Secondo uno studio di Eurostat, infatti, l’Italia è il paese europeo con il maggiore 
numero di autovetture in rapporto alla popolazione: 571 auto ogni mille abitanti, 
una “densità” superiore perfino a quella degli Stati Uniti d’America. 
Ma come deve essere interpretato questo originale primato italiano? Come un 
indicatore di benessere e civiltà o, al contrario, di una società con una cultura e dei 
valori sbagliati in merito ai trasporti? 
In ogni caso, la presenza nel nostro territorio di più di un’auto ogni due abitanti è 
un dato che fa riflettere. 
Di seguito riportiamo i dati relativi alle prime quindici posizioni della classifica 
(Eurostat, 1999): Italia 571, Lussemburgo 559, Germania 501, Francia 477, 
Austria 458, Belgio 424, Svezia 413, Finlandia 379, Spagna 376, Olanda 370, 
Gran Bretagna 369, Danimarca 329, Portogallo 277, Irlanda 272, Grecia 223. 
Ho scelto, quindi, di sviluppare il mio lavoro sulle azioni e sull’impegno delle case 
automobilistiche in campo ambientale sia perché la qualità dell’aria che respiriamo 
tutti i giorni e lo stato dell’ambiente in cui viviamo è un argomento rilevante, sia 
perché ritengo che l’utilizzo dell’automobile non sia necessariamente 
incompatibile con un ambiente sano e pulito.  
L’essenziale mobilità che l’auto è in grado di darci non può essere garantita a 
discapito dell’essenziale ambiente naturale da cui tutto ha origine. 
Questo lavoro ha come punto di partenza la constatazione che l’emergere della 
questione ambientale ha posto le case automobilistiche mondiali di fronte alla 
necessità di dover gestire tutta una serie di conseguenze sia giuridico - legislative 
sia competitive di importanza tale da non poter più essere trascurate. 
In particolare, ho focalizzato la mia attenzione sulla gestione della variabile 
ambientale da parte di un’azienda, il gruppo Volvo, che già da molti anni ha 
maturato una propria consapevolezza sulle priorità ecologiche, enfatizzando 
l’importanza di un costante e duraturo impegno nella salvaguardia dell’ambiente 
naturale, sia dal punto di vista puramente umano e sociale sia da quello 
economico. 
Va subito chiarito che sarebbe limitativo ricondurre la gestione ambientale ad una 
semplice politica di riduzione dei rischi, e considerarla, quindi, come una mera 
componente del risk management. Nel corso della trattazione faremo riferimento, 
infatti, alla gestione ambientale come ad un sistema coordinato ed integrato con la 
strategia aziendale mirante, oltre che al controllo dei rischi, alla ricerca di 
soluzioni organizzative, manageriali e tecnologiche (di prodotto e di processo) 
maggiormente eco-compatibili, che possano costituire un fattore critico di 
successo. 
Se in passato lo sviluppo macroeconomico veniva considerato un obiettivo 
prioritario da perseguire ad ogni costo, oggi una maggiore attenzione ai suoi 
possibili risvolti negativi conduce ad una riflessione più critica. 
L’identificazione tra ricchezza e benessere non è più così automatica, poiché la 
qualità della vita non è più considerata dipendente esclusivamente dalle condizioni 
economiche, bensì anche da altri fattori, tra cui lo stato dell’ambiente in cui si 
vive. 
L’impegno di un’impresa nella preservazione dell’ambiente, inoltre, non deriva  
soltanto da motivazioni etiche, ma costituisce una scelta strategica 
economicamente razionale e conveniente. Come cercheremo di dimostrare nel 
corso del lavoro, alle motivazioni di tipo etico o sociologico se ne affiancano in 
maniera sempre più consistente altre di tipo competitivo.   
Si cercherà, infatti, di sostenere la tesi che una consapevole e coerente gestione 
ambientale da parte di una casa automobilistica come la Volvo può portare a 
diversi vantaggi sia per la propria immagine sia per la propria gestione economica, 
nell’ottica di un ambiente non più considerato solo come un costo, ma come 
stimolo di opportunità e vantaggi competitivi nuovi.  
L’impegno nei confronti della variabile ambiente può consentire, infatti, 
l’ottenimento di una maggiore efficienza nei processi produttivi (strategia di 
leadership di costo), con conseguenti riduzioni nei costi operativi.  
