INTRODUZIONE Quali sono le strategie giuridiche poste in essere dalle democrazie moderne
davanti all’incontro di diversi sistemi normativi che caratterizza la realtà
multiculturale contemporanea? È possibile sviluppare una soluzione giuridica che
riesca a conciliare il principio di uguaglianza sostanziale con la promozione di un
sistema di diritti differenziati per le minoranze culturali e religiose?
A questi interrogativi è legato lo sviluppo del presente elaborato, che ha per
argomento principale la ricerca di una soluzione giuridica che soddisfi nel rispetto
delle libertà democratiche, le sfide poste dalla convivenza di diverse tradizioni
culturali e religiose nello stesso spazio socio-politico.
L’elaborazione di questo lavoro parte dalle riflessioni maturate durante i corsi di
diritto islamico e di diritto ecclesiastico e verte principalmente sulla trattazione
delle problematiche inerenti la condizione dei gruppi religiosi. La prima parte
dell’elaborato è dedicata ad un ragionamento critico circa il sistema delle
giurisdizioni plurali che caratterizza l’ordinamento siriano, mentre la seconda
parte si concentra piuttosto sulla condizione dei gruppi religiosi in Europa.
Particolare attenzione, in tema di diritti culturali, è riservata alle rivendicazioni dei
gruppi religiosi musulmani e riguardo al diritto di famiglia.
La scelta della trattazione di questi particolari argomenti nasce dal mio personale
interesse sulla condizione giuridica riservata ai gruppi religiosi negli ordinamenti
contemporanei ed è inoltre motivata dall’analisi del singolare caso siriano,
suggeritami dal mio relatore, che ho avuto modo di approfondire personalmente
durante i vari mesi di ricerca a Damasco.
Al fine di conciliare le differenze culturali, sui modelli giuridici di famiglia, alcuni
ordinamenti, tra i quali quello siriano, prevedono che la disciplina del diritto di
1
famiglia venga affidata all’esclusiva competenza delle comunità religiose. La
maggior parte degli ordinamenti occidentali, al contrario, predilige il modello di
codice di diritto di famiglia unico da applicare in maniera uguale a tutti i cittadini
residenti nel territorio statale
La prima parte della disamina si concentra, appunto, sulla condizione giuridica dei
gruppi religiosi che caratterizza l’ordinamento siriano e sulle ragioni storiche che
hanno portato il legislatore locale a preferire la permanenza di sistemi giuridici
confessionali limitatamente all’amministrazione delle norme sullo statuto
personale.
In particolare, il primo capitolo analizza le origini storiche dell’autonomia in
materia di diritto di famiglia di cui godono i gruppi religiosi, riconducibili allo
storico patto di Dhimma . Questo accordo permetteva alle popolazioni non
mussulmane residenti negli stati islamici di osservare le proprie norme religiose
circa il diritto di famiglia dietro pagamento di una speciale imposta. Questa
particolare condizione deriva dal carattere confessionale del diritto islamico, che
si applica in linea generale solamente agli appartenenti alla umma , la comunità di
fedeli mussulmana. Viene poi esaminato, il sistema di autonomie comunitarie che
caratterizzava la condizione delle minoranze non mussulmane residenti nei
territori dell’Impero Ottomano, comunemente conosciuto come sistema della
Millet . Tale sistema riservava una limitata autonomia legislativa e giudiziaria alle
comunità Greco-ortodossa, Armena ed Ebraica. Il primo capitolo si conclude con
l’analisi degli sforzi compiuti dall’Impero Ottomano verso l’imposizioni di un
unico codice sul diritto di famiglia.
L’analisi proposta nel secondo capitolo, riguarda esclusivamente l’ordinamento
siriano. Come anticipato in questo sistema permane la coesistenza di diversi
codici normativi riguardo al diritto di famiglia e dunque di diversi tipi di
giurisdizioni competenti a dirimere le controversie circa le questioni di diritto di
famiglia. In Siria, infatti, le Corti competenti per le questioni di Statuto Personale
si dividono in Tribunali Canonici o Sharitici , Tribunali Dottrinali o mazhabi per la
minoranza drusa e Tribunali Spirituali o rūhī per le minoranze cristiane ed
ebraiche. Lo scopo del secondo capitolo vuole essere quello di descrivere questo
sistema di autonomie giuridiche e legislative, di capirne a fondo il funzionamento
e di analizzarne i punti di forza come i punti di debolezza.
