appare rimodellato, tenendo conto del grande impatto negativo, in termini 
economico-sociali, avuto dal dilagare dell’usura; infatti la nuova impostazione 
dell’art. 644 ha riproposto due elementi tipici dell’usura impropria (introdotta dalla 
legge 356/92) abrogata in seguito alla riforma del ’96: lo svolgimento della vittima di 
attività imprenditoriale, divenuto circostanza aggravante, e la difficoltà economico-
finanziaria del soggetto passivo inserita in quella fattispecie, di “usura in concreto”, 
3° comma, ove viene reintrodotto quell’elemento inerente alla condizione 
patrimoniale  del contraente. Il nuovo articolo ripropone la fattispecie, da molti 
ritenuta autonoma, della mediazione usuraria in cui, però, viene eliminato il concetto 
di bisogno e sostituto il concetto di “cosa mobile” con quello, di più ampia portata, di 
“altra utilità”. 
Inoltre l’eliminazione dello stato di bisogno oggettivizzando il delitto di usura ha 
portato notevoli cambiamenti in ordine alla rimproverabilità della condotta attiva, per 
cui si è passati dalla punibilità a titolo di “dolo diretto”, consistente nella 
consapevolezza di profittare dello stato di bisogno caratterizzante la condizione del 
soggetto passivo, all’attuale punibilità del reato a titolo di “dolo generico” 
individuabile nella mera consapevolezza di riscuotere controprestazioni 
sproporzionate. Non meno importanti sono state le modifiche riguardo la 
“consumazione del delitto” di usura di cui all’art.11 della l. 108/96 in materia di 
prescrizione che introduce nel codice penale l’art. 644 ter, ponendo così il reato in 
una veste giuridica diversa oscillante tra la tesi della istantaneità consumativa e la 
tesi della sua natura permanente; tuttavia, sembra che nessuna delle motivazioni 
proposte a favore di una tesi piuttosto che dell’altra sia davvero decisiva: ciò che è 
certo che il dettato dell’art.644 ter  non appare di agevole lettura.  
La soluzione del problema reale dell'usura risiede però oltre che nella tutela penale, 
anche nella individuazione delle cause del fenomeno, sulle quali occorre incidere per 
                                                                                                                                                               2
poter cogliere successi significativi contro una realtà illecita che purtroppo ha oggi 
ampiamente travalicato i limiti dell'ambito strettamente familiare o personale nel 
quale si era sviluppata sino agli anni settanta, venendo a costituire un settore di 
preminente impegno della criminalità organizzata, e raggiungendo soglie di 
pericolosità mai conosciute prima d'ora.  
Alla tradizionale figura dell'usuraio solitario che agisce (e rischia) in proprio, si è 
affiancata, ovvero più spesso si e' sostituita, una vera e propria struttura di potere 
criminale che esercita l'usura, ed usa non più gli “antichi” metodi, legali, dell'azione 
giurisdizionale per il recupero dal debitore delle somme (trasfuse con gli "interessi" 
in astratti titoli di credito), bensì ricorre a più “rapidi” ed “incisivi” metodi di 
minaccia e di violenza alla persona, per coartare le vittime a corrispondere ben altro 
che i soli interessi, pur usurari, inizialmente pattuiti (imposti). 
A parte la gravita' della minaccia criminale per le vittime, le quali troppo spesso sono 
ormai costrette, attraverso comportamenti estorsivi che si susseguono con crescente 
incisività, a cedere progressivamente l'intero loro patrimonio, le loro attività 
produttive (consentendo così alla criminalità organizzata di accedere al mondo 
ufficiale dell'imprenditoria produttiva e finanziaria), e a volte a porsi esse stesse a 
servizio di gruppi criminali, il fenomeno dell'usura è divenuto un ulteriore e 
privilegiato strumento di riciclaggio di capitali illeciti, sia provenienti da altri reati, 
sia dalla stessa usura, riutilizzati per il prestito diffuso a persone insospettabili e 
trasformati nel denaro formalmente “pulito” restituito dalle vittime. 
