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Introduzione 
 
La presente tesi è stata sviluppata con l’obiettivo di illustrare l’efficacia dei trattamenti basati 
sulla mentalizzazione per le coppie, partendo dal costrutto della mentalizzazione, proposto da 
Peter Fonagy, fortemente collegato alla teoria dell’attaccamento, qui utilizzata per esplorare e 
indagare la relazione di coppia. Il costrutto della mentalizzazione ha una natura adattiva e si 
sviluppa gradualmente durante il ciclo vitale dell’essere umano; inoltre, è influenzata dalla 
qualità delle prime relazioni e pone le sue radici nella teoria della mente, la quale spiega sia il 
funzionamento mentale che l’esperienza percettiva. La mentalizzazione è un costrutto dinamico 
e proprio per questo è soggetta a delle variazioni, infatti non è possibile mentalizzare in ogni 
occasione in quanto tale capacità viene percepita dalla mente umana come uno sforzo. Proprio 
per questo, verranno poi approfonditi i meccanismi tramite i quali tale capacità si sviluppa sia 
in maniera sana, ad esempio attraverso l’interazione con menti sensibili e mature, che in 
maniera deficitaria, come ad esempio a causa di maltrattamenti. È stato inoltre esplorato il 
legame di attaccamento e la sua trasmissione intergenerazionale al fine di misurare come e in 
che modo tale costrutto può essere trasmesso ai propri figli, per fare ciò sono stati utilizzati il 
metodo della Strange Situation e l’Adult Attachment Interview. Per quanto riguarda lo sviluppo 
della capacità di mentalizzazione sono state descritte le interazioni del bambino dai primi mesi 
di vita, inerenti allo sviluppo del sé agente ai fini dell’acquisizione della cognizione sociale, 
fino ai primi anni di vita, esplorando così le varie modalità pre-mentalistiche come la modalità 
teleologica, la modalità del far finta e la modalità dell’equivalenza psichica. Inoltre, è stata 
esplorata la mentalizzazione nelle famiglie in quanto tale ambiente è considerato un contesto 
non privo di pericoli. Successivamente è stato illustrato il rapporto di coppia nell’ottica del 
legame di attaccamento, analizzando la continuità e la discontinuità di tale legame e come esso 
si evolva da un legame di natura familiare ad un legame di coppia vero e proprio. Per quanto 
riguarda il legame di attaccamento, sono state sviluppate in questa tesi due linee di ricerca: la 
prima pone al centro dei suoi studi la mente del bambino, cercando di analizzare i precursori 
dell’attaccamento; la seconda indaga i legami fra partner. Per quanto tali linee di ricerca abbiano 
obiettivi e metodologie diverse, partono entrambe dal presupposto della corrispondenza tra 
attaccamento infantile e adulto. È stato inoltre introdotto il costrutto dell’adjustment di coppia, 
definito come indicatore della stabilità della relazione, e il costrutto della soddisfazione di 
coppia, inteso come variabile che indaga la felicità o infelicità tra i partner all’interno della 
relazione. Negli ultimi anni, l’incremento del fenomeno della separazione ha influenzato le 
ricerche sul tema della crisi di coppia e sulla rottura dei legami sentimentali, mostrando come
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la perdita del partner, sia per cause naturali che per motivazioni volontarie, provochi una 
profonda sofferenza proprio perché viene a mancare la componente di base sicura che tale 
persona rappresentava precedentemente. Inoltre, sono stati descritti i vari matching che possono 
nascere tra individui con attaccamento sicuro e individui con attaccamento insicuro, mostrando 
come tali persone entrano in rapporto tra loro e le possibili linee di sviluppo della relazione 
stessa. Infine, sono state mostrate varie proposte terapeutiche basate sulla mentalizzazione, sia 
per le famiglie, come il modello di intervento MBT-F, che per coppie, con il modello MBT-
CT. Il primo tipo di intervento è rivolto a famiglie in difficoltà dove persistono conflitti e 
incomprensioni da diverso tempo e si propone inizialmente di valutare la capacità mentalizzante 
all’interno del nucleo familiare, per poi cercare di incrementare tale capacità utilizzando diverse 
tecniche, tentando così di supportare i singoli membri nel comprendere pensieri, sentimenti, 
desideri e credenze che sono alla base degli atteggiamenti e dei comportamenti degli individui 
appartenenti al nucleo familiare. Il secondo intervento è stato appositamente adattato per 
genitori in conflitto duraturo, definito all’interno del modello basato sul cosiddetto “conflitto 
cronico”. Tale intervento nasce da uno studio al quale hanno partecipato coppie di genitori 
separati, dove il conflitto non permetteva un corretto utilizzo della capacità mentalizzante con 
conseguenze che si ripercuotevano inesorabilmente sui figli; infatti, l’obiettivo di tale 
intervento è sostenere la funzione riflessiva genitoriale e ridurre i sentimenti di rabbia che 
entrambi gli ex-partner provavano l’uno per l’altra.