2
La stesura di questo secondo capitolo si basa oltre che su una specifica
bibliografia, spesso lacunosa, ricavata da diversi articoli su riviste specializzate in
diritto comparato e sistemi giuridici islamici, su un ampio campione di interviste a
operatori del diritto e rappresentati religiosi siriani che ho avuto modo di condurre
durante la mia permanenza a Damasco.
Il terzo e ultimo capitolo, si pone, invece, come una riflessione conclusiva sui
problemi legati ai diritti culturali e in particolare sulle problematiche che
interessano i diritti dei gruppi religiosi. Nell’epoca contemporanea, infatti,
caratterizzata da forti migrazioni e dal fenomeno della globalizzazione, la maggior
parte degli stati nazione vive al suo interno una diversità culturale, etnica,
linguistica e religiosa che pone le istituzioni davanti a numerose problematiche
riguardanti l’integrazione e la protezione delle minoranze.
A conclusione dell’elaborato vengono quindi esaminate le problematiche poste in
essere dal pluralismo giuridico e le soluzioni adottate dagli ordinamenti
contemporanei sulla questione dei diritti culturali.
Il terzo capitolo si chiude con la formulazione propositiva di una possibile
soluzione giuridica al problema del riconoscimento degli inderogabili diritti
culturali in Europa. In particolare, chi scrive, dopo aver analizzato il sistema delle
corti arbitrali che vigeva fino al 2006 nello stato canadese dell’Ontario, ipotizza
che sul modello di tale sistema, con l’applicazione degli opportuni correttivi
suggeriti nel rapporto dell’ex procuratore generale Boyd , incaricata di presentare
una valutazione sul sistema delle corti di arbitrato, possa essere rintracciata la
direzione da percorrere per una futura disciplina della cittadinanza multiculturale,
poiché nelle parole della stessa Boyd: “ Secular state law do not treat everyone
equally, because people’s individual backgrounds leads to difference in the impact
of these laws”.
3
CAPITOLO PRIMO
NASCITA E SVILUPPO DEL SISTEMA DELLE
GIURISDIZIONI PLURALI SOMMARIO:
I.1 Introduzione – I.2 Nascita ed evoluzione del concetto di Dhimma – I.3
L’Impero Ottomano: dalla Millet alla redazione di un Codice Unico – I. 4
Riorganizzazione delle comunità non musulmane – I.5– Brevi cenni sul Codice
del Diritto di Famiglia Ottomano del 1917 I.6 Sistema della Millet : esempio di
oppressione o di tolleranza? – I.7 Approccio critico rispetto alla storiografia
classica in materia di Millet .
I.1 Introduzione La convivenza di diversi sistemi giuridici limitatamente alle norme sullo Statuto
Personale, che caratterizza la quasi totalità degli ordinamenti mediorientali trova
le sue più remote origini nella formulazione del concetto di Dhimma , espresso dal
Profeta Maometto per definire la condizione giuridica delle popolazioni non
mussulmane residenti in terre d’Islam.
Il Diritto Islamico, infatti, data la sua origine confessionale si applica idealmente
ai soli credenti musulmani, che sono gli unici soggetti del diritto divino. Ne
deriva, che la condizione necessaria per l’applicazione del diritto islamico, sia
quella dell’appartenenza alla comunità di fedeli. Di conseguenza, ai sudditi non
musulmani presenti nelle terre di Islam, che rifiutavano la conversione, fu
concesso da Maometto di conservare le proprie norme. Lo status giuridico dei non
musulmani e il grado di autonomia loro concessa, variava grandemente a seconda
delle epoche e della modalità della conquista islamica, ma soprattutto, a seconda
dell’appartenenza religiosa dei non musulmani. In via generale, infatti, lo status di
4
Dhimmi veniva riservato solamente ai seguaci delle due grandi religioni
monoteistiche che avevano preceduto l’Islam: l’Ebraismo e il Cristianesimo
1
.