La risposta più coerente ed efficace a tale fenomeno non può dunque limitarsi agli 
aspetti repressivi, ma deve necessariamente, ed attentamente, considerare le 
motivazioni economiche e sociali che inducono le vittime a ricorrere a forme di 
finanziamento “sommerse”, i cui elargitori si presentano all'inizio con una facciata di 
affidabilità, per trasformarsi successivamente, dopo che la vittima ha ceduto 
                                                                                                                                                               3
economicamente, e comincia a comprendere la gravità della situazione in cui è 
caduta, in veri e propri aguzzini. 
Come si è giustamente sottolineato, “la lotta alla criminalità organizzata non si può 
immaginare in termini adeguati solo sul piano della repressione, ed al processo 
penale - ed alla disciplina sostanziale che esso intende attuare - non può e non deve 
assegnarsi un ruolo strategico. 
La criminalità organizzata si affronta anche sul piano della prevenzione a tutto 
campo, rimuovendo le condizioni socio-ambientali che ne favoriscono l'insorgere e 
l'espandersi”
2
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                 
2
 Palmieri, Aspetti processuali dell'usura, in Riv. Pen. Economia, 1999, 327. 
                                                                                                                                                               4
CAPITOLO I 
 
PROFILO STORICO DEL FENOMENO DELL’USURA. 
 
1.1 Dalla tradizione ebraico-biblica all’età carolingia. 
 
L’usura è un fenomeno antichissimo che, attraverso i secoli, ha impegnato a fondo le 
menti di una gran quantità di legislatori.  
Il termine usura deriva dal latino usus ed indica l’utile riconosciuto al creditore in 
aggiunta alla restituzione del bene mobile o del denaro ottenuto in prestito. La pratica 
dell’usus è inizialmente riferita alla concessione di uso anche e soprattutto di derrate 
alimentari.  
Nelle società primitive, il prestito di beni o servizi viene praticato per lo più allo 
scopo di far fronte ai bisogni impellenti del richiedente e non già per finanziare 
attività economiche o imprese ed è consuetudine riceverne la restituzione senza 
compenso alcuno. Con l’introduzione della moneta e agli albori del commercio nasce 
il problema di trovare un compenso al denaro prestato ovvero l’interesse finanziario. 
Uno dei primi popoli ad avere una rigorosa sistemazione della concessione dei 
prestiti, è il popolo di Israele, le cui norme antiusurarie risalgono al IX secolo a. C. 
Queste norme sono contenute nella Bibbia, in particolare nel Vecchio Testamento, 
nel quale dal libro dell’Esodo al Deuteronomio è unanime la condanna dell’esazione 
dell’interesse finanziario, quando essa viene esercitata nei confronti della propria 
gente
3
; tuttavia è ritenuta lecita nei confronti dello straniero
4
. Inoltre vi è un obbligo 
                                                 
3
 Esodo, 22, 24: “Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti 
comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse”. 
                                                                                                                                                               5
di solidarietà tra le tribù di Israele; tale obbligo si traduce nel fenomeno della 
remissione
5
, secondo la quale ogni sette anni vengono condonati i debiti 
precedentemente assunti dai componenti di una tribù. Anche se è incerto se si tratti di 
un condono definitivo o di una dilazione nei pagamenti per un anno, il precetto ha lo 
scopo di esaltare la giustizia sostanziale, così da impedire l’usura, l’egoismo ed il 
calcolo. 
Nella Grecia antica, filosofi e pensatori di grande rilievo, quali Platone e Aristotele, 
si pronunciano in maniera negativa nei confronti del fenomeno usurario. Infatti, nella 
sua opera più significativa, La Repubblica, Platone esprime un giudizio di condanna 
assoluta per ogni pratica usuraria
6
, giudizio ripetutamente ribadito nei Dialoghi e 
nelle Leggi
7
. 
Aristotele, sulla scia del pensiero platonico, ritiene che proprio come la proprietà ha 
due usi, l’uno proprio della cosa posseduta, l’altro per effettuare scambi, così vi sono 
due modi di guadagnare: lo scambio o baratto e l’accumulazione capitalistica. Ne 
consegue che il modo più riprovevole di procurarsi un guadagno è quello in cui 
                                                                                                                                                                  
4
 Deuteronomio 23, 20-21: “Non farai al tuo fratello prestito ad interesse, ne di denaro ne di viveri, ne di 
qualunque cosa che si presta ad interesse. Allo straniero potrai prestare a interesse, ma non al tuo 
fratello, perché il Signore Tuo Dio ti benedica in tutto ciò a cui metterai mano, nel paese di cui stai per 
andare a prendere possesso”. 