Inoltre, anche il mercato, in costante evoluzione, dimostra una sempre maggiore 
attenzione al tema, tramite l’acquisto di prodotti con caratteristiche ecologiche 
(strategia di differenziazione o di focalizzazione). 
Tutto ciò richiede l’implementazione di modalità di gestione ambientale interna ed 
esterna che permettano il raggiungimento di alti livelli di efficienza ed efficacia 
nel trattamento della variabile ambientale. A tal fine, occorre introdurre politiche, 
programmi, responsabilità, forme di collaborazione, controlli e verifiche in senso 
ambientale per ogni attività. Tutto ciò supportato da un’adeguata documentazione 
riguardante le procedure da seguire, i compiti e le responsabilità attribuite e i 
risultati e gli obiettivi raggiunti, per rendere formalizzato, completo e coerente 
l’insieme. 
Essa prevede, infatti, una serie di fasi e di strumenti, all’interno di un processo che 
risulti funzionale ed adeguato rispetto agli obiettivi previsti. 
A questo proposito, l’elaborazione di alcuni standard, da parte di istituti di 
certificazione (ISO) e di organismi sovranazionali (Unione Europea), ha 
contribuito a promuovere un modello generale che viene assunto come punto di 
riferimento principale nell’analisi del nostro lavoro. 
L’obiettivo della tesi è l’analisi e la valutazione di tutte le decisioni e i 
comportamenti assunti dalla Volvo in questi anni e rivolti al rispetto per 
l’ambiente. 
Nell’intento, quindi, di descrivere in modo organico l’approccio olistico che il 
gruppo Volvo adotta per gestire la variabile ecologica, si introduce, nel primo 
capitolo, il problema ambientale e il suo rapporto, in continua evoluzione, con 
l’istituto impresa. 
 L’obiettivo del secondo capitolo è quello di fornire al lettore un quadro generale 
del settore automobilistico mondiale, sia dal punto di vista legislativo sia nelle sue 
dinamiche evolutive. 
Con il terzo capitolo si entra nel “cuore” del lavoro, con l’analisi vera e propria 
della gestione ambientale del gruppo Volvo, dalla politica ambientale alla gestione 
operativa.   
Nel quarto capitolo, infine, viene trattato il reporting dell’azienda e il ruolo chiave 
giocato dalla comunicazione ambientale esterna, per poi trarre alcune 
considerazioni finali in sede di conclusioni.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 CAPITOLO 1.    UNA TRASFORMAZIONE CULTURALE NEL 
RAPPORTO IMPRESA-AMBIENTE 
 
1.1 UN’EVOLUZIONE NELLA  TUTELA DELL’AMBIENTE 
 
L’inquinamento dell’ambiente naturale è uno dei problemi più gravi che l’umanità 
si trova attualmente a dover affrontare, e si pone come problema rispetto a uno 
sviluppo economico che non tenga concretamente conto della limitatezza e delle 
precarie condizioni delle risorse naturali, indispensabili alla sopravvivenza sulla 
terra. 
Questo problema è tanto più rilevante in quanto si presenta su scala globale, ed 
investe elementi di primaria importanza per quanto concerne l’ambiente: acqua, 
aria e suolo. 
In particolare per quanto riguarda l’inquinamento atmosferico, è familiare a tutti lo 
stato di emergenza dell’aria delle nostre congestionate metropoli, che riceve 
enormi quantità di monossido di carbonio, di biossido di zolfo e di diversi ossidi di 
azoto da parte dei veicoli a motore, degli stabilimenti industriali e degli impianti 
civili. 
Alcune delle conseguenze di questi fenomeni, come “l’effetto serra”, il 
danneggiamento della fascia di ozono e le piogge acide, si sono già manifestate, 
altre sono ancora ignote. 
Di fronte al crescente degrado ambientale dell’ecosistema appare quindi naturale 
l’insorgere della domanda di tutela ambientale, che negli anni a noi più vicini si è 
fatta particolarmente insistente sia nell’opinione pubblica  in forma di istanze 
avanzate dai vari gruppi ambientalisti, sia nella sfera politica in forma di 
legislazioni e standard ambientali sempre più severi. 
Dagli anni Cinquanta ad oggi la cultura prevalente nella società, l’orientamento 
adottato dal legislatore e l’atteggiamento delle aziende nei confronti della variabile 
ecologica hanno vissuto una progressiva e radicale evoluzione, e l’idea di 
un’insanabile dicotomia tra salvaguardia ambientale e crescita economica è stata 
abbandonata a favore del concetto di sviluppo sostenibile (nota 1), introdotto dal 
rapporto Brundtland nel 1987, e tuttora in via di sviluppo. 
