione 
delle risorse; l’adattamento al proprio ambiente o alle sue trasformazioni (con lo sviluppo di ruoli 
funzionali all’interno della nicchia); la successione, riguarda la dinamica dei cambiamenti ambientali e 
le conseguenti nuove condizioni più o meno favorevoli (il cambiamento può essere naturale o 
intenzionale ed è fondamentale per pianificare un’adeguata distribuzione delle risorse). Secondo 
Rappaport (1977) questi principi coincidono con quelli di democrazia ed uguaglianza, in quanto 
propongono una valutazione ed un intervento in funzione del contesto. Gli interventi devono essere 
mirati all’analisi delle caratteristiche ambientali e alla fornitura dei mezzi necessari al cambiamento 
proprio in funzione del contesto spazio-temporale (scegliere quando fornire gli aiuti, che devono 
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sempre essere coerenti con i valori del setting in cui si opera), a creare nuove possibilità di 
cambiamento agendo sulla responsabilizzazione dell’individuo,  le risorse offerte (laddove non sia 
possibile usare quelle preesistenti) devono essere integrabili con il contesto.
Barker (1951) utilizzò un approccio naturalista (rigorosamente oggettivo, tralasciando la componente 
soggettiva proposta da Lewin) per i suoi studi, evitando di manipolare o influenzare l’ambiente e gli 
eventi, ma limitandosi ad osservarne le dinamiche, riportarle, interpretarle e tradurle in dati empirici: 
secondo i suoi studi, all’interno di qualsiasi setting, esistono dei pattern di comportamento stabili e 
strutturati in modo da mantenere l’equilibrio del sistema. I setting sottodimensionati o sottopopolati 
risultano più efficaci poiché esercitano più pressione e responsabilizzano i soggetti.
I setting, o sistemi, sono delle entità all’interno delle quali regna l’interazione e l’interdipendenza delle 
componenti: sono caratterizzati da totalità (il cambiamento di una parte influenza tutto il sistema), 
retroazione (circolarità degli effetti, interattività), equifinalità e multifinalità (da diverse condizioni 
iniziali ad un unico fine, da medesime condizioni iniziali a diverse conclusioni).
Bronfenbrenner (1979), riprende il concetto di campo proposto da Lewin e dell’ecologia di Barker, ma 
egli allarga i confini del campo, o meglio, ritiene che un individuo abbia interazioni con diversi campi, 
più ampi rispetto ai confini ristretti che delimitano il sistema più prossimo (più contesti e più grandi), 
in una sorta di struttura di cerchi concentrici inclusi l’uno nell’altro (microsistema, mesosistema, 
esosistema, macrosistema).
La teoria della crisi della Dohrenwend (1978), suppone che le modalità di reazione alla crisi (stress 
psicosociale) siano funzionali ai sistemi di sostegno sociale ed ai mediatori psicologici disponibili, 
quindi entrano in gioco sia caratteristiche personali (coping) che ambientali: dovranno essere 
predisposti interventi, soprattutto preventivi, in relazione alla situazione spazio-temporale in cui 
avviene la crisi.
1.3 - STRUMENTI CONCETTUALI E METODI DI RICERCA
La prevenzione rimane l’intervento privilegiato in ambito sociale e consiste nell’agire preventivamente 
modificando le condizioni ambientali patogene o rafforzando le difese dell’individuo. 
La prevenzione segue tre percorsi: primaria, per impedire l’insorgere di malattie o di situazioni 
ambientali turbative dell’equilibrio psicologico e sociale dell’individuo; secondaria, individuare 
nell’uomo i primi sintomi di eventuali disfunzioni (diagnosi e cura precoce); terziaria, consiste nella 
cura, riabilitazione e reinserimento. 
Rimane comunque il problema di un approccio prettamente medico-patologico (cioè di cura e 
riduzione del danno) piuttosto che effettivamente preventivo di promozione della salute: inoltre in 
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ambito psicologico (a differenza di quello medico) l’analisi del disagio, concerne molteplici variabili 
dalla non sempre chiara identificazione eziologia (si parla di eziologia multifattoriale). 
Secondo il concetto eccezionalista,  i problemi sono visto come devianze personali, quindi vanno 
trattati con interventi mirati esclusivamente all’individuo (interventi di tipo reattivo, rivolti ad 
incrementare il coping); mentre per quello universalista, qualsiasi problema và analizzato in funzione 
dei rapporti sociali imperfetti e dell’ambiente (interventi proattivi, mirati all’eliminazione dei fattori 
ambientali di stress e ad una partecipazione attiva della comunità attuando l’empowerment).