5
 Deuteronomio, 15, 1-5: “Al termine di sette anni farai il condono. In questo consiste il condono: 
chiunque detiene un pegno condonerà ciò per cui ha ottenuto il pegno dal suo prossimo ne sul suo 
fratello, poiché è stato proclamato il condono davanti al Signore. Avanzerai pretese sullo straniero, ma 
al fratello condonerai quanto di suo avrai presso di te. Del resto non ci sarà presso di te alcun povero 
poiché il Signore certo ti benedirà nella terra che il Signore Tuo Dio ti dona in eredità perché tu la 
possieda, se però ascolterai attentamente la voce del Signore Tuo Dio, osservando e praticando tutti gli 
ordini che oggi ti prescrivono”. 
6
 PLATONE, La Repubblica, 8, 555: “Allora costoro, credo, se ne stanno oziosi nella città,muniti di 
pungiglioni e di armi: chi è carico di debiti, chi senza diritti civili, chi poi gravato da due mali. E pieni di 
odio tramano insidie a chi ha acquistato i loro beni e agli altri, bramosi di una rivoluzione.- E’ così.- Gli 
uomini d’affari, a testa bassa, fanno finta di non vederli nemmeno; e chi dei rimanenti dà via via segno di 
cedere, lo feriscono buttandogli denaro e, riportando moltiplicati i frutti di quel padre, moltiplicano nello 
stato i fuchi e i poveracci”  
7
 Leggi, 5, 742: “Chi prende moglie o dà in moglie la figlia non deve rispettivamente ricevere nessun tipo 
di dote assolutamente; nessuno poi può depositare denaro presso chi non è di sua fiducia, né darlo in 
prestito per interesse; la legge non obbliga affatto chi ha ricevuto il prestito a pagare l’interesse o a 
restituire il capitale”. 922:”Chi, avendo ricevuto, in anticipo sul pagamento, una prestazione di opera, 
non la ricambia pagando la ricompensa nel tempo convenuto, sia condannato a pagare il doppio; 
passato un anno, pur essendo proibito in ogni altro caso trarre interessi dal denaro, e cioè per quante 
ricchezza si danno a prestito per interesse, in questo caso costui pagherà anche l’interesse di un obolo al 
mese per ogni dracma del prezzo del lavoro”. 
                                                                                                                                                               6
l’individuo si serve della moneta stessa al fine di accumulare altra moneta. La vera 
funzione della moneta è quella che si ha nello scambio, e non quella per cui la 
moneta si accresce mediante l’interesse
8
. Infatti, la moneta è per  sua stessa natura 
sterile; con l’usura si moltiplica ed è per questo che l’usura è il modo più innaturale 
di guadagnare.  
Nonostante le ripetute condanne nei confronti dell’usura, la Grecia antica non ebbe 
mai una legislazione adatta a regolare l’interesse e a reprimere il fenomeno usurario. 
Nel corso della storia, il prestito a interesse fu sempre ammesso: gli ateniesi, per 
esempio, impiegavano il denaro pubblico all’interesse del 10%; tuttavia poiché la 
contrattazione degli interessi era libera, a volte si ricorreva a tassi più elevati, il 12% 
e oltre. Soltanto molto tempo dopo, quando la Grecia diviene provincia romana, essa 
riesce ad avere una vera legislazione in materia di usura. 
La materia della liceità dell’usura e della regolamentazione dei tassi di interesse 
riveste grande rilevanza nel diritto romano che si occupa di essa a partire dalle 
Dodici Tavole, documento nel quale il tasso d’interesse massimo viene fissato con 
l’espressione unciarum fenus
9
. Con il termine usura si intende, pertanto, il compenso 
per l’uso di un capitale altrui sia che si tratti di un interesse lecito, sia di un interesse 
percepito illegalmente, cioè in misura superiore al tasso massimo ufficiale. L’obbligo 
di corrispondere interessi può derivare dalla volontà delle parti ma può essere 
                                                 
8
 La Politica, 1, 10, 1028 a e b: “ [La crematistica], come dicemmo, ha due forme, l’attività commerciale 
e l’economia domestica: questa è necessaria e apprezzata, l’altra basata sullo scambio, giustamente 
riprovata (infatti non è secondo natura, ma praticata dagli uni a spese degli altri); perciò si ha 
pienissima ragione a detestare l’usura, per il fatto che in tal caso i guadagni provengono dal denaro 
stesso e non da ciò per cui il denaro è stato inventato. Perché fu introdotto in vista dello scambio, mentre 
l’interesse lo fa crescere sempre di più (e di qui ha pure tratto il nome: in realtà gli esseri generati sono 
simili ai genitori e l’interesse è moneta da moneta): sicché questa è tra le forme di guadagno la più 
contraria a natura”. 
