3 
 
INTRODUZIONE 
 
 
Lo scopo di questo studio è stato quello di indagare quella fase della vita di ogni individuo, 
contrassegnata da profonde modificazioni, che è l’adolescenza. In questo periodo non si è 
più bambini e non si è ancora adulti. Tutto ciò che contraddistingue il proprio Sé cambia: il 
fisico, il sistema affettivo e sociale, la capacità intellettiva. 
L’elaborato è strutturato in quattro capitoli, di cui si riporta sinteticamente il contenuto.  
Nel Capitolo I è stata fatta una panoramica delle principali teorie psicologiche. Si è partiti da 
quelle classiche, fino ad arrivare al contributo recente della psicoanalisi moderna di 
Pietropolli Charmet. Il capitolo si sofferma sulla fase puberale e sulle modificazioni 
corporee che la contraddistinguono e sull’aspetto dello sviluppo dell’identità sociale e 
morale, trattando dei contributi di Piaget, Kohlberg e Hoffman. Si analizza poi il sistema 
delle relazioni e di come loro cambino radicalmente rispetto a quelle dell’infanzia. 
Il Capitolo II affronta il tema dei disturbi dissociativi, attraverso un excursus storico che 
spazia dal concetto di automatismo psicologico di Janet al contributo di Freud. La 
dissociazione è stata poi descritta attraverso numerosi studi empirici, come quelli effettuati 
da Ferenczi sui fenomeni dissociativi dell’infanzia e da quelli di von der Kolk sulla 
riemersione intrusiva delle memorie traumatiche e la coazione a ripetere. La dissociazione è 
stata descritta come un continuum d’intensità, e quindi come un fenomeno che appartiene, 
nelle sue forme più lievi, a tutti noi.  Essa riveste la funzione di meccanismo difensivo, 
talvolta utilizzato in situazioni estreme per staccarsi da una realtà che in un particolare 
momento può essere fatale, come hanno evidenziato gli studi di Steinberg. 
Ci si è soffermati sulla sintomatologia ed epidemiologia della dissociazione, secondo il 
modello del continuum e della Teoria della Dissociazione Strutturale, e descrivendo i 
sintomi del Disturbo Dissociativo, secondo la teoria di Putnam e i criteri diagnostici del 
DSM-5. 
Nel Capitolo III si è trattato della dissociazione in adolescenza, soffermandoci 
sull’applicazione della Teoria dell’Attaccamento di Bowlby ai fenomeni dissociativi, 
secondo la Teoria degli Stati Comportamentali Separati di Putnam. 
Il capitolo tratta poi del legame tra Internet, dipendenza e stati dissociativi, soffermandosi 
sul rapporto sempre più presente e preoccupante nella vita degli adolescenti, ma non solo. Si 
è poi trattato degli studi della Young che hanno portato all’individuazione di criteri
4 
diagnostici della dipendenza da Internet, del fenomeno della Trance Dissociativa da 
Terminale e della Sindrome di Hikikomori. 
Il Capitolo IV rappresenta la parte sperimentale dell’elaborato. E’ stato condotto, su un 
campione di 91 studenti dell’Istituto Aeronautico “Salvo D’Acquisto” di Bracciano (RM), 
uno studio che si proponeva di analizzare i profili dei soggetti dal punto di vista emotivo 
comportamentale, rivolgendo una particolare attenzione alle differenze di genere, di 
verificare le eventuali correlazioni tra un maggiore utilizzo di Internet e l’uso di meccanismi 
dissociativi e tra gli aspetti emotivi comportamentali dei soggetti. 
I risultati hanno evidenziato delle importanti correlazioni, e saranno esposti dettagliatamente 
nel capitolo sperimentale, nella parte della discussione dei dati e nelle conclusioni 
dell’elaborato.
5 
CAPITOLO I 
 
L’ADOLESCENZA 
 
 
1. Cenni preliminari e principali teorie classiche  
 
L’etimologia della parola “adolescenza” proviene dal verbo latino adolescere, che significa 
“crescere”. L’individuo adolescente, infatti, non è più un bambino e non è ancora un uomo. 
Questa fase del ciclo di vita umana è, più delle altre, un periodo di transizione caratterizzato 
da cambiamenti che investono tutti gli aspetti di un individuo. 