Nel periodo della ricostruzione e del boom economico abbiamo assistito alla <fase 
agnostica> (Gilardoni 1998, pag.178), in cui il tema ambientale era ignorato, le 
risorse ambientali erano considerate inesauribili e a “costo zero”, non esisteva 
ancora una legislazione in materia e le imprese consideravano l’ambiente una 
variabile indipendente.  
Si entra poi nella <fase regolamentativa> in cui, presa coscienza dei danni 
dell’attività economica sull’ecosistema, si cerca di regolare l’inquinamento 
industriale emanando alcune norme non sempre, però, in modo organico. 
Verso la fine degli anni Settanta il legislatore interviene con un’ampia serie di 
provvedimenti d’emergenza per limitare o rimediare ai gravi danni provocati 
all’assetto ambientale (<fase del risanamento>). La logica del “chi inquina paga” 
scarica tutte le responsabilità sull’impresa che assume di conseguenza un 
atteggiamento     difensivo. 
Alla fine degli anni Ottanta la cultura prevalente ritiene che il rispetto per 
l’ambiente sia un valore prioritario e compatibile con lo sviluppo economico. 
Inizia cosi’ la <fase di prevenzione> con la formulazione di un quadro giuridico 
organico e le strategie aziendali cominciano a prendere in considerazione la 
variabile ambientale con un atteggiamento collaborativo. 
Infine, negli ultimi anni si entra nell’ultima fase, la cosiddetta <fase di gestione> 
in cui la difesa dell’ambiente rientra nella “mission” delle imprese che sviluppano 
una responsabilità ambientale, e da minaccia diventa opportunità. Vengono istituiti 
ecoincentivi, ecocontributi, autoregolamentazioni associative e nuovi strumenti 
gestionali con un atteggiamento propositivo di sviluppo eco-trainato (Gilardoni 
1998, pag.178). 
All’evoluzione del rapporto tra impresa ed ambiente, oltre al contesto socio-
politico e al quadro legislativo, ha contribuito quindi una progressiva presa di 
coscienza da parte dell’impresa che è alla base dello sviluppo della sua 
responsabilità ecologica. 
Alcune imprese, infatti,  sviluppano una consapevolezza etica in tema di tutela 
ambientale che può mettere in discussione la stessa attività aziendale e i rapporti 
con i diversi attori, ma che deriva dall’evolversi degli interessi e delle relazioni tra 
tutti i soggetti coinvolti: il consenso all’interno dell’azienda è motivato e la 
sensibilità aziendale al problema ambientale è sviluppata stimolando una reale 
consapevolezza e una effettiva responsabilità.  
D’altra parte, il consenso diffuso da parte del management e dell’azionariato è 
fondamentalmente una questione di valori e di principi, prima ancora che di 
nozioni e di strumenti operativi, e discende dalla convinzione che questi interventi 
possano contribuire alla formazione, nel medio-lungo termine, di un capitale 
intangibile di know-how, di immagine, di motivazione e di riduzione dei rischi 
latenti che si traduce nel tempo in migliori performance competitive e reddituali. 
Questo aspetto, ossia la creazione di vantaggi competitivi grazie all’attenzione nei 
riguardi dell’ambiente, verrà trattato in maniera più approfondita nel successivo 
paragrafo (1.2), analizzandone le diverse cause e le possibili conseguenze.  
Nella realtà, il maggiore fattore di ostacolo allo sviluppo di una responsabilità 
ambientale tramite una gestione coerente della propria attività è stato, in passato, il 
timore di intaccare i risultati economico-finanziari. 
In un orizzonte temporale più lungo, tuttavia, la prospettiva si modifica facendo 
rientrare la variabile ambientale nel processo decisionale e contemperando i fattori 
del sistema competitivo con quelli del sistema sociale.  
Profondi cambiamenti stanno avvenendo nelle relazioni tra le imprese e gli 
ambienti economici, naturali, sociali e politici in cui operano. 
Tale evoluzione porta a considerare tutti gli effetti dell’attività d’impresa sul 
contesto che la circonda e non solo più quello economico. 
