5
Il quinto capitolo è dedicato esclusivamente alla descrizione del panteon 
Lucumí , elencando le divinità (oricha) dalle quali è costituito e descrivendone 
le caratteristiche e le corrispondenze con i santi cristiani. Riporto, inoltre, alcuni 
miti e leggende di alcuni di loro che ho trovato particolarmente interessanti e 
curiosi. 
L’ultimo capitolo è un breve excursus rispetto alla santería fuori da Cuba, e 
principalmente negli Stati Uniti. E’ interessante sottolineare come la santería 
abbia attecchito su suolo nordamericano, non solo tra gli esuli cubani, ma anche 
tra la popolazione statunitense. Avendo iniziato la mia ricerca domandandomi 
come mai una religione di origine africana, seppur sincretizzata con la religione 
cristiana, si sia diffusa tra la popolazione bianca dell’isola, ho trovato 
interessante approfondire il motivo della sua ulteriore diffusione al di fuori del 
territorio cubano e tra membri della popolazione statunitense. Evidentemente le 
motivazioni dei due percorsi di sviluppo intraprese dalla pratica rituale santera 
sono differenti. Probabilmente Cuba fu, ed è tuttoggi, un territorio 
particolarmente recettivo ad un tipo di spiritualità priva di una struttura religiosa 
rigida e soprattutto potente politicamente come quella cristiana. La politica 
cubana, in quanto laica, è sempre rimasta slegata dal potere del Vaticano, 
sebbene ci siano state delle aperture, soprattutto negli ultimi vent’anni, e questa 
assenza imponente ha permesso alla cristianità più popolare e alla spiritualità 
africana di fondersi in un’unica struttura rituale profondamente organizzata e 
capillarmente diffusa, proprio perché priva di potere politico, ma fondamentale 
al fine della risoluzione delle problematiche spirituali delle persone, da un lato, 
e soprattutto con lo scopo della gestione delle difficoltà legate all’esistenza 
quotidiana, dall’altro. E queste difficoltà ed esigenze spirituali hanno 
interessato, e interessano, trasversalmente, entrambe le macrocomponenti della 
società cubana, quella bianca e quella nera. Se quindi condivido l’idea che la 
santería si sia sviluppata come strumento di resistenza nelle mani della parte 
debole della società, gli schiavi, ritengo che il suo radicarsi sia dovuto alla 
condivisione di stili di vita delle grandi masse delle campagne e soprattutto 
delle città cubane, siano esse bianche o nere poco importa, in quanto comune è 
il ruolo all’interno della società. 
Tra gli autori che ho letto, alcuni fanno menzione ad ipotetiche affiliazioni 
santere di Batista, prima, e di Castro, poi, la cui rivoluzione sarebbe stata 
sostenuta da Changó in persona, l’orisha della guerra. Quindi potrebbe essere 
interessante fare una ricerca relativamente alla diffusione della santería nella 
classe dirigente o nelle classi dominanti, ma questo è un altro capitolo ancora, 
su cui, sinceramente non ho trovato materiale a sufficienza se non racconti in 
forma anedottica. 
Per quanto riguarda la diffusione della santería tra adepti non cubani 
ritengo che forte peso abbia il fascino esotico che questa, come anche altre 
forme religiose della diaspora (in primis il candomblé brasiliano e il vudu 
haitiano) esercitano sui membri della ricca società capitalista dei diversi nord 
del mondo, spesso legate ad affiliazioni più o meno esoteriche con elementi di 
magismo.  
Le appendici che ho inserito in calce sono prevalentemente tabelle e 
curiosità relativamente allo svolgersi della ritualità nella santería. 
 6
Introduzione 
 
Diego Velásquez conquistò l’isola di Cuba negli anni 1511 – 1512. È 
probabile che diversi schiavi neri fossero nella sua spedizione o che comunque 
giunsero sull’isola poco tempo dopo il loro arrivo.  
Bartolomé de Las Casas, “l’apostolo delle Indie”, ordinò un’indagine 
accurata a proposito delle condizioni di vita degli indiani, che lui riteneva 
deplorevoli.  Egli richiese, su richiesta dei coloni, che fosse permesso a 
chiunque arrivasse sul suolo delle Indie Occidentali, di portare con sé una 
dozzina di negri dalla Spagna, che avrebbero evitato agli indiani gran parte del 
loro duro lavoro
1
. 
 
La santería iniziò in Africa, nella Valle del Nilo, tra il popolo chiamato 
Twa. Quattro gruppi minori dei Twa si svilupparono e viaggiarono verso il 
centro; quelli che si stabilirono al nord, furono conosciuti come Ta-Merrians o 
Egiziani, quelli al sud, Amazulus, quelli ad est, Agikuyus, e quelli all’ovest, 
Yoruba. Quanrantamila anni fa, i Twa concepivano dio in un modo che divenne 
la base di molte religioni africane. I Twa chiamavano il loro dio semplicemente 
il Grande Creatore di Tutto – lo Sconosciuto. I Ta-merrians chiamarono questo 
dio Aten, mentre gli yoruba, Olodumare. La civilizzazione yoruba vera e propria 
iniziò con la fondazione della città santa di Ile –Ife, centro del loro impero. 
Quando i trafficanti di schiavi europei giunsero sulle coste dell’Africa 
occidentale, il potere della civiltà yoruba aveva già iniziato a decrescere. 
Tuttavia, la bellezza dei lavori artistici e dei miti religiosi yoruba erano 
paragonabili a quelli greci.  
La disintegrazione dell’impero yoruba può essere fatta coincidere con la 
caduta dell’Alafin Awole nel 1796. L’invasione da parte delle tribù Fulani 
durante la prima parte del XIX sec. determinò la cattura di centinaia di migliaia 
di yoruba come prigionieri di guerra che saranno poi ceduti ai mercanti di 
schiavi e imbarcati verso il Nuovo Mondo. 
Tra gli yoruba, Olodumaré – anche chiamato Olorun – era il più grande di 
tutte le divinità, colui che suddivise l’ashé, la fonte di tutti i poteri, tra le divinità 
inferiori. Olodumaré si pensava essere troppo distante dall’umanità per aiutarla 
nei problemi quotidiani; per questo gli yoruba, e i loro discendenti del nuovo 
mondo, i Lucumí e i Nagos, si rivolgevano agli orisha.  
L’area principale dello Yorubaland è situata nella parte sud-occidentale 
dell’attuale Nigeria, anche se un numero considerevole di yoruba vive nei paesi 
vicini del Benin e del Ghana. Gli yoruba trasportati come schiavi nel nuovo 
mondo, e conosciuti come Lucumí a Cuba e Nagos in Brasile, furono abili nel 
preservare la loro cultura. Il termine yoruba
2
 si riferiva originariamente solo alle 
persone provenienti dalla città–stato di Oyó; fu poi usato per fare riferimento a 
tutti i membri dell’egemonia di Ife nel XIX sec.  La città di Ife, chiamata Ile-Ife, 
nella tradizione yoruba è considerata la culla della creazione.  
                                                 