L’adolescente vive il cambiamento del proprio fisico, delle proprie capacità intellettive, del 
sistema affettivo e sociale. 
Queste modificazioni sono particolarmente profonde e significative. Questo allontanarsi 
dall’infanzia per avvicinarsi all’età adulta causa una fase temporanea di squilibrio, poiché 
l’adolescente deve necessariamente porre in discussione tutto il suo essere, che ha 
caratterizzato la fase infantile, e soprattutto mette in discussione se stesso. 
Certo questo tipo di cambiamento caratterizza anche i primi anni dell’infanzia, ma nella fase 
adolescenziale l’individuo è consapevole del mutamento che sta avvenendo e il suo 
principale impegno è quello dell’attribuzione di significato a ciò che gli sta accadendo. 
Il periodo che chiamiamo adolescenza, corrisponde a un arco temporale piuttosto ampio, ed 
è comunque strettamente soggettivo, sia per tipologia ed entità dei cambiamenti che lo 
caratterizzano, sia per quanto riguarda i tempi che ne segnano l’inizio e la conclusione. Se 
ragioniamo in termini strettamente cronologici, l’inizio dell’adolescenza può essere 
considerato tra il 10° e il 12° anno di età per le femmine e tra l’11° e il 13° per i maschi, 
mentre il suo termine viene fatto coincidere con il 18° anno di età per entrambi i sessi. 
Gli studi sull’adolescenza fiorirono all’inizio del Novecento. Secondo gli studi di John R. 
Gillis (1974), alla fine del XIX secolo i gruppi giovanili persero la loro autonomia, in quanto 
nel periodo compreso dai 14 ai 18 anni, essi non ebbero più la possibilità di accesso al 
lavoro che prima possedevano, e dovettero necessariamente assoggettarsi al controllo delle 
famiglie e delle altre istituzioni. Verso l’inizio del 1900, secondo l’autore, l’adolescenza si 
limitava alle classi medie, ma esso divenne in seguito, un fenomeno di massa, tant’è che egli 
definisce tale periodo come “l’era dell’adolescenza”, grazie all’industrializzazione crescente 
che espulse molti giovani dal modo del lavoro, all’estensione della scuola secondaria, alla 
creazione di tribunali e carceri speciali per giovani. Le teorie psicologiche che hanno
6 
affrontato questa particolare fase della vita dell’individuo, sono state formulate da vari autori 
di riferimento secondo differenti approcci di studio. Per enunciarle ho seguito la trattazione 
che di esse hanno fatto Luigia Camaioni e Paola Di Blasio (2002) e Augusto Palmonari 
(1993) nelle loro opere. 
 
1.1 Approccio psicobiologico: Stanley Hall  
Nel campo della psicologia, è considerato il padre della ricerca scientifica sull’adolescenza, 
Stanley Hall, fondatore di un’importante scuola presso la Clark University di Boston. 
Egli fu, infatti, il primo psicologo a proporre una vera e propria tesi sull’adolescenza 
completamente innovativa rispetto alle analisi di altri studiosi che si erano occupati 
dall’argomento. 
La teoria di Hall, inquadrata in quello che è stato definito il modello psicobiologico, risentì 
dell’influenza delle scoperte scientifiche del tempo, in particolare di quella esposta da 
Charles Darwin (1859) nella sua opera Le origini della specie: Darwin sostenne che 
l’evoluzione di tutti gli esseri viventi era frutto di un graduale e lento mutamento biologico, 
basato su un naturale meccanismo di selezione. Qualunque organismo, e quindi anche 
l’essere umano, sono capaci di adattarsi ai cambiamenti ambientali, e inscrivono nelle 
proprie progenie, caratteri particolari. La sopravvivenza e la riproduzione di tali soggetti 
arricchisce il patrimonio genetico della propria specie e le garantisce la sopravvivenza. Hall 
approfondisce tale concetto e lo introduce nella psicologia: l’adolescenza è il periodo di 
passaggio dall’infanzia all’età adulta e corrisponde nella filogenesi, all’evoluzione 
dell’uomo, dalla statura pigmoide a quella attuale, e dalla società senza regole a quella 
civile, regolata da leggi socialmente condivise e accettate.  