Le imprese più attente stanno pertanto assumendo rilevanza come istituti socio -  
politici, dinamici e interagenti con le istanze dei diversi interlocutori, e “ stanno 
maturando una serie di conoscenze e meccanismi operativi che portano alla 
costruzione di sistemi gestionali del fattore ecologico, per trasporre in chiave 
operativa i criteri di compatibilità ambientale accettati e fatti propri in linea di 
principio.” (Gilardoni 1998, pag.164)  
Questo primo paragrafo, introduttivo alla nostra analisi sulla gestione ambientale 
del gruppo Volvo, si conclude con il tentativo di posizionare la nostra impresa 
all’interno di un modello che individua diversi stadi di sviluppo della gestione 
ambientale, per poi verificare l’attendibilità di questa classificazione, 
progressivamente, nel corso del lavoro. 
Il modello in questione, elaborato nel 1990, è quello degli statunitensi Hunt e 
Auster (Hunt-Auster 1990, pag.78) che, basandosi sul concetto che le imprese 
percorrono un sentiero di consapevolezza crescente sulle questioni ecologiche, 
individuano cinque stadi di sviluppo. 
Nel primo stadio le imprese, definite beginners, ignorano il problema, mentre al 
secondo stadio i cosiddetti fire fighters affrontano il problema solo quando è 
necessario farlo, e quindi fondamentalmente in condizioni di emergenza. 
Nel terzo le imprese concerned citizens mostrano una maggiore attenzione, ma, in 
realtà, non posseggono una vera strategia ambientale di tipo anticipativo. 
Lo stadio successivo è rappresentato dalle aziende pragmatists che si pongono 
l’obiettivo di minimizzare l’impatto ambientale ma non come prioritario, poichè 
una gestione attiva della protezione ecologica è raggiunta solo dalle imprese 
nell’ultima fase, dette proactivists (Hunt-Auster 1990, pag.79). 
Nel corso della nostra analisi cercheremo di supportare la tesi che il gruppo Volvo 
si può considerare appartenente alle imprese di quest’ultima categoria, in cui la 
riduzione del rischio di impatto ambientale è massima, la strategia è esplicitata, le 
risorse dedicate non hanno limiti prefissati, la direzione è attivamente coinvolta, i 
sistemi di reporting sono formalizzati ed esistono forti e costanti legami con 
l’ufficio legale, le pubbliche relazioni, la ricerca & sviluppo, la produzione e la 
progettazione. 
In queste imprese la variabile ecologica è integrata nel processo decisionale a tal 
punto da creare un’interdipendenza tra la stessa e le strategie competitive, le 
istanze dei diversi attori e i risultati economici-finanziari.   
Il gruppo Volvo, infatti, già da molti anni ha preso coscienza dell’impatto dei 
propri veicoli a motore sull’ambiente, conferendo alle proprie attività un 
orientamento ecologico. Nonostante i veicoli siano ancora responsabili di diversi 
tipi di inquinamento, sono stati fatti importanti passi in avanti per ridurre tale 
problema e l’impegno del gruppo Volvo per una produzione più ecologica, per il 
riutilizzo e il riciclaggio dei propri prodotti, è sempre costante, come 
dimostreremo nei prossimi capitoli.            
 
 
 
 
 
 
1.2  L’AMBIENTE COME STIMOLO DI OPPORTUNITA’ 
COMPETITIVE NUOVE 
In un saggio intitolato Filosofia della crisi ecologica (1991), V.Hosle si interroga 
sulle ragioni che possono spiegare le difficoltà riscontrate dai singoli individui a 
far seguire alla consapevolezza della gravità dei problemi ambientali un reale 
mutamento dei propri comportamenti. 
Secondo Hosle, queste difficoltà possono essere ricondotte principalmente a 
quattro ordini di motivi. 
In primo luogo, le conseguenze marginali dirette derivanti dalle scelte individuali 
sulla dimensione complessiva del problema sono del tutto insignificanti. 
In secondo luogo, ciascun individuo ritiene che gli effetti negativi causati dal suo 
comportamento si producano a tale distanza nello spazio e nel tempo da non 
coinvolgerlo direttamente. 
Inoltre, ogni individuo, posto di fronte alla necessità di mutare linea di condotta, 
può essere scoraggiato dall’idea della totale impossibilità da parte dell’azione 
individuale di raggiungere un risultato soddisfacente. 
Infine, in molti casi non pare esservi relazione tra comportamenti e fenomeni che 
riguardano le risorse ambientali e quindi molti disastri ecologici sono percepiti 
come fenomeni naturali, che non coinvolgono responsabilità umane. 