1
 Aimes, 1967, p. 7 
2
 “Yoruba è il termine che identifica tutte le tribù che parlano la stessa lingua (…) è una 
denominazione prettamente linguistica (…) è parte della sottofamiglia “kwa” a sua volta fu 
divisa in molteplici dialetti dalle divisioni tribali”, Natalia Bolívar, “Los orisha en Cuba”, da 
http://freeweb.supereva.com/archiviocubano/ 
 7
Il sovrano di Ife, chiamato Oni, è pensato come il governatore spirituale di 
tutti gli yoruba. Anche se la religione yoruba si dovette adattare con diverse 
modifiche all’ambiente ostile della società cubana, diventando quella che poi fu 
conosciuta come santería, i suoi devoti continuavano a venerare Ife.   
Parte del fascino della santería è sicuramente la sua sensualità. La santería 
può essere definita come una religione incorporata, che può essere percepita con 
il corpo nella sua interezza, che a sua volta nutre l’anima. Gli schemi ritmici del 
suono del tamburo pare che determinino reazioni simpatetiche nel corpo umano 
– nei corpi dei credenti – da reazioni sedative a reazioni stimolanti, a seconda 
della canzone. L’immediatezza del divino, così accessibile ai santeri, è attraente 
per tutti coloro che crescono in tradizioni in cui si tende a vedere dio come 
inaccessibile.  
Se la santería iniziò come religione degli schiavi, ora è praticata da 
individui appartenenti a qualsiasi tradizione culturale.  
Il sistema di valori della santería non può essere oggettivamente 
caratterizzato dalle definizioni di superiorità o inferiorità rispetto alla cristianità 
occidentale. Ciò che può essere dichiarato nel panorama culturale della santería, 
differisce notevolmente da quello che può essere dichiarato nelle fedi giudeo-
cristiane o islamiche; di conseguenza il contesto etico di riferimento 
corrispondente è del tutto incomparabile.  
 
All’inizio era l’ashé. Quando l’ashé iniziò a pensare, divenne 
Olodumaré. Quando Olodumaré agì, divenne Olofi, e fu Olofi che 
creò Obatalà come parte di se stesso. 
 
Il concetto di ashé è centrale per comprendere la santería. Ashé – dallo 
yoruba asé – è, così come il termine Hindu dharma, un concetto dinamico e 
difficile da definire. Mentre la parola ashé è diventata parte integrante del 
lessico cubano popolare, stando a significare “fortuna” o “carisma”, il suo 
significato ontologico è molto più profondo, riferendosi ad un senso di ordine e 
di equilibrio nell’universo. L’ashé è la fonte ultima di ogni cosa.  
I santeri vedono l’universo – comprendente dio e gli orisha - come abitato 
da esseri codipendenti che hanno responsabilità reciproche. Queste 
responsabilità riguardano il raggiungimento dell’ordine e dell’equilibrio. Una 
mancanza di equilibrio (mancanza di ashé) è sperimentata dall’individuo come 
disfunzioni emotive, fisiche o economiche. Quando una persona sperimenta il 
disequilibrio, consulterà uno degli oracoli della santería per venire a capo della 
causa e per trovare un rimedio adeguato. Questo implica una serie di offerte agli 
orisha o agli spiriti ancestrali, così come consigli pratici dal divinatore – 
solitamente un santero o una santera – su come riguadagnare l’equilibrio 
perduto.  
Le dicotomie occidentali, come bene e male, dio e satana, non hanno un 
gran significato nella santería. Per i santeri, “il male” è un concetto relativo; non 
esistono assoluti. Il male, il peccato, e il dolore possono tutti essere definiti 
come mancanza di ashé – disequilibrio.  
 