Per raggiungere la situazione di benessere che ogni intervento si prefigge, bisogna tener presente se i 
risultati vengono valutati in base a criteri (relativi) esterni (normativi, benessere come condizione di 
vita ottimale e ideale, comunemente inteso) o interni (in base all’esperienza di ciascuno e alla 
valutazione della propria vita).
L’empowerment, cioè la delega ai e la responsabilizzazione dei soggetti circa gli interventi da attuare, 
è articolato su due livelli: 
- Individuale (o psicologico): si interviene ampliando le possibilità a disposizione del soggetto, 
mediante incremento dell’autostima, della fiducia nelle proprie capacità, del controllo delle 
risorse e delle scelte; è un costrutto che deriva dall’interazione di varie dimensioni, relative a 
fattori di personalità, cognitivi, motivazionali e che per essere attivato necessita di un forte 
senso di sé, della capacità di analisi critica del proprio ambiente, dell’abilità di sviluppare 
nuove strategie d’azione e della capacità di collaborazione (anche a livello di condivisione 
delle esperienze) – bisogna intervenire laddove l’insicurezza e la mancanza di potere percepita 
(powerlessness) potrebbe causare impotenza ed inattività. Gli interventi di empowerment sono 
focalizzati alla dimensione personale (autostima, autoefficacia, fiducia), interpersonale (attività 
di intervento e gestione delle situazioni), microambientali (conoscere il proprio ambiente in 
tutti i suoi aspetti e usufruire delle risorse), macroambientali (conoscenza e coinvolgimento 
negli aspetti politici e sociali).
- Sociale (sviluppo di comunità competenti): consiste nell’accrescere le capacità di 
responsabilità, decisione ed azione degli individui, in modo da gestire efficacemente le 
problematiche della comunità, mediante solidarietà, collaborazione, sostegno, rispetto, 
partecipazione di tutti i membri. Secondo questo approccio, le persone facenti parte di una 
comunità competente hanno un repertorio di possibilità e alternative (potere), sanno dove e 
come ottenere le risorse (conoscenza), chiedono di essere autonomi (motivazione e autostima). 
Si sono identificate due strategie operative inquadrate secondo approcci differenti: uno di 
sviluppo di comunità, secondo il quale le comunità hanno in sé le conoscenze, le risorse e il 
potenziale per realizzare il cambiamento auspicato, intervenendo anche aumentando il senso di 
comunità e di appartenenza degli individui; l’altro di azione sociale, che invece ritiene che le 
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risorse siano limitate e mal distribuite, che l’organizzazione e la collaborazione sia conflittuale 
a causa dei singoli interessi per cui la soluzione ai problemi sia di carattere esclusivamente 
politico.
Secondo McMillan & Chavis (1986), gli elementi del senso di comunità sono: il sentimento di 
appartenenza, di identificazione e di connessione personale; l’influenza ed il potere sulle dinamiche 
della comunità; l’integrazione e la certezza della soddisfazione dei bisogni richiesti dai membri della 
comunità grazie all’accesso alle risorse; la connessione emotiva condivisa che sottolinea il legame 
esistente all’interno della comunità.
Il sostegno sociale può essere di tipo informale (parenti, amici, colleghi, persone vicine) o formale 
(enti, istituzioni, professionisti): accanto a questi vi sono anche altri gruppi, come quelli di auto-aiuto, 
le associazioni, i volontari. Il sostegno ha quattro funzioni principali: sostegno emotivo (affetto, amore, 
interesse, incoraggiamento, empatia), sostegno strumentale o tangibile (aiuto diretto o materiale), 
sostegno informativo o cognitivo (ampliare le conoscenze del soggetto informandolo su come risolvere 
i problemi), sostegno di stima o valutativo (apprezzamento, ammirazione, rispetto). L’efficacia del 
sostegno può essere valutata utilizzando tre tipologie di misurazione: il modello della rete (misura 
l’integrazione e l’interconnessione sociale degli individui all’interno di un gruppo, analizzandone 
struttura, qualità, interazione, funzioni), il modello del sostegno sociale ricevuto (ciò che le persone 
hanno o dicono di aver ricevuto o ciò che è stato attuato: dipende da come viene valutato l’aiuto), il 
modello del sostegno sociale percepito (il sostegno che la persona crede sia disponibile in caso di 
bisogno). Secondo il modello diretto, il sostegno garantisce effetti positivi sulla salute; mentre secondo 
il modello indiretto, il sostegno sarebbe un moderatore dello stress, uno strumento che attiverebbe 
fattori di resistenza o reazione presenti nel soggetto. 