Queste asserzioni convergono tutte nel sottolineare come il semplice criterio della 
razionalità economica- come ricerca della massimizzazione del profitto- non sia 
sufficiente nel momento in cui si affrontano i problemi dell’allocazione delle 
risorse ambientali. Tuttavia è un dato ormai acquisito che le imprese non possano 
più prescindere, nella loro gestione, da una attenta considerazione dell’impatto 
ambientale generato dalla propria attività di produzione. 
Le imprese per salvaguardare la propria funzionalità economica duratura, per 
rispettare le sempre più esigenti norme legislative e per rispondere alle attese e alle 
esigenze sempre più pressanti dei diversi attori, debbono controllare la 
compatibilità dei prodotti immessi sul mercato, oltre che dei processi, lungo tutto 
il ciclo di vita, dalla fase di approvvigionamento delle materie prime a quella di 
trattamento e/o smaltimento finale del bene dopo il suo utilizzo. 
Le più sensibili e innovative, spinte dalla pressione dell’opinione pubblica e del 
legislatore, dai margini di miglioramento della produzione possibili e dalle 
ricadute sfruttabili in termine di immagine, si sono persuase che la compatibilità 
ambientale non sia per l’impresa solamente un vincolo e nemmeno una mera 
necessità, ma un obiettivo da perseguire in comune con altri attori, nella logica di 
opportunità competitiva. 
Una gestione ambientale responsabile significa prevenire, organizzare, integrare, 
responsabilizzare, interagire e comunicare per raggiungere un obiettivo condiviso 
dagli attori del sistema economico con cui si interagisce (Frey 1995, pag.19). 
L’ambiente viene internalizzato nei processi decisionali e strategici delle imprese 
perché divenuto ormai, a seconda dei settori e dei mercati: 
- Una barriera all’entrata e una condizione per stare sul mercato; la compatibilità 
dei propri processi e dei propri prodotti con l’ambiente rappresenta un pre-
requisito necessario per accedere ai mercati più evoluti del centro-nord Europa. 
Basti pensare alla Germania o all’Austria per gli imballaggi, anche se in alcuni 
casi queste stringenti normative possono trasformarsi in vere e proprie forme di 
protezionismo a tutela dei mercati interni. 
Inoltre, se si considerano i beni durevoli, come nel nostro caso le automobili, 
l’attenzione che viene riservata a variabili quali l’efficienza energetica e i bassi 
consumi di materie prime può determinare il successo competitivo dei prodotti 
offerti.  
Il fattore ecologico, pertanto, può essere in grado di modificare la struttura del 
mercato, selezionando nuovi potenziali entranti e condizionando le performance 
delle aziende concorrenti. 
- Un elemento di differenziazione o focalizzazione; l’attenzione alla variabile 
ambientale offre la possibilità di differenziare la propria offerta dai concorrenti o 
di focalizzarla su specifici prodotti “ecologici”. 
-Un’opportunità per la creazione di nuovi business; la ricerca e lo sviluppo di 
nuove generazioni di prodotti e servizi ecologicamente compatibili danno origine a 
nuovi mercati e a nuovi comparti produttivi.  
- Un fattore di rapida obsolescenza dei processi e dei prodotti; a fronte di nuove 
istanze ambientali, anche tecnologie dominanti possono diventare rapidamente 
obsolete ed essere sostituite da nuove soluzioni maggiormente eco-compatibili, in 
una materia discussa solo da alcuni decenni e quindi fortemente dinamica. 
- Una variabile rilevante per le scelte di investimento; la crescente sensibilità 
ecologica dei consumatori e le sempre più stringenti normative impongono una 
forte considerazione della variabile ambientale per evitare pesanti costi di 
adeguamento alle leggi e ripercussioni negative a livello competitivo. 
Anche in ambito finanziario la mancanza di un’adeguata considerazione di questo 
fattore può determinare la formazione di passività rilevanti, come per esempio i 
costi di bonifica di un sito contaminato. 
-Una leva per la riduzione dei costi; si possono infatti conseguire importanti 
vantaggi di costo attraverso l’eliminazione di sprechi, la valorizzazione dei residui 
prodotti e l’ottimizzazione dei consumi di materie prime, acqua ed energia. 
Incrementando l’efficienza e la produttività dei processi produttivi si possono 
ottenere sensibili miglioramenti nell’impatto sull’ambiente. 