 8
Come Fidel Castro notò una volta, Cuba è più un paese afro-ispanico che 
latinoamericano
3
. Anche se le relazioni tra le razze, bianca, nera e mulatta, sono 
state tumultuose, non esiste alcuna negazione della pesante influenza che la 
cultura africana in generale, e yoruba in particolare, ha avuto su aree culturali 
cubane come il linguaggio, la musica, la religione. Per esempio, i cubani 
chiamano i gemelli “jimaguas
4
”, mentre in molti altri paesi di lingua spagnola si 
usa il termine gemelos o mellizos.  
                                                 
3
 Canizares, 1993, p. 23 
4
 Parola di origine yoruba 
 9
 
Cap. 1. Cenni storici. Gli yoruba e la tratta degli schiavi 
 
Gli schiavi che vennero portati a Cuba e che presero il nome di Lucumí, 
provenivano dalla zona dell’Africa Occidentale che corrispondeva all’antico 
regno di Oyó (Nigeria), e appartenevano al gruppo yoruba. Le informazioni 
relative alle provenienze degli schiavi non erano per nulla dettagliate. La 
conseguenza di questa confusione fu che entrarono nel Nuovo Mondo schiavi 
provenienti da una stessa regione ma con diversa designazione. Il caso degli 
yoruba è esemplare. Mentre a Cuba erano conosciuti come Lucumí, nelle 
Antille francesi erano definiti ayois, distinti dai nagos brasiliani. 
 
Gli Yoruba occupavano gran parte del territorio sudorientale della Nigeria, 
limitato ad est dal Golfo di Benin, ad ovest dal Dahomey e si estende dalla 
Costa di Guinea sino alla metà del corso del fiume Niger, verso l’interno. 
Il termine yoruba venne usato per la prima volta dagli Hausa per definire le 
popolazioni del sud che venivano considerate omogenee dal punto di vista 
linguistico e culturale. Sino a tempi relativamente recenti, gli Yoruba non si 
consideravano come un popolo unico, ma piuttosto come cittadini di Oyó, 
Benin, Yagba e altre città, regni o regioni. Dei gruppi etnici che costituiscono la 
popolazione nigeriana sono il terzo in grandezza
5
. 
Parlano un dialetto della sottofamiglia Kwa, che a sua volta appartiene alla 
grande famiglia linguistica Nefritica. Nella lingua yoruba esistono molti dialetti 
propri della divisione tribale da cui è costituita la nazione yoruba. I principali 
sono: Egba, Oyó, Ife, Ijecha, Ekiti, Ondo, Ijebu, Owo, Owe e Akoko. 
 
Secondo la tradizione yoruba, la città di Ile Ife è il centro di origine di tutte 
le nazioni e gli uomini del mondo. Odudúa, il grande eroe culturale yoruba, 
fondò questa città, circa nell’850 d.C., considerata sacra, una sorta di “Roma 
Lucumí
6
”. I lignaggi reali yoruba erano considerati discendenti direttamente da 
Odudúa. "Ogni oba delle città yoruba è considerato discendente da Ife e il suo 
regno diventa una sorta di sotto-regno di Ife. Un oba yoruba possedeva poteri 
rituali esclusivi, che nessun altro dei suoi sudditi condivideva con lui; poteva 
lanciare la maledizione contro quelli che disattendevano i suoi ordini e vietare 
loro l’accesso a palazzo escludendoli così – in taluni casi – dalle discussioni di 
carattere politico. Era il simbolo dell’ordine stabilito e per questo motivo un oba 
poteva affermare senza contraddirsi che – se tentiamo di sottrarci alla nostra 
condizione di re, immediatamente la città e la sua popolazione cadono in preda 
allo smarrimento e subentrano l’illegalità e il disordine generale -"
7
. Alla morte 
di Odudwa, si dice che i suoi figli e nipoti si allontanarono da Ife e fondarono 
altrove i propri regni (Owu, Oyó, Popo, Sabe, Ila, Ondo, Ijesha, Ekiti, Akure, 
Owo, Ijebu, Egba, Ketu e Idaisa). 
                                                 
5
 Lunesu, S., “Yoruba. Tra storia e religione”, Tesina per il Corso di Culture e società 
dell’Africa Musulmana, Prof. Alice Bellagamba, A.a. 2004 – 05, pp. 3 - 4 
6
 Sandoval, 1975, p. 25 
7
 Mair, L. “Regni africani”, p. 146, da Lunesu, “Yoruba. Tra storia e religione”, Tesina per il 
Corso di Culture e società dell’Africa Musulmana, Prof. Alice Bellagamba, A.a. 2004 – 05, p. 5 
 10
La nazione yoruba godette di una notevole influenza nell’Africa 
occidentale. Sotto il dominio del regno di Oyó, gran parte delle tribù yoruba si 
unificarono, e conobbero momenti di splendore politico e culturale. 
Nel secolo XVIII cominciò il declino che fu accelerato dalla costante 
guerra con il Dahomey. Nel 1810 la maggior parte del territorio fu coinvolto in 
cruente guerre civili. Questa situazione di instabilità favorì i Fulani, uno dei 
gruppi islamizzati provenienti da nord che stavano avanzando verso sud. 
Durante il secolo XIX, gli yoruba furono vittime delle incursioni negriere e 
molti di loro furono catturati come schiavi e venduti sui mercati del nuovo 
mondo. Il crollo della nazione yoruba in Africa coincidette con l’incremento di 
importazione di schiavi in certe aree delle Americhe. A Cuba furono portati 
numerosi schiavi in seguito al successo della coltivazione della canna da 
zucchero. 
Il nucleo fondante delle società yoruba era la famiglia nucleare composta 
da marito, moglie e figli, che occupavano una casa chiamata “ilé te mi”, ossia 
“la casa che è mia”, all’interno di una casa più grande chiamata semplicemente 
“ilé”, casa. Molte famiglie imparentate secondo la linea patrilineare costituivano 
l’ilé. Il patriarca, o babá, aveva autorità su tutto il gruppo che normalmente 
costituiva una unità economica indipendente e autarchica.  
L’”agbole” è invece un’estensione della famiglia patrilineare. La maggior 
parte dei suoi membri viveva in ilé diverse ma tutte vicine, che andavano a 
costituire una sorta di quartieri. Le case dell’agbole si disponevano intorno ad 
un patio centrale in cui venivano allevati gli animali domestici. Il capo 
dell’agbole, oltre ad avere l’autorità sui suoi membri, era anche a capo del culto 
degli antenati della famiglia. A loro volta, gli agbole, si raggruppavano in 
quartieri più vasti, unità sociali basate prevalentemente sui rapporti di vicinato e 
non più sulla parentela. Questi quartieri erano gestiti attraverso degli ufficiali 
che si occupavano delle faccende amministrative. Al di sopra del capo 
dell’agbole c’era il capo del villaggio, su questo il capo del distretto
8
, che era 
responsabile di fronte alla corte. I governanti amministravano la giustizia ed 
eseguivano le leggi. I re erano assistiti da un consiglio di stato che gestiva le 
questioni economiche, religiose, militari, giudiziarie e politiche. Questo 
consiglio controllava direttamente il tesoro, il commercio e la difesa. 
Esistevano poi società e associazioni che svolgevano dei ruoli particolari. 
Tra questi gruppi, le più importanti erano quelle degli Ogboni, degli Egungun e 
di Oro. 
Gli Ogboni, o anziani, costituivano l’associazione più influente. I suoi 
membri erano i capi delle famiglie più importanti ed avevano una sede in quasi 
tutti i villaggi yoruba. Costituivano una oligarchia molto potente sempre 
disposta a dare consigli ai capi politici delle classi amministrative e giudiziarie.  
Anche Egungun e Oro erano associazioni molto influenti, ma in questo 
caso, i fini religiosi erano più rilevanti di quelli politici. Si dedicavano 
principalmente al culto degli antenati. 
Nella sfera economica yoruba erano molto frequenti le organizzazioni di 
categoria: i commercianti, i cacciatori, i fabbri, i quali eleggevano un capo che li 
rappresentava nel consiglio del popolo. 
                                                 
