L’indirizzo sociologico, che si fonda su fattori macrosociali come causa 
della condotta criminosa , legge la criminalità come fenomeno sociale. 
 I comportamenti giovanili, come quelli adulti , vengono letti in funzione 
dell’inadeguata maturazione legata alla struttura sociale in cui l’individuo 
vive ; il giovane quindi , può commettere azoni antisociali se il suo 
ambiente sociale è estremamente negativo e carente (Ibidem, 2002). 
 
Un  esempio chiarirà come una stessa condotta delinquenziale possa essere letta in 
modo diverso, a seconda della teoria assunta. Supponiamo che un ragazzo uccida 
il padre: in base all’indirizzo antropologico, si potrà ritenere che abbia commesso 
il delitto perché epilettico, perché portatore di un problema organico; in base 
all’indirizzo psicologico, la causa del delitto va ricercata nella disfunzionalità 
della relazione genitore-figlio; in base all’indirizzo sociologico cercheremo la 
causa del delitto nella volontà del figlio di sottrarre soldi al padre, perché nella 
società di oggi conta solo il danaro. 
L’analisi più attenta delle  prospettive sopra citate, rinvia nello specifico a :  
La teoria antropologica risale a Cesare Lombroso (1835-1909), che nel 1870 
anatomizzando il cranio di un famoso brigante della zona di Catanzaro osservò 
un’anomalia morfologica congenita, costituita da una fossetta cerebrale mediana, 
tipica degli animali inferiori. Questo reperto fu una grande rivelazione per 
Lombroso, che , anche sulla base delle teorie evoluzionistiche di Darwin , costruì 
la teoria del delinquente nato. Essa afferma che l’individuo delinque perché 
portatore di caratteri tipici di uno stadio primitivo dello sviluppo umano  
(caratteri atavici) 1, quali fronte bassa e sfuggente, zigomi sporgenti, forte 
asimmetria facciale; queste caratteristiche lo indicano come un soggetto primitivo, 
quindi difficilmente adattabile al contesto sociale moderno; e il disadattamento lo 
induce a compiere atti delinquenziali. Il criminale è il prodotto dell’arresto dello 
sviluppo ontogenetico, è un individuo dallo sviluppo psicofisico bloccato in cui 
sono presenti gli istinti feroci dell’umanità primitiva e degli animali inferiori; 
questi istinti , non controllabili, si esprimono nel crimine. 
 
 
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1Atavismo: tendenza al ritorno alle caratteristiche presenti nell’antenato evolutivo di un individuo. 
Esso implica infatti la ricomparsa, in un individuo, di un tratto che era scomparso molte 
generazioni prima.  L’insieme dei caratteri atavici possono essere considerati come prova della 
storia evolutiva di un organismo che l’evoluzione ha poi cancellato , o in alcuni casi riutilizzato. 
Lombroso modificò un po’ il senso di tale tendenza: secondo l’autore una serie di caratteri 
somatici possono essere tramandati, e diventare dopo molti anni la caratteristica preponderante 
delle fisionomie di quel dato gruppo ( Parenti , Pagani ,  1968 ) .                                                                                                                                                                                                      
 
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La scuola lombrosiana, quindi, pone nel corpo la causa della devianza: ci fu chi 
credette di individuarla nell’epilessia, chi nelle alterazioni elettroencefalografiche 
o cromosomiche. Ma né Lombroso , né i suoi seguaci riuscirono mai a provare la 
loro teoria (Cavallo, 2002).  
 
Secondo i criminologi a indirizzo psicologico lo studio della psiche consente, 
attraverso la conoscenza della personalità del delinquente, di ripercorrere la genesi 
e la dinamica dell’azione deviante. In questo indirizzo rientra l’opera di Agostino 
Gemelli, psicologo della prima metà del ventesimo secolo (1879- 1959).  
 