Tuttavia, a questa norma generale, seguiranno una lunga serie di eccezioni, dettate
dalle esigenze pratiche dell’espansione mussulmana.
Durante la dominazione ottomana nei territori mediorientali, la separazione
giuridica tra musulmani e non musulmani fu mantenuta. La base del sistema
giuridico della Sublime Porta, infatti, continuava ad essere il diritto islamico
rivelato da Dio al Profeta. La condizione dei sudditi non musulmani dell’Impero
Ottomano era definita attraverso gli editti imperiali proclamati dal Sultano.
Nel corso del capitolo, verranno esaminati in dettaglio gli editti più importanti
riguardo a questa materia. In via generale, è tuttavia possibile affermare che il
contenuto di tali editti imperiali, e di conseguenza le garanzie concesse ai sudditi
non musulmani, dipendeva da due ordini di fattori: il peso sociale ed economico
delle comunità non mussulmane all’interno dell’Impero e l’influenza delle
potenze europee sul sovrano ottomano, fattore di grande importanza soprattutto
negli ultimi anni di vita dell’Impero
2
.
La trattazione della posizione giuridica e sociale dei non musulmani residenti in
terre islamiche, presenta una certa difficoltà essendo questo da sempre un
argomento sensibile e fortemente politicizzato. Per queste ragioni è abbastanza
difficile trovare una storiografia di riferimento che presenti questo particolare
argomento con la necessaria obiettività. Al proposito è utile rilevare come gli
autori della tradizione occidentale abbiano da sempre dipinto la posizione dei
soggetti non musulmani in terre d’Islam in modo fortemente negativo, utilizzando
questo tema per discreditare gli stati islamici agli occhi dell'occidente. Al
contrario, la storiografia degli autori musulmani al proposito è spesso apologetica.
Il capitolo si propone dunque di spiegare l’evoluzione della condizione dei sudditi
non musulmani in terre d’Islam, partendo dalla formulazione del concetto di
Dhimma per concludere con il tentativo ottomano di imposizione un unico Codice
sullo Statuto Personale, applicabile a tutti i sudditi dell’Impero,
1 In termini generali è possibile descrivere il rapporto di Dhimma come un accordo bilaterale tra i
governanti musulmani di un entità statuale islamica e di soggetti non musulmani ivi residenti.
NICOLA MELIS, “Lo statuto giuridico degli ebrei dell’Impero Ottomano”, in M. CONTU – N.
MELIS - G. PINNA, Ebraismo e rapporti con le culture del Mediterraneo nei secoli XVIII-XX ,
Giuntina, Firenze 2003, cit. p.139.
2 EDOARDO VITTA, The Conflict of Laws in matters of Personal Status in Palestine , Bursi law
Publichers, Tel Aviv, 1947, capitolo primo, pag. 1 ss.
5
indipendentemente dallo loro appartenenza religiosa. Attraverso l’analisi di questa
materia mi propongo di ricercare e spiegare le origini dell’attuale organizzazione
del sistema legale siriano in materia di Statuto Personale, argomento centrale di
questo elaborato.
I.2 Nascita ed evoluzione del concetto di Dhimma
Lo sviluppo del Millet , come sistema di giurisdizioni plurali e autonome, alle
quali erano sottoposti i sudditi non musulmani dell’Impero Ottomano, trova le sue
fondamenta nella Dhimma 3
, il rapporto giuridico che legava i cristiani, gli ebrei e
i seguaci di altre religioni assimilate al cristianesimo e all’ebraismo, come i sabei,
ai conquistatori Musulmani
4
.
Quando Maometto e i suoi seguaci emigrarono a Yathrib , Medina, (622-632), la
popolazione medinese era formata da vari clan politeisti e da diverse tribù
ebraiche, che da lungo tempo abitavano le terre dell’Arabia. Le tribù ebraiche
erano dedite all’agricoltura e all’artigianato e convivevano con le tribù pagane
arabe, alle quali erano alleate. L’arrivo di Maometto e dei suoi seguaci non
provocò nessun tipo di opposizione da parte di queste genti.