8
 Ogni regno yoruba era diviso in distretti 
 11
Dal punto di vista religioso, la religione è stata il “leitmotiv” della vita 
yoruba. “Tutto è sacro”. Così Valentino Salvoldi sintetizza la sua esperienza di 
vita e di ricerca tra gli Yoruba negli anni ’70. “Il mangiare insieme è un rito 
privilegiato: lo stesso cibo, consumato in un contesto di preghiera e di mistero, 
crea lo stesso sangue nei vari partecipanti ed è il presupposto per avere la stessa 
anima. Un solo cibo, un solo sangue, una sola anima: questo è l’apice della 
solidarietà umana, perché il banchetto, unendo gli uomini tra loro, pone il 
presupposto per un’alleanza con la divinità”
9
. L’Essere supremo, le divinità, 
sono state sempre le responsabili di tutti i fatti, sia di quelli felici che di quelli 
dolorosi. Tutto quello che può fare l’uomo è consultare l’oracolo per conoscere 
la volontà delle divinità e poter obbedire ai loro consigli e ai loro mandati.  
Il Dio Supremo costituisce il concetto religioso più evoluto ed elevato nella 
religione yoruba. È distinto dalle altre divinità del panteon in quanto è troppo 
elevato e troppo puro e di conseguenza troppo distante per essere oggetto di 
culto. 
Gli oricha sono gli dei del panteon. Sono concepiti come spiriti 
soprannaturali generalmente associati alle forze della natura: le tempeste, il 
vento, il mare, le malattie, la terra, le acque dolci. Gli oricha sono il prodotto di 
una concezione animista. 
Il culto degli antenati o “babanla” costituisce la terza categoria religiosa. 
Eccetto quello che si rende alla famiglia reale, il culto degli antenati è semplice 
ed essenzialmente privato; il sacerdote che lo officia è il capo della famiglia o 
del clan. 
La quarta categoria è costituita dagli amuleti e dagli oggetti magici. 
La religione yoruba è essenzialmente ritualista e liturgica. I riti seguono 
delle modalità fisse, invariabili e tradizionali. Ogni atto rituale è intriso di un 
certo sentimento magico, e chi non seguisse rigidamente il rituale tradizionale 
rischia di incorrere nella rabbia e nel castigo della divinità. Tra gli yoruba, 
infatti, il fine ultimo che persegue tutta la loro attività religiosa è assicurarsi il 
favore delle divinità. Si crede che, se il rito si svolge nelle forme e nelle 
condizioni appropriate, le divinità, soddisfatte, riempiranno i fedeli di beni.  
Essendo il rituale e il culto tradizionale così importante per gli yoruba, è 
necessaria la presenza di una casta sacerdotale molto organizzata e specializzata 
che garantisca il regolare svolgimento delle cerimonie. Le funzioni dei sacerdoti 
sono: 
agire come intermediari tra gli uomini e le divinità. Il sacerdote è 
l’avvocato dei credenti di fronte alle divinità ed è colui che indica alle divinità i 
desideri dei credenti. 
i sacerdoti sono, inoltre, divinatori. Anche se questa funzione è di esclusiva 
pertinenza dei babalawo, sacerdoti di Orunmila, in generale tutti i sacerdoti 
possiedono il potere di divinazione. Sono numerosi i metodi divinatori 
impiegati, anche se quella più completa e potente è quella usata dai babalawo. 
i sacerdoti sono incaricati di preparare gli amuleti. Agiscono anche come 
medici prescrivendo l’uso di certe erbe per particolari malattie. 
                                                 