9
 O. NUCCIO, Il pensiero economico italiano, vol I, pp. 384-385 : “ Il creditore che avesse esatto un 
tasso maggiore era condannato a restituire il quadruplo delgi interessi percepiti al di sopra del tasso 
legale, cioè del 12%. E poiché l’uncia era la dodicesima parte di un tutto, fenus unciarum era 
praticamente la dodicesima parte del capitale, quindi corrispondeva al tasso del 12% annuo e indicava 
la stessa cosa della centesima. La centesima era il tasso che i Romani esprimevano con la lettera C 
invertita apposta alla somma del capitale […]. Pagando ogni mese la centesima parte del capitale come 
interesse, ciò vuol dire che si pagava il 12% annuo”.  
                                                                                                                                                               7
riconducibile ad altre cause previste dall’ordinamento giuridico, anche se nelle fonti 
romane non si trova la moderna distinzione tra interessi convenzionali e legali, 
mentre si da rilevanza al mezzo processuale attraverso il quale la pretesa degli 
interessi può essere fatta valere in concreto. Si distingue fra “usurae quae sunt in 
obligatione” e “usurae quae officio iudicis praestantur”; tale distinzione non coincide 
con quella fra interessi convenzionali e legali, per il fatto che fra le “usurae” 
determinate “officio iudicis” si possono annoverare oltre alle legali anche quelle 
stabilite dalle parti con semplice patto aggiunto ad un contratto.  
Per contrastare eventuali tassi troppo elevati, vengono posti limiti alla volontà delle 
parti vietando il superamento del tasso massimo fissato dall’autorità competente. Il 
tasso di interesse diventa intollerabile intorno al IV secolo a. C. nonostante vengano 
promulgate diverse leggi
10
 che vietino tassativamente il prestito ad interesse. Non si 
può dire che il legislatore romano avesse la mano leggera con gli usurai dato che la 
legge comminava loro una pena pari al doppio di quella stabilita per i ladri
11
.  
Nell’88 a.C. Silla emana una nuova lex unciaria e successivamente Lucullo impone il 
divieto dei tassi superiori al 12% e del cosiddetto “anatocismo”, cioè dell’interesse 
applicato anche agli interessi dovuti dal debitore moroso. Nell’età di Cicerone i 
tassi
12
 diminuiscono notevolmente anche se pare che tassi esorbitanti vengano 
praticati nelle province di Roma, poiché la metodica spoliazione delle colonie toglie 
loro ogni forma di ricchezza facendo fluire una gran quantità di denaro a Roma. Nei 
primi tre secoli dell’impero i tassi fatti pagare ai debitori nelle province variano da 
                                                 
10
 Nel 347 a.C una legge impone la riduzione dei tassi d’interesse e ad essa nel  342 a.C. fa seguito la Lex 
Genucia che vieta tassativamente il prestito ad interesse a tutti i cittadini romani ; tale divieto viene 
successivamente esteso ai latini e ai soci di Roma.  
11
 MARCO PORZIO CATONE, De Rustica: “i nostri antichi stabilirono per legge che i ladri fossero 
condannati a una pena doppia, e gli usurai quadrupla. Di tanto infatti considerarono che l’usuraio fosse 
peggior cittadino del ladro”.  
12
 Nell’età ciceroniana pare che l’interesse fosse del 6%. 
                                                                                                                                                               8
provincia a provincia; a Roma, invece, nel periodo che va dagli Antonimi ai Severi il 
tasso richiesto per i prestiti a basso rischio si aggira intorno al 5-6%.   