Egli critica la scuola positiva del Lombroso, contestandone la concezione 
naturalistica che porta a considerare la devianza come fatto necessitato da fattori 
biologici, per riaffermare, in perfetta coerenza con la sua formazione cattolica, la 
centralità del libero arbitrio, e quindi il principio base della responsabilità 
individuale. Perciò ogni azione umana, compresa quella deviante, va interpretata 
come espressione specifica di quel particolare individuo e della sua personalità, 
considerata nel complesso delle sue interrelazioni con il contesto, che può a sua 
volta presentarsi come fattore predisponente (Ibidem, 2002).  
Secondo l’approccio psicoanalitico esiste un rapporto armonico tra mente e corpo, 
tra spinta psicologica e comportamento ; quando viene a compromettersi questo 
equilibrio, quando cioè si ha un’interruzione della crescita normale , il risultato è 
il comportamento deviante . Questa teoria è radicata nel pensiero di Freud   
( 1856-1939), secondo il quale è presente nell’uomo un Super-io, che pone i 
divieti, cioè una parte regolativa; l’Es una parte emotiva, che il Super-io dovrebbe  
essere in grado di controllare e gestire; l’Io, una parte mediativa tra il Super-io e 
l’Es, tra l’imperativo e la spinta emotiva, che dovrebbe essere in grado di generare 
e far percepire i segnali di angoscia legati alla violazione. Ogniqualvolta il Super-
io è debole, non riuscirà a controllare le pulsioni dell’Es, annullando così la 
funzione mediativa dell’Io; si genererà così la violazione (Cavallo, 2002). 
Successivamente, tra i sostenitori del pensiero psicoanalitico, si delinea la figura 
del delinquente per senso di colpa, il quale ricerca a livello inconscio , attraverso 
l’azione deviante, la punizione come sollievo, come liberazione da un intenso 
sentimento di colpa ascrivibile a un irrisolto conflitto nevrotico, individuato dalla 
scuola freudiana nel complesso edipico, cioè in quell’insieme di patologie 
derivanti dal mancato superamento dei conflitti infantili legati alla sessualità. Più 
in generale, il senso di colpa può stimolare verso la devianza perché la pena è 
vista come espiazione anche  di precedenti trasgressioni; in effetti, per le teorie a 
orientamento psicoanalitico la delinquenza affonda le radici in gravi turbe della 
personalità, e la condotta deviante è prodotta dalla mancata soluzione di profondi 
conflitti sofferti nel corso di processi maturativi (Ibidem, 2002). Quelli  riportati 
sono esempi di come il contributo psicologico si sia mosso alla ricerca degli 
aspetti che possono spiegare l’agire deviante. 
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 Gli sviluppi successivi hanno proseguito per questa via, prendendo 
progressivamente le distanze dall’ipotesi di nessi deterministici fra personalità e 
comportamento,  e sostenendo l’impossibilità di differenziare il deviante dal resto 
della popolazione.                                                                                                                                               
L’uomo è prima di tutto un essere sociale e i piani da considerare per 
comprendere i suoi comportamenti vanno oltre il livello intrapsichico. Il sociale 
rappresenta un terreno di studio importante e, come molte teorie hanno dimostrato 
( De Leo, Patrizi, 1999), svolge un ruolo fondamentale nell’insorgenza del 
comportamento deviante. E’ a partire da questa premessa che si sono mossi nuovi 
itinerari di spiegazione dell’azione deviante. A tal proposito è opportuno ricordare 
la corrente  dell’interazionismo simbolico, al cui interno  si sono sviluppate le 
proposte teoriche rivelatesi più feconde rispetto all’obiettivo di analizzare e 
comprendere l’agire deviante  (De Leo, Patrizi, 2002).  
In particolare l’interazionismo simbolico pone come centrale lo studio 
dell’interazione , un’interazione in primo luogo simbolica perché caratterizzata 
dai significati che gli esseri umani attribuiscono alle loro azioni reciproche. 
Secondo tale approccio infatti, la  delinquenza non è solo il risultato di un 
comportamento contrario alla norma, ma deriva anche dalla reazione che la 
collettività assume di fronte al reato e al suo autore (interazione tra la collettività e 
l’autore di reato). Questa prospettiva concepisce la devianza come il risultato di 
un processo interattivo  tra: 
 
. il soggetto che compie delle azioni; 
. le norme che definiscono tali azioni come illecite; 
. la reazione sociale alle infrazioni di tali norme; 
. il controllo sociale; 
. la riconsiderazione di sé da parte del soggetto (Ibidem, 2002).  
              
 
 
 
 
 
 
 
5
  
Vengono in tal modo ripresi concetti propri delle teorie sociologiche, quali 
l’etichettamento2 e i processi di esclusione , con particolare attenzione ai processi 
che conducono alla devianza, dando rilevanza sia alla stigmatizzaione3, sia alle 
trasformazioni che si possono registrare nella psiche del deviante in rapporto alle 
figure di riferimento che lo circondano, e infine al come queste figure reagiscono 
alla condotta deviante. La devianza quindi è interpretata come un processo 
dinamico; l’impulso deviante, infatti, è presente in tutti gli individui; la maggior 
parte di essi si trattiene nell’attuarlo , perché è inserita nel tessuto sociale e perciò 
ne riconosce e accetta le regole viceversa, la reazione sociale verso chi sembra 
aver trasgredito, etichetta negativamente il presunto trasgressore attraverso 
meccanismi di rifiuto sociale che , interiorizzati dal soggetto , lo spingono sempre 
più a mantenere quella condotta definita deviante (Cavallo, 2002). 
Tra le prospettive analizzate, proprio quest’ultima, negli ultimi anni, gode di 
maggiore credito tra i ricercatori proprio perché si è compreso che il sociale è il 
terreno fertile per l’insorgenza di comportamenti criminali. Si può quindi 
affermare che la devianza scaturisce dall’incontro tra un comportamento e la 
reazione sociale che ne deriva. In altre parole affinché un’azione venga 
considerata deviante non occorre solo la contrarietà alla norma condivisa e 
legittimata, bensì come questa viene percepita ed    etichettata  dagli altri. 
 
 
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 Etichettamento : Concetto sviluppato all’interno della labelling theory ad opera di studiosi come 
Becker e Lemert.  Tale teoria abbraccia due aspetti: la spiegazione del come e del perché certi 
individui vengono etichettati e gli effetti dell'etichettamento sul comportamento deviante. Il primo 
aspetto consiste nello scoprire le cause dell'etichettamento, di cui l'elaborazione più famosa è 
quella formulata da Becker: "I gruppi sociali creano la devianza stabilendo delle regole la cui 
violazione costituisce un atto deviante, e applicandole a persone particolari etichettate come 
outsiders” ( Becker 1987). Da questo punto di vista, la devianza non consiste nella qualità dell'atto 
che una persona commette, ma è una conseguenza dell'applicazione delle regole e sanzioni su di 
un reo.  Per quanto riguarda il secondo aspetto, cioè le conseguenze subite dalle persone 
etichettate, si possono rilevare due modalità di questo processo: da un lato gli effetti criminogeni 
dell'etichetta di deviante, dall'altro gli effetti dell'etichetta sull'immagine di sé. Entrambi i processi 
possono portare ad un'espansione della devianza, dando avvio ad una carriera deviante  
( www.altrodirittoit ) . 
 
3 Stigmatizzazione : fenomeno sociale che attribuisce una connotazione negativa a un membro  o a 
un gruppo  della    comunità  in modo da declassarlo a un livello inferiore ( Cavallo , 2002 ) .  
 
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