9
 Salvoldi, V., “Il banchetto sacro. Aspetti della cultura yoruba della Nigeria”, p. 9, da Lunesu, 
“Yoruba. Tra storia e religione”, Tesina per il Corso di Culture e società dell’Africa 
Musulmana, Prof. Alice Bellagamba, A.a. 2004 – 05, p. 7 
 12
Ogni sacerdote è incaricato dello svolgimento del rituale dedicato al dio al 
quale è stato consacrato. Il sacerdote, in questo caso, funge da garante 
dell’ortodossia del culto specifico. 
Il sacerdozio è ereditario. In una famiglia è considerato un onore che 
almeno uno dei suoi membri appartenga a questa classe. Il fatto che il 
sacerdozio sia ereditario non significa che sia ereditato di padre in figlio, ma che 
i membri di determinate famiglie siano gli unici che possono essere sacerdoti 
per un determinato oricha. 
Solitamente il sacerdozio richiede un periodo di apprendistato la cui durata 
dipende dal dio a cui la persona deve essere consacrata. I sacerdoti di Orúnmila, 
per esempio, devono studiare per vari anni prima di poter essere iniziati, mentre 
i sacerdoti fedeli di altri oricha non devono sottomettersi ad un apprendistato 
tanto duro e prolungato.  
Olumide Lucas distingue tre ordini di sacerdozio tra gli yoruba. 
Fanno parte del primo gruppo, innanzi tutto i babalawo, sacerdoti di 
Orúnmila, dio della divinazione e della saggezza. I babalawo sono i sacerdoti 
più rispettati nella religione yoruba e sono quelli che hanno maggiore influenza 
per via delle loro grandi conoscenze del rituale, del dogma e della mitologia. 
Seguono i sacerdoti degli oricha Osain e Aroni, che sono le divinità della 
medicina, infine i sacerdoti e le sacerdotesse di Obatalá e Odudúa, divinità della 
creazione e della purezza. 
Nel secondo gruppo si possono distinguere due sottogruppi: i sacerdoti del 
dio del tuono, Changó, e i sacerdoti degli altri oricha importanti, eccetto Oricha 
Oko.  
Il terzo gruppo include i sacerdoti e le sacerdotesse di Oricha Oko, dio 
dell’agricoltura. In questo ordine sono compresi anche i sacerdoti degli oricha 
meno importanti e quelli degli antenati deificati. 
La maggior parte delle divinità yoruba può essere adorata in qualsiasi 
luogo: nella casa, nel villaggio, nel bosco. Tuttavia esistono dei luoghi che sono 
associati in qualche modo al soprannaturale e che sono quindi considerati più 
appropriati per rendere omaggio a determinati oricha. L’esempio classico è 
quello di Echú, a cui vengono erette cappelle nelle entrate dei villaggi o presso i 
crocicchi delle strade. 
I sacrifici hanno un ruolo importante nella religione yoruba. Ogni dio ha il 
suo gusto particolare, per cui ad ognuno verrà offerto un particolare cibo e una 
particolare bevanda, così come per ognuno ci saranno dei tabù da rispettare. 
Un altro elemento importante è la musica e il canto. Attraverso il canto 
viene evocata la vita mistica delle divinità. Durante le cerimonie hanno luogo le 
danze rituali che sono una pantomima di una storia o di un fatto sacro. Durante 
le danze, le divinità sono solite possedere i loro figli. La possessione è un 
segnale che indica alla persona posseduta che deve servire quello specifico dio. 
Il fatto di essere iniziato ad un dio, non significa che il novizio diventerà 
sacerdote di quel dio. L’iniziazione ha lo scopo di assicurarsi l’aiuto di quel dio 
nella gestione delle problematiche della vita. 
 
Prima dell’arrivo degli europei, gli Yoruba, tra le popolazioni dell’Africa 
occidentale, erano tra quelli che avevano maggior numero di centri urbani di 
una certa importanza. Economicamente, gli Yoruba erano essenzialmente 
agricoltori. Le proprietà della terra erano legate a certe credenze religiose. Nelle 
 13
terre di una famiglia abitavano le anime degli antenati che le avevano coltivate 
nel passato. Per questo la terra non poteva mai essere venduta, né si poteva 
estromettere qualcuno dalle terre che aveva sempre coltivato. 
Una parte cospicua della popolazione yoruba era costituita da schiavi ancor 
prima dell’arrivo degli europei. Erano solitamente prigionieri di guerra o 
persone che avevano perso la libertà a causa di debiti o crimini. La loro vita era 
abbastanza tollerabile, vivevano nelle stesse case dei padroni ed erano trattati 
con rispetto. Coltivavano le terre dei loro padroni e ricevevano una parte dei 
prodotti coltivati. Erano anche obbligati a seguire i padroni nelle spedizioni di 
guerra.  
 