Maometto organizzò la comunità dei suoi seguaci intorno ai principi della
solidarietà, dell’uguaglianza, del mutuo rispetto e della carità verso il prossimo.
Secondo quanto riportato da alcune disposizioni della Carta di Medina
5
, gli ebrei e
gli arabi pagani erano inizialmente inclusi nella umma , la comunità di credenti
3 Una parte della storiografia moderna ritrova le origini del sistema del Millet nella legislazione
discriminatoria contro gli ebrei e i cristiani non Melchiti in vigore presso l' Impero Bizantino, e in
quella contro gli ebrei e i cristiani codificata durante l' Impero sasanide. Va rilevato comunque che
i giuristi musulmani non hanno mai rimandato a queste fonti per ritrovare le origini del rapporto di
Dhimma . S.J. SHAW, History of the Ottoman Empire and Modern Turkey , Cambridge University
Press, 1976. SVETOSLAV STEFANOV, Millet System in the Ottoman Empire - example for
oppression or for tolerance? , Bulgarian Historical Review, volume25, 1997, pag.136 ss.
4 C.E. BOSWORTH, The Concept of Dhimma in Early Islam , in B. BRAUDE E B.LEWIS,
Christians and Jews in the Ottoman Empire:The functioning of a Plural Society , Holmes and
Meier, Londra 1982, pag. 37 ss. R.B. SERJEANT, The "Sunnah Jāmi'ah," Pacts with the Yathrib
Jews, and the "Tahrīm" of Yathrib: Analysis and Translation of the Documents Comprised in the
So-Called 'Constitution of Medina ' , Bulletin of the School of Oriental and African Studies,
University of London, Vol. 41, No. 1 ,1978, pag.1 ss.
5 Poco dopo l’egira (20-24 Settembre 622) Maometto stabilisce le basi della vita politica e sociale
della umma medinese. Troviamo traccia delle norme di questa comunità nella Carta di Medina.
FRANCESCO CASTRO, Il Modello Islamico , G.Giappichelli Editore, Torino, 2007, p .6-7.
6
musulmani istituita e governata da Maometto stesso
6
. Le disposizioni della Carta
di Medina riflettevano lo stato di debolezza e vulnerabilità iniziale dell’Islam e il
bisogno di cooperare con i non musulmani al fine di stabile un regno prospero e
militarmente solido in vista della successiva espansione. Una volta stabilito con
sicurezza il dominio sulle terre arabe, ecco che si assiste al radicale cambiamento
di atteggiamento del Profeta
7
.
Maometto, da prima propose alle tribù ebraiche di convertirsi all’Islam, e
inseguito, davanti al rifiuto di queste, procedette alla persecuzione e all’espulsione
delle stesse da Medina. Così, intorno al 627, la umma acquistò il suo carattere
omogeneo e gli infedeli vennero distinti, ai fini giuridici, nelle due categorie di
Scritturali e di Gente degli Idoli.
La Gente degli Idoli, kuffar , non veniva tollerata nel territorio dell’Islam, perciò,
se questi non si convertivano erano obbligati a emigrare e se non lo facevano
erano condannati alla pena di morte. Gli Scritturali, abl al-kitab , invece, erano
legati alla popolazione dominante mussulmana da uno speciale rapporto di
protezione chiamato Dhimma . Tuttavia, le conquiste di territori abitati in
maggioranza da kuffar , portò i giuristi musulmani a tollerare in quanto Dhimmi
anche gli appartenenti alla categoria della Gente degli Idoli (Indù, Sikh, Buddisti)
concedendo loro tolleranza e protezione secondo quanto stabilito dall’accordo di
Dhimma 8
.
In base a questo rapporto, le popolazioni Ebree e Cristiane, e secondo alcuna
dottrina, anche Zoroastriani e Sabei, potevano conservare la loro religione e
rimanere soggetti liberi dietro pagamento di una speciale imposta, detta jizya , in
cambio della libertà e della protezione da parte dell’autorità mussulmana
9
. La
jizya , gravava soltanto sugli uomini abili, di condizione libera, escludendo dal
pagamento donne, bambini, infermi e vecchi, e consisteva in un pagamento di un
imposta personale, la jizya appunto, e di un imposta che gravava sui possedimenti
fondiari, la Kharag 10
. Secondo il diritto islamico infatti, la sicurezza e il benessere
6 IBN ISHAQ, Sirat Rasul Allah (La Vita di Maometto), traduzione di A.GUILLAUME, Oxford,
1955.