Nell’impero d’Oriente, invece, si assiste ad un forte aumento dei tassi, dovuto alla 
scarsità di capitali disponibili, e ad un maggior rigore delle leggi antiusurarie dovuto 
alle severe misure adottate dai primi concili della Chiesa. La Chiesa, infatti, è 
l’istituzione che più di ogni altra avversa la pratica dell’usura, proibendo 
tassativamente ogni forma di prestito oneroso dapprima a tutti i cristiani (Concilio di 
Elvira, in Spagna, nel 305), poi ai chierici (Concilio di Nicea, convocato 
dall’imperatore Costantino nel 325) e infine tre secoli dopo anche ai laici (concilio di 
Clichy del 626). Oltre ad una condanna sostanziale, la Chiesa opera una condanna 
morale nei confronti dell’usura rintracciabile per la prima volta nel famoso sermone 
di Leone I, il quale dichiara che “l’usura è la morte dell’anima”. Con Leone I ha 
inizio la vicenda millenaria della storia del rapporto tra potere spirituale e potere 
temporale sulla questione del prestito ad interesse.  
Il divieto canonico dell’usura è così pressante da impedire a ogni stato cristiano 
dell'Occidente di fissare un tasso legale dell'interesse, provvedimento che avrebbe 
implicato il riconoscimento di una sia pur limitata liceità dei prestiti di denaro.  
In Oriente, invece, nell'impero bizantino si ha il fenomeno di un notevole aumento 
del tasso d'interesse dei capitali disponibili, aumento al quale il legislatore si sforza 
di porre rimedio contenendo il livello dei tassi entro percentuali accettabili per i 
debitori e per la dottrina cristiana. Così il codice dell'imperatore Giustiniano fissa 
definitivamente il tasso d'interesse ad un massimo del 6% e conferma il divieto delle 
“usurae supra duplum” affermatosi nell'età del principato con lo scopo di impedire 
l'ulteriore decorso degli interessi quando questi avessero raggiunto l'ammontare del 
capitale dovuto. E' chiaro dunque che in tal modo non viene posto un divieto al 
prestito ad interesse qualora venga rispettato il limite del tasso massimo.  
                                                                                                                                                               9
La situazione comincia a modificarsi nei secoli successivi quando il divieto del 
prestito ad interesse si afferma nella normativa secolare che recepisce la morale dei 
grandi padri della Chiesa. La Patristica, infatti, condanna il prestito feneratizio 
appoggiandosi ad alcuni passi della Bibbia e al celebre versetto evangelico “mutuum 
date nihil inde sperantes
13
”. Diversi padri della Chiesa prendono posizione contro 
l'usura, fra essi ricordiamo San Cipriano, vescovo di Cartagine, che oltre alla 
battaglia contro il prestito ad interesse, arriva persino a mettere in dubbio il diritto di 
succesione ai beni materiali; Sant'Ambrogio, vescovo di Milano, definisce usura 
“tutto ciò che si aggiunge al capitale” o anche “usura è prendere più di quanto si sia 
dato”(questa definizione viene in seguito recepita dal III Concilio Lateranense); 
anche S.Agostino, in parte, forse, come reazione al lassismo dei costumi del clero, 
afferma l'illiceità dell'usura, operando una netta distinzione tra il prestito al consumo 
senza compenso in forma di interesse (mutuum) e il prestito ad interesse (fenus), 
ritenuto del tutto illecito; infine San Girolamo, nel condannare l'usura, si ricollega al 
concetto del sovrappiù illecito affermando che “si definisce usura e sovrappiù 
qualsiasi cosa , se si è preso da qualcuno più di quello che gli si era dato”. Egli, 
inoltre, giunge ad equiparare l'usura a una vera e propria rapina affermando che “non 
vi è differenza alcuna tra l'esigere interessi usurari e defraudare o rapinare il 
prossimo”.  
Nell'età carolingia, lo stesso Carlo Magno interviene nel 789 sul problema dell'usura, 
con la sua Admonitio generalis, allo scopo di vietarla nella maniera più assoluta tanto 
ai chierici quanto ai laici dell'impero. Egli dunque è il primo sovrano ad introdurre la 
proibizione dell'usura nella legislazione secolare, anche se con scarsa efficacia 
sanzionatoria, poiché in sostanza le pene previste per gli usurai restano quelle 
                                                 
13
 LUCA, 6,34: “E se voi prestate denaro soltanto a quelli dai quali sperate di riaverne, come potrà Dio 
essere contento di voi?Anche quelli che non pensano a Dio concedono prestiti ai loro amici per riceverne 
altrettanto!”. 