Un’importante fonte di sostegno è quella dei gruppi di self-help (auto-aiuto), di cui si hanno notizie fin 
dal Medioevo, ma che si sono pienamente sviluppati a partire dagli anni ’30: trattasi di piccoli gruppi, 
spontanei, volontari e autogestiti, formati da pari (senza gerarchie interne, ma eventualmente soltanto 
con autorità di gestione, conferite dall’esperienza o dalle capacità) che si uniscono per assicurarsi 
reciproca assistenza. Questi gruppi (che nascono per sopperire all’inadeguatezza delle reti istituzionali 
di sostegno) enfatizzano la relazione, l’empatia, la solidarietà, l’amicizia, la fiducia, l’uguaglianza, 
assicurando assistenza materiale e sostegno emotivo, talvolta fondando la loro esistenza su valori 
ideologici o etici. Gli scopi sono molteplici,  dalla crescita e autorealizzazione personale alla lotta per 
la rivendicazione di obiettivi a livello sociale. Un’altra caratteristica di queste entità è che ognuno, al 
loro interno, è contemporaneamente fornitore e fruitore di aiuto (solitamente si tratta di persone 
“sopravvissute” che hanno superato il problema e che ora cercano di aiutare chi adesso ne soffre): 
inoltre, l’attività di solidarietà ed aiuto è la più alta fonte di gratificazione nonché di autostima e 
autorealizzazione (aiutare significa aiutarsi). 
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In ogni caso sarebbe auspicabile una collaborazione tra strutture formali (istituzionali e 
professionistiche) ed informali (auto-aiuto, basate sull’esperienza) per il fine comune dell’intervento a 
tutela dell’individuo e della società.
L’analisi della comunità è importante per impostare un giusto obiettivo ed i relativi interventi per 
attuarlo. Le comunità possono essere analizzate sotto diversi profili:
- territoriale: riguarda tutti gli aspetti fisici e ambientali del territorio in cui è localizzata la 
comunità, dalle condizioni naturali agli interventi dell’uomo;
- demografico: studia le caratteristiche della popolazione, i suoi cambiamenti nel tempo;
- occupazionale: consiste nell’analizzare la situazione lavorativa all’interno della comunità;
- servizi: le caratteristiche delle strutture istituzionali e organizzative relative ai servizi sociale 
presenti nel luogo;
- psicosociale: le dinamiche dei comportamenti e delle opinioni della popolazione;
- istituzionale: le caratteristiche delle istituzioni presenti (comuni, scuola, chiesa);
- antropologico-culturale: studia la storia i valori su cui si basa l’etica di una comunità.
Inoltre la ricerca epidemiologica può essere efficacemente utilizzata in funzione della tipologia di 
interventi da applicare in una comunità, poiché mette in relazione il disagio psichico con il contesto 
sociale. Un altro tipo di ricerca più adatta all’approccio comunitario è quella elaborata da Lewin 
(1946) della action research (azione ricerca o ricerca operativa), che, oltre alle normali procedure di 
studio, promuove anche l’azione sociale stessa, una sorta di ricerca intervento partecipante, poiché 
stimola la partecipazione dei destinatari dell’intervento e in base a questa viene valutata la sua 
efficacia (efficienza=partecipazione): in questi casi si tratta di disegni quasi-sperimentali, vista 
l’impossibilità materiale di un controllo totale su tutte le variabili (cosa che invece contraddistingue i 
disegni sperimentali). Un altro modo interessante di approccio ai problemi è quello proposto dalla 
grounded theory, secondo la quale lo scopo di una ricerca non è quello di verificare una teoria bensì di 
costruirne una sulla base dei dati raccolti, risultando aperta e dinamica e adatta all’applicazione sul 
sociale. 
In conclusione si può affermare che qualsiasi tipo di intervento deve essere ponderato, programmato 
ed effettuato dopo accurati studi sulla comunità, che può accettare o meno i cambiamenti derivanti 
dagli interventi sociali e che bisogna cercare di convincere (mediante informazione e partecipazione) 
perché sia favorevole alla loro attuazione.
1.4 - FORMAZIONE NEL LAVORO DI COMUNITA’
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