7 JORGEN NIELSEN, The Christian-Muslim frontier : chaos, clash, or dialogue? , Tauris, 1998.
8 La Dhimma di Khaybar fu il primo trattato stipulato con la tribù ebrea dei Qurayza e diventerà in
seguito il modello di trattato adottato comunemente per regolare il rapporto tra i conquistatori
musulmani e le popolazioni di conquistate.
9 KEMAL CICEK, The Great Ottoman-Turkish civilization , Ankara : Yeni Turkiye, 2000.
10 Va rilevato comunque che questo sistema di esazione che gravava sui Dhimmi era in realtà privo
di uniformità e variava a seconda della tipologia dei territori conquistati e a seconda delle epoche
della conquista. BAT YE’OR, The Dhimmi: Jews and Christians under Islam , Fairleigh Dickinson
7
delle popolazioni non-mussulmane era sotto la responsabilità dello stato islamico
dietro pagamento dell’imposta sopracitata. Inizialmente, l’autorità mussulmana si
riservava inoltre, il diritto di sciogliere unilateralmente questo patto ed espellere i
non musulmani dal Dar-al-Islam , qualora esigenze di sicurezza e sovranità lo
rendessero necessario.
I termini del trattato di Dhimma , variavano a seconda di come la vittoria dei
musulmani era stata ottenuta. In particolare se la vittoria dei musulmani era stata
ottenuta tramite duri combattimenti, i termini di trattamento della popolazione
soggiogata erano molto severi e punitivi. Se invece, la vittoria del popolo
musulmano era frutto di una immediata capitolazione dell’avversario, i termini di
soggezione sarebbero stati meno duri.
Inoltre, come accennato sopra, la condizione dei Dhimmi , variava grandemente a
seconda della scuola giuridica dominante. Per esempio, secondo le dottrine della
scuola Hanafi , che si affermerà successivamente come scuola giuridica ufficiale
dell’Impero Ottomano, i sudditi non musulmani erano equiparati ai sudditi
musulmani in tema di diritti di proprietà e di diritto penale. Altre scuole giuridiche
invece, argomentando le loro dottrine in base al noto passo del Corano IX, 29
“ Combattete coloro che non credono in Dio e nel Giorno Estremo, e che non
ritengono illecito quel che Dio e il Suo messaggero han dichiarato illecito, e
coloro, fra quelli cui fu data la Scrittura, che non s'attengono alla Religione della
Verità. Combatteteli finché non paghino il tributo, uno per uno, umiliati ” 11
e al
Patto di Omar, prevedevano un regime giuridico molto restrittivo e punitivo per i
sudditi non musulmani.
Il Patto di Omar viene ritenuto la prima fonte normativa dedicata a codificare nel
dettaglio la situazione legale dei Dhimmi 12
. Gli storici attribuiscono questo
accordo a Omar I (634-644), pur ammettendo che durante il califfato di Omar I le
relazioni tra musulmani e cristiani ed ebrei non fossero in realtà così intense da
giustificare tale regolamentazione. Tuttavia, la maggior parte degli storici si trova
d’accordo nell’affermare che i termini restrittivi contenuti nel patto di Omar non
si conciliassero con le politiche portate avanti durante i primi quattro califfati e la
University Press, 1985, p. 43 ss.
11 Traduzione di ALESSANDRO BAUSANI in, Il Corano:introduzione, traduzione e commento di
Alessandro Bausani , BUR, Milano, 2007.
12 TRITTON A. STANLEY, The Caliphs and their non-Muslim subjects : a critical study of the
covenant of ‘Umar , Oxford university press, 1930, p.5 ss.
8
dinastia degli Umayyade (661-750). Tali norme trovavano invece applicazione
sotto il regno della dinastia Abbaside, noto come epoca di intolleranza religiosa
13
.