Questa situazione si modificò completamente con l’arrivo degli europei e 
con l’esplosione della tratta. Sempre più frequentemente, dei gruppi armati 
attaccavano popolazioni indifese con l’unico fine di raccogliere prigionieri da 
vendere ai bianchi. Quindi gli schiavi diventarono una proprietà economica di 
gran valore, con un buon prezzo ed un mercato sicuro.  
A Cuba la tratta era gestita prevalentemente da inglesi, portoghesi e 
francesi e solo più tardi, quando la Spagna liberalizzò i traffici, i sudditi 
spagnoli iniziarono a prendervi parte.  
Già nel 1505 i primi esploratori portoghesi conoscevano gli yoruba e 
facevano menzione dei loro territri. Pù tardi nel 1580, il regno dell’alafin 
Obalokun Erin entrò in contatto con i portoghesi. Nel secolo XVII, nel suo 
trattato di geografia apparso nel 1668, Olfert Dapper ci ha lasciato una 
descrizione molto dettagliata del regno di Ulkuma: “il regno di ulkuma o 
Ulkami, è situato ad est di Arder tra i regni di Arder e Benin a nord-est, ma non 
arriva al mare. Da questo regno molti schiavi, che vennero sia catturati in guerra 
sia ridotti in schiavitù per aver commesso dei misfatti, furono portati a Little 
Arder (Porto Novo) e lì venduti ai tedeschi e ai portoghesi, che li portarono 
nelle Indie Occidentali”. Talbot sospetta che questo regno corrisponda al regno 
di Oyó. Le notizie ottenute dai viaggiatori che visitarono l’interno dell’Africa, 
nella zona della tratta, non sono del tutto soddisfacenti, in quanto si prestano a 
gran confusione, impedendo di comprendere la differenza tra Ulkami ed Oyó. È 
significativo il contributo del geografo Bello de Hoossa, che parla di Oyó come 
regno di Yarba: “Yarba è una provincia estesa, contenente fiumi, foreste, 
spiagge, e montagne così come una serie di altre cose straordinarie. Da un lato 
di questa provincia c’è l’ormeggio per le navi dei cristiani, che sono soliti 
recarsi lì per acquistare schiavi. Questi schiavi erano esportati dalla nostra 
regione e venduti alla gente di Yarba, che a loro volta, li rivendevano ai 
cristiani. 
Gli abitanti di questa provincia si suppone siano i discendenti dei bambini 
di Canaan, della tribù di Nimrod. La causa del loro stabilirsi nell’Africa 
occidentale fu la conseguenza del fatto di essere guidati da Yaarooba, figlio di 
Kahtan, fuori dall’Arabia, verso la costa occidentale, tra l’Egitto e l’Abissinia. 
Da lì, avanzarono verso l’interno dell’Africa, sinchè raggiunsero Yarba, dove 
fissarono la loro residenza. Sulla strada lasciavano, in ogni posto in cui si 
fermavano, una tribù della loro gente. È per questo che si suppone che ogni tribù 
 14
di Soodan che abita le montagne è discendente da loro, così come quelli che 
abitano Ya-orí”
10
.  
In data anteriore, nella prima metà del secolo XVIII, uno dei primi 
viaggiatori che visitò l’interno dell’Africa partendo dalla costa occidentale, il 
capitano William Snelgrave, trovò notizia del regno di Oyó. Nel 1727 Snelgrave 
era nel regno di Dahomey, e nella sua capitale incontrò un “gentiluomo 
portoghese”, prigioniero del re del Dahomey, che lo informò sulla nazione dei I-
oe, che erano gli yoruba.  
Norris, un viaggiatore contemporaneo di Snelgrave, trovò anche lui notizie 
degli yoruba, conosciuti però come Eyeos. 
Nel secolo XIX, il capitano John Adams fa menzione di questo regno con il 
nome di Hios. È possibile che le denominazioni usate da questi viaggiatori siano 
corruzioni del termine Oyó, dovute al fatto che gli informatori, dahomeiani nei 
primi casi, non conoscano i dialetti yoruba, ma in generale conoscano un paese 
il cui nome non corrisponde al termine Ulkami o Ulkumi di cui parlano i 
portoghesi. Quindi è maggiormente possibile che questa designazione, così 
come quella del Calabar o Kalbary data al gruppo tribale Ibo-Ibibio-Ekoi, abbia 
un’origine puramente europea – in questo caso portoghese -. 
Lo stesso Snelgrave che conobbe gli yoruba come I-oe, parla dei Lucumí 
chiamandoli lukkamies, in accordo con due versioni distinte che ottenne da uno 
stesso paese: una proveniente da fonti africane e l’altra attraverso gli europei 
stabiliti sulla costa.  
Per ciò che riguarda gli schiavi Lucumí a Cuba, questi furono 
preponderanti, esercitando una forte influenza nell’insieme di popoli africani 
che popolarono l’isola. Gli scrittori dell’epoca coloniale si concentrarono nelle 
descrizioni delle caratteristiche di questi schiavi. Così, José María de la Torre 
dice che erano schiavi “provenienti dalla Costa degli Schiavi, ma che sembra 
provengano dal Sudan; costituiscono il maggior numero di schiavi e si 
distinguono per tratti marcati sulle guance; sono forti per il lavoro ma indomiti e 
propensi al suicidio”
11
.  
Henry Dumont, nella sua “Antropología y patología comparata de los 
negros esclavos”, lasciò una curiosa descrizione: “i negri lucumís sono i più 
numerosi e interessanti di tutti quelli che si incontrano a Cuba. Provengono 
dalla Costa degli Schiavi; alcuni li credono originari del Sudan. Secondo i nostri 
informatori sono separati dai carabalís ad est dalla parte inferiore del corso del 
gran fiume Calabar; ad ovest, confinano con i minas e i gangás. Oltre i minas, e 
più a est, sulla costa, vivono i lucumís achanti; ad ovest di questi si estendono 
gli indigeni di Juda o Lucumí fanti; ad ovest del territorio di Juda si trovano i 
lucumís popos; al nord e ad est di questi si incontra la provincia del Dahomey. 
Dal capo di San Paolo sino ai margini dell’Odi si distribuiscono i negri lucumís 
propriamente detti. Oltre l’Odi sino al gran corso d’acqua che i trafficanti e i 
viaggiatori definiscono Nuevo Calabar, si incontrano i lucumís arará”
12
. 
Tutti questi nomi sono definiti errati dallo stesso Ortiz. Sono stati raccolti 
esclusivamente da informatori schiavi o trafficanti, e fanno presumere che tutti i 
lucumís entrati a Cuba provenivano dai vari mercati situati nella Costa degli 
Schiavi e furono poi denominati Lucumí.  
                                                 