                                                                                                                                                               10
canoniche, tra le quali la scomunica. Nel 825 Lotario, in un capitolare, ribadisce il 
divieto alla pratica dell'usura e concede ai vescovi pieno appoggio nella lotta agli 
usurai. Nell’età carolingia, tuttavia, i prestiti di denaro non sono molto diffusi poiché 
vi è un usura cosiddetta reale che consiste in prestiti di cereali in occasione delle 
frequenti carestie che poi il debitore restituisce in quantità maggiore di quello che ha 
ricevuto.    
 
1.2  L’usura nel Medioevo  
 
Con l’avvento del nuovo millennio si assiste ad una forte ripresa dello spirito 
religioso per il diffuso timore dell’imminente fine del mondo in coincidenza della 
millenaria ricorrenza della morte di Cristo. Questo Cristianesimo annovera fra i 
peggiori peccati quello dell’usura: l’arma principale che la Chiesa impiega nella 
secolare lotta contro questo dilagante fenomeno sono i numerosi decreti dei vari 
concili ed accanto a questi la raccolte di Sermones utili come modelli per la 
trattazione dell’usura e dei problemi ad essa connessi. 
Primo importante provvedimento è la Consuluit di Urbano III, avversario di Federico 
Barbarossa, nella quale viene confermato il concetto di usura come un sovrappiù 
richiesto per un prestito ed è considerato un peccato mortale che può essere riparato 
con la restituzione integrale del maltolto. A questo provvedimento fanno eco 
numerosi concili (Concilio Laterano II, Concilio Laterano III, Concilio Laterano IV, 
Concilio di Lione e Concilio di Vienna) che si pronunciano in difesa della virtù 
cristiana della carità nonché delle istituzioni religiose e dell’ordine sociale. La prima 
grande raccolta di decreti conciliari viene fatta risalire a Graziano, considerato il 
padre del diritto canonico, che ribadisce la famosa definizione dell’usura come “tutto 
ciò che si esige in aggiunta al capitale”. Successivamente papa Alessandro III nel 
                                                                                                                                                               11
suo Stroma ex decretorum corporum carptum, afferma che “esigere l’usura è peccato 
mortale: pertanto non è lecito richiedere il pagamento di interessi”. Non viene 
ammessa nessuna forma di dispensa pontificia per l’esercizio dell’usura, nemmeno se 
praticata a fini di bene.  
Innocenzo IV sostiene che “l’usura deve essere proibita perché, se fosse ammessa, 
ne conseguirebbe ogni sorta di mali, e soprattutto quello dell’abbandono del lavoro 
dei campi”. Infatti, succedeva spesso che, per darsi all’usura, attività ritenuta assai 
lucrosa, la gente lasciava il lavoro dei campi e gli umili mestieri da artigiano con 
grave pericolo di carestie e miseria: è questa la grave minaccia che la Chiesa deve 
combattere con ogni mezzo.  
San Tommaso d’Aquino, importante filosofo e teologo del Medioevo, dedica in una 
delle sue opere principali, la Summa Theologiae, ampio spazio al problema della 
natura e della liceità dell’usura ricollegandosi all’autorità delle Sacre Scritture e ad 
Aristotele e affermando che ogni forma di usura è da condannare come innaturale e 
peccaminosa pur, tuttavia, facendo importanti distinzioni tra il prestito oneroso, cioè 
l’usura, e altre operazioni finanziarie. La prima ipotesi è quella della cessione 
temporanea di beni non fungibili o non consumabili, come nel caso di un immobile 
dato in locazione; la seconda quella del conferimento di capitali ad una società, con 
assunzione del rischio da parte del finanziatore. Entrambe le ipotesi vengono risolte 
in modo positivo poiché per San Tommaso “è iniquo esigere interessi per denaro 
dato in prestito poiché si vende ciò che non esiste”: è questa l’assurda ed illecita 
vendita del tempo. Il teologo dimostra una limitata tolleranza per l’esercizio 
dell’usura da parte degli ebrei; infatti, la circostanza attenuante sarebbe la loro nota 
inclinazione alla cupidigia e il fatto che lasciandoli sfogare il loro istinto si sarebbero 
comportati meglio nei confronti degli estranei da loro sfruttati. 
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