L’adolescenza porta a un rinnovamento totale della personalità dell’individuo. 
Per realizzare la sua opera più nota Adolescence, Hall utilizza la tecnica dei questionari, 
mediante i quali raccolse un’enorme quantità di dati sull’adolescenza e nella sua 
esposizione, egli pone continuamente in contrapposizione il mondo del bambino e quello 
dell’adolescente: il primo sempre spinto la realtà esterna, il secondo, al contrario, è orientato 
verso lo sviluppo della realtà interiore dell’individuo. A questa contrapposizione segue la 
formulazione di un concetto fondamentale, e cioè la convinzione che il passaggio 
dall’infanzia all’adolescenza è altamente drammatico e contraddistinto da sentimenti 
contrastanti. 
Hall chiama l’adolescenza un periodo di storm and stress, in cui tutto è dilatato, estremo, 
conflittuale.
7 
Egli considera tali caratteristiche come generali, determinate biologicamente e, quindi, 
comuni a tutti gli individui, indipendenti da qualsiasi variabile culturale e ambientale. 
Secondo Hall le esperienze adolescenziali possono influenzare la personalità adulta. 
L’autore inoltre riteneva che forzare il ritmo naturale della maturazione adolescenziale, ad 
esempio un prematuro comportamento sociale, potesse portare a forme di devianza all’epoca 
molto diffuse, come la masturbazione, l’abbandono delle tradizioni familiari, la promiscuità 
sessuale, e che fosse preciso compito della famiglia e delle istituzioni, come la scuola o la 
Chiesa, assecondare il ritmo naturale dello sviluppo adolescenziale, tramite delle norme 
predeterminate, che era loro compito far rispettare. 
Ancora oggi alcune delle idee di Hall sono ben radicate nell’immagine che si ha 
dell’adolescenza, che è ancora considerata come una fase di tempeste emotive e di grandi 
conflitti. 
 
1.2 La psicoanalisi  
L’orientamento di Hall è stato approfondito dagli studi d’impostazione psicoanalitica che 
hanno contribuito a individuare nelle trasformazioni fisiche, biologiche ed emotive, il punto 
di avvio del passaggio dal mondo infantile a quello adulto.  
E’ importante a questo punto, specificare che l’adolescenza non è un periodo omogeneo e 
unitario; esso consta, infatti, di varie fasi: termini come pubertà, prima adolescenza, tarda 
adolescenza, sono infatti utilizzati per differenziare momenti diversi nel più vasto ambito 
dell’età adolescenziale.  
Una prima importante distinzione riguarda la pubertà, che è definita come un fenomeno 
universale che segue il passaggio fisiologico da bambino ad adulto e varia secondo le 
caratteristiche individuali, delle civiltà di appartenenza e da un gruppo sociale all’altro .  
Nella preadolescenza, fase che individua la fascia di età che va dagli 11 ai 14 anni, sono 
affrontati problemi legati alla crescita fisica, all’identità corporea e alla definizione sessuale, 
che spesso s’impongono prepotentemente nella vita dell’individuo, prima che egli però 
possegga già strumenti psicologici necessari per poterli affrontare in modo adeguato e 
consapevole. 
Nell’adolescenza, che è fatta coincidere nella fascia di età dai 15 ai 18 anni, la capacità di 
analisi e d’introspezione dell’individuo è sicuramente più sviluppata e consente una 
maggiore razionalizzazione e una conseguente riorganizzazione della propria identità, valori 
e scelte, pur se in situazioni che spesso rimangono confuse e contraddittorie.
8 
Tornando dunque alla prospettiva psicoanalitica classica, essa ha attribuito alla pubertà il 
ruolo centrale nello studio dell’adolescenza, che vede nell’opera di Sigmund Freud Tre 
saggi sulla sessualità (1905), il suo caposaldo. 
Per Freud, l’adolescenza e nello specifico, la pubertà, è il momento in cui la libido 
dell’individuo cessa di essere “dormiente”. Fino a tale età, infatti, le pulsioni sessuali, se la 
rimozione è stata eseguita correttamente, sono state indirizzate verso altri scopi, e cioè la 
socializzazione e lo sviluppo di rapporti di amicizia verso individui dello stesso sesso. 