10
 Lachatañeré, 1992, pp. 153 - 154  
11
 Lachatañeré, 1992, pp. 155 - 156 
12
 Lachatañeré, 1992, p. 156 
 15
Dal 1790 al 1875, Cuba vede l’auge della sua economia agricola e le 
statistiche ufficiali dichiarano che entrarono nell’isola 436844 bozales
13
, 
numero che chiaramente non considera gli schiavi importati clandestinamente.  
Dall’anno 1820, data che segna la completa decadenza degli yoruba, sino al 
1865, data che a sua volta indica la rovina del contrabbando dei neri, si 
registrano nell’isola 28948 bozales. Il 30 maggio del 1820, la Spagna si 
impegnò con l’Inghilterra a sopprimere il traffico negriero in tutti i suoi domini 
e simultaneamente proibì ai suoi sudditi il traffico degli schiavi in tutte le zone a 
nord dell’Equatore. È chiaro quindi che gli schiavi entrati a Cuba 
posteriormente alla firma del trattato tra le due nazioni, avrebbero dovuto essere 
di provenienza bantu, e quindi congo, mozambicani, ecc. se il trattato fosse stato 
rispettato. In realtà, la tratta clandestina continuò per almeno quarant’anni dalla 
firma del trattato.  
Nel basso Niger si sgretolava un grande e potente impero – quello yoruba - 
che per molto tempo aveva imposto le sue condizioni ai popoli vicini e che 
ottenne molti vantaggi con l’inizio della tratta. Il Dahomey, uno stato di scarso 
potere, che era stato sotto la tutela di Oyó e sottomesso al potere degli alafin e 
dei sovrani yoruba per più di un secolo, fu il fulcro di questi intrighi. I 
dahomeiani, da una posizione geografica vantaggiosa, fecero di tutto per 
avvicinarsi alla costa occidentale e trafficare con gli europei, così come i loro 
vicini di Wida e Ardra; ma per fare questo era necessario sottomettere entrambi 
i popoli. Così, nel 1724 organizzano l’esercito ed occupano Gran Ardra e due 
anni più tardi Wida. A questo punto gli yoruba si schierano con il popolo di 
Wida e dichiarano guerra ai dahomeiani e li sottomettono alle loro condizioni. 
Dietro tutti questi movimenti bellici c’era la mano dell’Inghilterra e della 
Francia, due poteri rivali nella tratta degli schiavi. L’interesse che avevano gli 
yoruba per la crescita politica ed economica dei dahomeiani non era basato sul 
“gusto che hanno i popoli selvaggi per la guerra e la distruzione”, ma era 
semplicemente una lotta per l’acquisizione di quote di mercato. La vantaggiosa 
posizione geografica del Dahomey li metteva in condizione di avere, attraverso 
Wida e Ardra, interscambi con gli europei del litorale. Gli yoruba, in quanto più 
potenti, tentarono di contenere la sfera di influenza commerciale dei loro rivali, 
circostanza questa che portò all’incremento della tratta e che a volte fu una della 
cause della presenza del gran numero di dahomeiani che inondarono i mercati 
del Nuovo Mondo.  
Più tardi l’impero yoruba iniziò a declinare e i dahomeiani per vendetta si 
accanirono contro i loro antichi rivali, il chè portò la presenza degli yoruba tra le 
fila degli schiavi. A partire dal 1702 l’unità politica yoruba venne meno, a causa 
di problemi interni e soprattutto per l’ingresso nello scenario storico delle tribù 
Hausa e Fulani: la prima costituita da una nazione stabile come quella Nupe, e 
l’altra da gente nomade dispersa nell’alta valle del Niger. In questo modo non 
solo si disintegrò il potente impero yoruba ma anche la ricchezza della sua 
economia e i negrieri della costa approfittarono delle guerre e le trasformarono 
in retate di schiavi. Il collasso del regno yoruba corrispose alla crescita della 
produzione a Cuba. È ovvio che non tutti gli schiavi entrati a Cuba in questo 
periodo furono yoruba, ma provenivano sia dai mercati stabiliti nella zona 
proibita, compresa la regione del delta del Niger e la zona al nord della Sierra 
                                                 
13
 Vedi Appendice n. 1 
 16
Leone, sia dalle zone della conca del Congo e altri mercati nella vasta costa 
dell’Africa occidentale. Ma durante il periodo compreso tra il 1810 e il 1856 
nessun mercato procurò tante buone occasioni per i negrieri come quelli di 
Wida, Lagos, Badagry e Porto Novo, da cui si imbarcò la maggior parte del 
contingente yoruba alla volta di Cuba e Brasile.  
Tre noti negrieri, Félix de Souza, Domingo Martínez e il francese Regis, 
costituirono l’asse degli intrighi nella zona del traffico proibito. Per la 
conoscenza che questi uomini avevano del territorio in cui operavano, acquisito 
durante lunghe permanenze, e per l’influenza che avevano presso alcuni 
monarchi nativi e per la sagacità con cui operavano nei commerci, non solo 
determinavano guerre tra le tribù native, ma la loro influenza arrivava al punto 
di scegliere il sovrano da insediare o da destituire, mezzo che utilizzavano per 
accrescere i loro commerci, diventando i più importanti “fornitori di yoruba” nel 
Nuovo Mondo. De Souza e Martínez, stabiliti intorno al 1818, l’uno a Wida e 
l’altro a Otonu, vedendo il loro traffico compromesso perché il re dahomeyano 
Adosan sprecava la maggior parte dei prigionieri di guerra nei sacrifici religiosi, 
progettarono di detronizzarlo e sostituirlo con suo fratello Gezo, che si impegnò 
a favorirli nel commercio degli schiavi. È certo che Gezo cospirava già contro 
suo fratello, ma il suo successo nell’usurpazione del potere fu dovuto 
all’intervento dei due negrieri
14
. 
                                                 