Questo patto enumera in dettaglio molte condizioni della sottomissione, ed è stato
un testo fondamentale nell'elaborazione legale dello status dei Dhimmi durante il
periodo classico della giurisprudenza islamica
14
. Nonostante questo rapporto di
soggezione, ai Dhimmi era concesso di auto amministrarsi per quanto riguardava
gli affari interni alla propria comunità. Ai Dhimmi era inoltre concesso di
avvalersi di tribunali speciali che applicavano le norme religiose proprie di
ciascuna religione. L’unica limitazione a questa giurisdizione separata riguardava i
delitti capitali e le minacce all'ordine pubblico; in questi casi i Dhimmi dovevano
riferirsi alla giurisdizione islamica competente. Esistono varie versioni del Patto
di Omar che è stato tramandato da varie fonti. Una delle fonti di grande
importanza storica è ritenuta una lettera scritta dai Cristiani stessi al sultano Omar
e contenente paradossalmente la descrizione dei termini di soggezione verso i
musulmani che i cristiani dovevano tenere in cambio di protezione. Ai Dhimmi era
concesso il diritto di praticare privatamente i propri riti religiosi, essi in generale
devono mostrare deferenza e umiltà nei contatti sociali con i musulmani. Era
prevista anche la protezione personale e dei beni, ma la punizione per infrazioni
13 J.G.ASSAF, La competence des Tribunaux du Statut Personnnel au Liban et en Syrie , Tesi di
Dottorato, Facoltà di Diritto e di Scienze Politiche dell’Università di Strasburgo, 1935.
14 Riporto la traduzione del patto dall’Inglese come riportata in cfr. TRITTON A. STANLEY, The
Caliphs and their non-Muslim subjects, , op. cit. supra nota 12 “Noi cristiani quando siete arrivati
vi abbiamo chiesto sicurezza per noi, le nostre famiglie, le nostre proprietà e gli appartenenti alla
nostra stessa religione contro il pagamento di un tributo e la promessa di mantenere un
atteggiamneto umile davanti a voi. Inoltre abbiamo promesso di non ostacolare un mussulmano
che vuole entrare nelle nostre chiese sia di giorno che di notte, e di ospitarlo per tre giorni e offrire
lui del cibo. Noi potremo suonare le campane solo molto delicatamente e non alzeremo la voce
durante servizi religiosi in presenza di musulmani e neppure alzeremo la voce quando seguiremo il
nostro morto. Noi non daremo rifugio, nelle nostre chiese o nelle nostre abitazioni, ad alcuna spia
nemica. Non costruiremo, nelle nostre città e nelle loro vicinanze, nuovi monasteri, chiese,
conventi, celle per monaci, neppure ripareremo, di giorno o di notte, quegli edifici che stanno
andando in rovina o che sono situati nei quartieri dei musulmani. Non manifesteremo segni di
idolatria ne esporremo pubblicamente la nostra croce né nelle nostre chiese né nelle strade e nei
mercati musulmani. Non studieremo il Corano, né lo insegneremo ai nostri figli. Non impediremo
ad alcuno dei nostri parenti di convertirsi all' Islam, se lo desidera. Non cercheremo di
assomigliare ai musulmani negli abiti, nei cappelli, nei turbanti, nei calzari e nell’ acconciatura.
Non scolpiremo sigilli in lingua araba. Non parleremo come loro e non impiegheremo i loro titoli
onorifici. Noi mostreremo rispetto nei confronti dei musulmani, e ci alzeremo quando li
incontriamo. Non costruiremo case più alte di quelle dei musulmani non ci cingeremo di spade,
non indosseremo alcuna arma, neppure le trasporteremo sulle nostre persone quando siamo in terra
mussulmana. Non venderemo bevande fermentate (alcoliche) né celebreremo i riti con canti e
fuochi per seppellire i nostri morti in alcuna strada dei musulmani . Non seppelliremo il nostro
morto vicino ai musulmani. Non prenderemo schiavi che siano stati proprietà di musulmani.
Imponiamo queste condizioni a Noi e a tutti gli appartenenti alla nostra religione. Chi non accetta
queste condizioni perderà la protezione”.
9