Dopo tale periodo invece, si entra in quella che Freud chiama la “fase genitale”, e cioè la 
subordinazione di tutte le pulsioni sessuali alla ricerca dell’oggetto sessuale, al di fuori di se 
stesso e quindi dalle pulsioni di tipo pre genitale. 
Tale fase è caratterizzata dal processo di ricerca che Freud chiama di “ rinvenimento 
oggettuale”. La pulsione sessuale diviene così altruistica, in quanto procreativa.  
E’ fondamentale, per il superamento definitivo del complesso edipico, che l’individuo cerchi 
tale oggetto al di fuori della propria famiglia.  
La gestione di queste nuove pulsioni e la forte presenza di fantasie sessuali, tipiche della 
pubertà, richiedono al sistema dell’Io una massiccia attivazione per controllare le spinte 
libidiche tramite meccanismi di difesa come la rimozione, identificazione, razionalizzazione 
e sublimazione, per permettere all’individuo di sottrarsi al continuo emergere delle pulsioni. 
Se l’adolescente imparerà a controllare tali impulsi, egli avrà raggiunto la maturità della 
propria sessualità e la capacità della sua organizzazione, subordinandola alle relazioni 
affettive.  
Nella fase genitale gli adolescenti sono chiamati a gestire delle scoperte fondamentali che 
daranno origine a relazioni intime e profonde, basati sull’amore e sulla tenerezza. 
Tale teoria è arricchita dal contributo che le fornisce Anna Freud (1936) con il suo studio 
L’Io e i meccanismi di difesa, che definisce in modo più dettagliato i meccanismi della 
pubertà. La studiosa continua a descrivere la pubertà come una fase di grande conflitto tra le 
spinte istintuali e le difese che l’Io deve impiegare per controllare la carica pulsionale. 
L’adolescenza costituisce la prima ricapitolazione della sessualità individuale: si attua cioè 
una sorta di riepilogo di ciò che è accaduto prima e che può aiutare a comprendere il 
presente. La seconda ricapitolazione avverrà nel climaterio. 
Il conflitto descritto da Anna Freud vede come forze in campo l’Es, e quindi gli istinti, con 
le sue prepotenti istanze e l’Io, ancora poco flessibile e incerto.  
L’autrice si pone in contrasto con la psicologia dell’epoca, che considerava la pubertà 
l’inizio della vita sessuale, mentre per Anna Freud essa si configura come il primo momento 
di ricapitolazione di una vita sessuale che ha avuto il suo inizio nella prima infanzia.
9 
Sono presenti in questa fase, un Es che si contrappone a un Io molto più debole e rigido, e 
l’utilizzazione che quest’ultimo fa del meccanismo di difesa che in tale periodo sono posti in 
atto. 
L’ascetismo e l’intellettualizzazione ne sono i due esempi più frequenti: il primo consiste nel 
rifuggire da ogni tipo d’istinto sessuale, che si verifica proprio in corrispondenza di un 
aumento della libido. Ciò si concreta in un blocco di tutti i desideri istintuali e, a differenza 
di quanto succede nella più comune rimozione, nell’assenza di qualsiasi soddisfazione 
sostitutiva. 
Ciò comporta non soltanto a una totale negazione dei desideri sessuali, ma anche una 
generalizzata diffidenza verso tutte le spinte istintuali, anche quelle vitali, come 
l’alimentarsi. 
L’intellettualizzazione, invece, offre un rifugio nell’attività intellettuale, mediante una 
concettualizzazione astratta e impersonale, slegata dall’emozione, che porta a utilizzare 
termini anaffettivi e generalizzati, estraniandosi completamente dalle componenti affettive e 
d’impulso. 
Dall’esito del conflitto tra l’Io e l’Es dipenderà l’emergere di sintomi nevrotici o la 
strutturazione armonica della personalità. 