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Capitolo 1 
          
         Mentalizzazione e legame di attaccamento: definizioni, eziologia e funzioni. 
1.1. La teoria della mente 
Una delle caratteristiche peculiari della mente umana è la capacità di poter considerare il proprio 
e l'altrui stato mentale al fine di comprendere e prevedere il comportamento. È ciò che Premack 
e Woodruff (1978) definiscono “una teoria della mente”, costrutto che indica la facoltà di 
raccogliere idee sia sul funzionamento mentale sia sulla natura dell’esperienza percettiva, della 
memoria, delle credenze, delle attribuzioni, delle intenzioni, delle emozioni e dei desideri. 
Secondo la filosofia della mente, ciò che differenzia lo stato mentale dagli altri stati interni è il 
concetto di intenzionalità (Dennett,1978b,1983); infatti, le credenze e i desideri vengono 
descritti come stati mentali, distinti dalla percezione e dagli stati fisiologici che vengono 
inscritti nella categoria degli stati interni. Seguendo le linee di un percorso evolutivo normale 
si può notare come, durante il terzo anno di vita, avvenga un cambiamento significativo: il 
bambino inizia a comprendere e riconoscere, sia in sé stesso che negli altri, stati mentali come 
il conoscere, il sentire, il dimenticare o il pensare. La consapevolezza di sé, la capacità di far 
finta e la facoltà di distinguere la realtà dalla finzione sono condizioni necessarie per la 
comprensione della mente altrui. Durante il secondo e terzo anno di età si sviluppa una completa 
e soddisfacente conoscenza del proprio e degli altrui stati mentali, ciò permette lo sviluppo della 
funzione riflessiva e rappresenta, inoltre, un'importante spinta lungo la linea dello sviluppo che 
va dall’egocentrismo alla socializzazione (Freud, A., 1965). Normalmente, tra i tre anni e mezzo 
e i quattro anni di età viene acquisita e consolidata la capacità di attribuire un pensiero ad 
un'altra persona, ciò che Johnson-Laird (1983) e altri definiscono “rappresentazione di 
second’ordine”. Infine, un livello superiore di teoria della mente, che implica la capacità di 
pensare sui pensieri di un'altra persona relativi ai pensieri di una terza persona, con ogni 
probabilità non viene acquisito pienamente prima dei sei anni di età (Flavell 1968).  
 
1.2. La mentalizzazione: origine e definizione del concetto  
Per mentalizzazione si intende un’attività mentale immaginativa che porta a percepire e 
interpetrare i comportamenti propri e altrui come il risultato di stati mentali interni ed 
intenzionali, cioè come il risultato di bisogni, desideri, emozioni, credenze, obiettivi, intenzioni 
e motivazioni (Allen, Fonagy, Bateman, 2008). La mentalizzazione è una competenza utilizzata 
allo scopo di avere un’immagine mentale di ciò che gli altri potrebbero pensare o provare, in
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quanto non si potrà mai né conoscere né sapere ciò che è nella mente di qualcun altro (Fonagy, 
Steele, Steele et al., 1997). La capacità di mentalizzare è fondamentale sia per l’auto-
organizzazione sia per la regolazione affettiva, inoltre, svolge una funzione adattiva tipicamente 
umana con lo scopo di renderci capaci di predire e interpretare, nella maniera più attendibile e 
rapida possibile, le azioni degli altri sia in situazioni competitive che cooperative. Sebbene la 
mentalizzazione sia di fondamentale importanza ai fini di un corretto e sano funzionamento 
mentale, gli esseri umani non sono tutti in grado di mentalizzare allo stesso modo, e ciò è dovuto 
alle influenze delle prime esperienze e dall’eredità genetica individuale. A questo punto può 
sorgere un dubbio: come e quando si sviluppa la capacità di mentalizzare? Innanzitutto, tale 
capacità si sviluppa tramite l’interazione con menti mature e sensibili, ed è indispensabile 
considerare il ruolo giocato dall’attaccamento in questo sviluppo. Evidenze empiriche 
sostengono che la sicurezza dell'attaccamento infantile con ciascun genitore risultava essere un 
indicatore estremamente predittivo sia della sicurezza dell'attaccamento dei genitori durante la 
gravidanza (Fonagy, Steele, Steele, 1991), sia della capacità dei genitori di rappresentare, in 