- Uno strumento per il miglioramento dei rapporti con i diversi attori; si può 
migliorare la propria credibilità e la legittimazione sociale dell’impresa, ottenendo 
fiducia e supporto sia dalle tradizionali categorie di portatori di interesse come i 
dipendenti, i clienti, gli operatori finanziari e i fornitori sia dai movimenti 
ambientalisti, dall’opinione pubblica e dalla comunità locale. 
Tutto ciò a vantaggio della propria immagine.  
 1.3   IL RUOLO DELL’INNOVAZIONE ORIENTATA ALL’AMBIENTE 
NELLA NUOVA ECO-NOMIA 
 
I principali fenomeni di degrado ambientale a livello globale e locale sono il 
risultato della diffusione su larga scala di soluzioni tecnologiche e organizzative a 
bassa compatibilità ecologica. 
La definizione dei nuovi concetti di sviluppo sostenibile, di sviluppo eco-trainato e 
di eco - efficienza (Nota 2) hanno determinato una ridefinizione del ruolo della 
tecnologia nelle strategie di tutela delle risorse naturali. 
L’attuale inversione di tendenza è spiegata in modo chiaro da quello che Paul 
Gray, ex presidente del MIT, defini’ alcuni anni or sono paradox of technology: se 
il degrado dell’ambiente è causato dall’utilizzo di tecnologie ad elevato impatto 
ambientale, sarà proprio il progresso tecnologico a tutelarlo (Ausubel J.H., 
Sladovich P. 1989, pag.2). 
La variabile tecnologica influisce, infatti, su due fondamentali dimensioni della 
nostra economia capitalistica: 
- Il grado di efficienza nell’uso delle risorse. 
- Il livello di inquinamento causato da ogni unità prodotta. 
Ma con quali modalità realizzare la transizione verso la sostenibilità ?. 
A questo punto assumono una rilevanza critica la velocità di sviluppo delle nuove 
tecnologie environment-oriented, l’intensità del processo innovativo e la 
diffusione su scala globale delle stesse.  
Dopo queste considerazioni di carattere generale è ora possibile introdurre il 
concetto di innovazione orientata all’ambiente, ossia quell’insieme ampio di 
soluzioni tecnologiche e organizzative che migliorano i rapporti tra l’ambiente e il 
sistema economico di produzione e consumo (Pogutz S., Tencati A. 1997, pag.16).  
 
All’interno di questa categoria si possono individuare tre diversi tipi di fenomeni 
innovativi: le tecnologie ambientali (ecology-driven) che si suddividono in End of 
pipe e Cleaner technologies (Nota 3), le tecnologie dirette al miglioramento 
dell’efficienza produttiva nell’impiego di energia e materie prime (economy - 
driven) e i nuovi cluster di innovazioni tecnologiche (technology - driven) come ad 
esempio nuovi materiali, biotecnologie, micromacchine, etc. 
Per quanto concerne i nuovi materiali, per esempio, le industrie automobilistiche 
hanno individuato come uno dei fattori cruciali per contenere il consumo di un 
veicolo la riduzione del suo peso. 
Negli ultimi venti anni hanno quindi sensibilmente ridotto le dimensioni delle 
vetture: una media auto americana è passata da circa 1.590 a 1.130 kg di peso. 
Questa strategia sembra però oggi arrivata al suo limite e ulteriori miglioramenti 
appaiono possibili solo passando dall’acciaio ad altri materiali più leggeri. Tra 
questi, quelli più adatti sembrano essere l’alluminio e le nuove materie plastiche 
(Volvo Environmental Report 1996, pag.34) 
L’innovazione risulta quindi essere lo strumento principale per raggiungere 
l’obiettivo dell’eco-efficienza, vista anche la progressiva estensione all’intero ciclo 
di vita del prodotto della responsabilità dell’impresa, dalle fasi a monte fino a 
quelle più a valle.  
L’innovazione connessa alla gestione ambientale può essere schematizzata in 
quattro diverse categorie a seconda dell’oggetto del processo innovativo: il 
processo di trasformazione, il prodotto, il riciclaggio e lo smaltimento e infine i 
sistemi di gestione e controllo (Pogutz S., Tencati A. 1997, pag.25). 
Notiamo che le prime tre classi si caratterizzano per un orientamento alla 
dimensione tecnologica, mentre nella quarta prevalgono gli aspetti organizzativi e 
gestionali.