I meccanismi difensivi posti in atto sono attuati dall’Io, per tentare di frenare gli impulsi 
dell’Es e ristabilire la differenza che tra essi esisteva nella fase dell’infanzia, e che ora la 
pubertà tende a eliminare. La paura degli istinti si riflette sui rapporti oggettuali, primi fra 
tutti le fantasie incestuose. L’Io convoglia la sua attenzione su tutto ciò che è stato oggetto 
d’amore nell’infanzia. Da qui la spiegazione della tendenza a isolarsi dalle figure parentali, e 
che può giungere, in taluni casi, all’asocialità che spesso si riscontra negli adolescenti. 
Gli oggetti che erano stati tanto amati fino allora, sono sostituiti con altri, che spesso sono 
coetanei di entrambi i sessi o adulti, e costituiscono spesso delle vere e proprie relazioni 
simili a quelle che avvengono nella prima infanzia, e che possono spiegare la volubilità e la 
mancanza di costanza degli adolescenti. 
L’approccio psicoanalitico di Anna Freud ha costituito per anni i fondamenti degli studi 
clinici sull’adolescenza. 
 
1.3. La prospettiva antropologica  
La cultura e l’appartenenza sociale sono state considerate come elementi fondamentali per la 
rappresentazione dell’adolescenza in un’ottica profondamente differente da quella di Hall e 
dei rappresentanti delle teorie psicoanalitiche.
10 
L’antropologa Margaret Mead, nella sua opera Coming Age in Samoa, descrive le 
problematiche adolescenziali nell’isola di Samoa, nell’Oceano Pacifico, e sottolinea le 
grandi differenze che emergono rispetto alle culture occidentali. 
Il metodo utilizzato dalla Mead viene denominato dell’”osservazione partecipata”, e anticipa 
quello etnografico. Tale metodo è basato sulla partecipazione all’attività di un gruppo 
sociale da parte del ricercatore. Il campione utilizzato constava di 68 bambine e ragazze, di 
età compresa tra gli 8 ai 20 anni. I dati evidenziarono che per queste giovani, l’adolescenza 
non sempre rappresentava un periodo di turbamenti emotivi.  
Mead confronta la vita sociale a Samoa con quella americana dell’epoca, e conclude che le 
inquietudini adolescenziali sono causate dal carattere restrittivo e autoritario della società 
americana, e soprattutto sull’eccessiva dipendenza dei figli dai genitori.  
Al contrario della cultura occidentale i giovani dell’isola di Samoa, sono educati sin 
dall’infanzia a una grande libertà nei confronti della sessualità e a considerare con la 
massima importanza le relazioni sociali con il gruppo, a conoscere i grandi eventi della vita 
e ciò consente loro un passaggio dalla vita infantile a quella adulta, non contrassegnato da 
disagi e conflitti.  
Da qui l’idea che gli sconvolgimenti adolescenziali sono un prodotto esclusivamente 
culturale, che si pone in contrapposizione con quella di Hall (1904), che riteneva 
l’adolescenza un momento conflittuale e di grandi sconvolgimenti, in senso oggettivo e 
universale. 
Uno dei più accesi dibattiti nell’ambito scientifico, fu quello che ebbe come protagonista 
proprio la Mead e Derek Freeman (1984), antropologo neozelandese vissuto tra il 1940 e il 
1943 nelle isole dell’arcipelago di Samoa, proprio come la Mead. I risultati dei suoi studi, 
pubblicati dopo la morte della studiosa, si basarono sulla confutazione della sua teoria: 
Freeman affermò, infatti, che anche tra gli adolescenti di Samoa si potevano trovare conflitti 
e forme di devianza rispetto alle norme sociali stabilite. L’adolescenza era ben lungi 
dall’essere quel tranquillo passaggio dall’infanzia all’età adulta che Margaret Mead aveva 
descritto, ma anzi si riscontravano tra gli adolescenti dell’arcipelago samoano, una grande 
competitività tra coetanei, alti tassi di stupro e omicidi, e una forte intolleranza verso i 
rapporti  sessuali prematrimoniali. 
Le critiche che vengono mosse, sono essenzialmente rivolte ad alcuni limiti metodologici 
che portano a un’eccessiva generalizzazione dei risultati ottenuti, e a una certa ingenuità che 
spinse la studiosa a non tener conto dell’estrema semplicità dell’organizzazione della vita e 
del lavoro a Samoa, che minimizzava al massimo i conflitti adolescenziali, che erano 
comunque presenti, come Freeman sottolineava.