termini di stati mentali, la loro relazione infantile con i propri genitori (Fonagy, Steele, Moran 
et al. 1991). Dai risultati di questi studi si evince che la capacità di mentalizzare non si presenta 
semplicemente all’età di quattro anni circa, bensì, è il risultato di un processo evolutivo che ha 
le sue radici nelle qualità delle prime relazioni. Si può definire la mentalizzazione come un 
costrutto multidimensionale, le cui dimensioni sono radicate in diversi sistemi neuronali; 
coinvolge, inoltre, una componente sia autoriflessiva che interpersonale, ed è basata 
sull’osservazione e sulla riflessione sia dei propri che degli altrui stati mentali; è nello stesso 
tempo sia implicita che esplicita e riguarda i sentimenti e le cognizioni (Fonagy, Luyten, 2009; 
Lieberman, 2007; Luyten, Fonagy, Mayes et al., inviato per la stampa; Saxe, 2006). I sistemi 
neuronali che sostengono queste componenti consentono al bambino di rappresentarsi gli stati 
mentali secondo il principio di causa-effetto, permettono di differenziare la realtà interna dal 
mondo esterno, oltre che attribuire stati mentali alle altre persone a partire dai comportamenti 
osservati nei vari contesti e, quindi, di regolare il proprio comportamento tramite l'esperienza 
emotiva vissuta, costruendo così delle rappresentazioni dei propri stati mentali.
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1.3. La funzione riflessiva 
La funzione riflessiva è l’acquisizione, da parte dell’individuo, di una tappa evolutiva che 
consente sia di rispondere in maniera adeguata al comportamento degli altri, sia di comprendere 
gli stati interni, come sentimenti, credenze, speranze, aspettative e progetti, delle altre persone; 
pertanto, è una funzione che permette di “leggere” la mente degli altri individui (Baron-Cohen, 
Tager-Flusberg, Cohen, 1993; Morton, Frith, 1995), al fine di prevederne il comportamento.  
La capacità di osservare e comprendere i comportamenti altrui si presenta come precursore 
dell’abilità del piccolo di percepire le proprie esperienze psicologiche. Si può ritenere questa 
funzione alla base delle capacità di regolazione affettiva, di controllo degli impulsi, di 
automonitoraggio e dell’esperienza del Sé agente. Il costrutto di funzione riflessiva viene 
originariamente concepito dall’ipotesi di Dennett (1978b, 1987) secondo cui esistono tre 
atteggiamenti per prevedere il comportamento: fisico, progettuale e intenzionale. Dennett 
sostiene che gli esseri umani riescono a prevedere il comportamento altrui dandosi spiegazioni 
in termini di credenze e desideri. La funzione riflessiva può essere descritta come funzione 
mentale che organizza e struttura sia il proprio che l’altrui comportamento in termini di stati 
mentali; evolve attraverso vari percorsi influenzati dalle emozioni del soggetto, dall'interazione 
sociale, dalle relazioni familiari e dall'ambiente. Un’importante differenza tra la funzione 
riflessiva e l’introspezione è che quest’ultima definisce gli stati mentali in termini di 
motivazione conscia, diversamente dalla prima che li definisce in termini di regolatori del 
comportamento, inoltre la funzione riflessiva è un processo automatico attivato inconsciamente 
(Bolton, Hill, 1996).  
 
1.4. Il legame di attaccamento  
Il normale sviluppo della mente umana è basato principalmente sulle qualità delle prime 
relazioni e sul bisogno di cure del piccolo verso i propri caregivers (Hofer, 1995). Inizialmente 
John Bowlby riteneva che l’istinto di attaccamento si fosse sviluppato con lo scopo di garantire 
ai bambini la protezione verso eventuali predatori e pericoli esterni (Bowlby, 1969). Il legame 
di attaccamento può essere schematizzato come un ciclo entro il quale l’attaccamento del 
bambino viene ricambiato dai comportamenti di attaccamento degli adulti, che rinforzano, in 
questo modo, il comportamento di attaccamento verso quel determinato adulto. Ovviamente il 
legame di attaccamento è un costrutto che non si limita a fornire un ambiente protettivo al 
piccolo, bensì questi comportamenti di attaccamento vengono attivati quando qualcosa 
nell’ambiente circostante viene percepito come una minaccia alla sua sicurezza, in questo modo 
si può quindi affermare che l’obiettivo del sistema di attaccamento è principalmente