14
 Lachatañeré, 1992,p. 160 
 17
 
Cap. 2. Etnie africane a Cuba 
 
“Nelle piantagioni c’erano negri di diverse nazionalità. Ognuna aveva le 
proprie caratteristiche. I bongos erano molto scuri, benché ci fossero anche 
molti meticci. Di solito erano piccoli. I mandingas avevano la pelle brunastra. 
Erano alti e molto forti. Giuro su mia madre che erano di cattiva razza e 
criminali. Andavano sempre per i fatti loro. I gangas erano buoni. Piccoletti e 
lentigginosi. Molti di loro furono cimarrones sui monti. I carabalís erano come i 
bongos musungos, belve. Ammazzavano maiali soltanto la domenica e i giorni 
di Pasqua. Erano molto trafficoni. Al punto che ammazzavano i porci per 
venderseli e non li mangiavano.”
15
 
Allo scopo di facilitare la catalogazione delle popolazioni africane 
coinvolte nella tratta di schiavi verso Cuba, Lachatañere
16
 utilizza la 
terminologia adottata dai negrieri, ordinando queste popolazioni in gruppi e 
sottogruppi a seconda della loro importanza sul territorio cubano e della loro 
provenienza geografica. Chiaramente bisogna considerare il fatto che questi 
dati, per lo più tratti da fonti costruite dai negrieri, sono spesso esigui e 
imprecisi, in quanto per lo più gli schiavi venivano considerati appartenenti a 
specifici gruppi a seconda del porto di imbarco per le Americhe piuttosto che a 
seconda della loro origine effettiva. 
I gruppi e sottogruppi sono: 
1. gruppo Lucumí 
(sottogruppo arará) 
2. gruppo congo 
3. gruppo carabalí 
(sottogruppo sudanese) 
(sottogruppo semibantu) 
4. gruppo mandinga 
(sottogruppo gangá) 
5. gruppo ewe-tshi 
6. gruppo hamito-negroide 
 
1. Gruppo Lucumí. Sottogruppo Arará. 
Sotto il nome di Arará o Arada non si riconosce nessuna nazione africana, 
tant’è che questo termine non corrisponde a nessuna delle designazioni 
geografiche africane, né antiche né moderne. Gli arará vengono considerati un 
sottogruppo dei Lucumí per via della profonda somiglianza che lega gli uni agli 
altri. In base alle descrizioni di padre Labat, i neri che sotto la denominazione 
arará o arada venivano portati ai mercati di Wida o Ardra, provenivano da un 
luogo che sembra corrispondere al regno di Oyó. Anche Fernando Ortiz ottenne 
testimonianze da vari schiavi liberti che gli dissero che gli arará erano una 
“specie di Lucumí”. 
 
 
                                                 
15
 Barnet, 1998p. 24 
16
 Lachatañeré, 1992, p. 161 
 18
Si segnalano alcune delle tribù Lucumí. 
 
− Egbados. Conosciuti come Eggualdo. La loro presenza a Cuba 
dovette essere importante. 
− Feé. Provenienti da Ifé, la città sacra degli yoruba. 
− Eyó. Provenienti dalla vecchia città di Oyó. 
− Ejibo. È possibile che abbiano introdotto il culto di Oshangiriyan 
a Cuba. 
− Ijave. Hanno probabilmente introdotto il culto di Babá-lu-ayé. 
− Oba. È possibile che introdussero il culto di Obatalá a Cuba. 
− Ijesha. Conosciuti come Ichesa; è possibile che la tribù chiamata 
yechas appartenga alla stessa categoria. 
− Mahín. Entrarono a Cuba come arará magino. Provenivano dal 
territorio del regno di Mahet, al nord del Dahomey. 
− Engüey.  
 
Nel sottogruppo Arará ci sono anche Agicón, Curvano, Sabalú, ecc. 
Tutti questi sottogruppi parlano dialetti della sottofamiglia Kwa, che 
appartiene al ramo Niger-Congo della grande famiglia Congo- Kordofaniano. 
 
2. Gruppo congo 
Corrisponde a questo gruppo la maggior parte di schiavi sradicata da 
diverse zone del bacino del Congo. I congo, provenienti dal gruppo bantu, 
hanno lasciato un segno profondo nella popolazione afrocubana. Il problema per 
la catalogazione di queste popolazioni è che possediamo diversi nomi di ogni 
tribù, il cui territorio di riferimento era piuttosto vasto.  
I bantu hanno costituito a lungo l’elemento predominante della popolazione 
schiava, e soprattutto per la loro forza fisica e le loro qualità di agricoltori, 
venivano destinati prevalentemente ai lavori nei campi. Tuttavia, restano poche 
tracce delle loro religioni. Questo fatto è sicuramente dovuto in parte, al fatto 
stesso che la vita nei campi rendeva più complicato agli schiavi incontrarsi e 
ricostruire quindi delle nazioni; in parte, alle caratteristiche intrinseche delle 
religioni bantu, profondamente legate al culto degli antenati, e al culto di spiriti 
radicati in luoghi fisici ben determinati (es. fiumi e montagne, difficilmente 
trasportabili in esilio).  Elementi di tradizione congo permangono nella 
cosiddetta setta mayombé
17
, “subordinata al sistema degli Yoruba soprattutto 
nella sua forma di mayombé incrociato, e la setta Gangá, incaricata di 
organizzare i riti funebri dei suoi membri e di invocare gli spiriti dei morti che si 
trovano negli alberi. Le principali divinità mayombé sono Sarabanda, 
identificata con san Pietro, Insancio, che scaglia il fulmine (identificato con 
santa Barbara), Asambiá, il dio supremo, Shola o Asola Aguengue, la Madre 
delle Acque (identificata con la Vergine della carità), Kisimba (che derviva da 
Nganga Kisi), identificato con san Francesco d’Assisi”
18
. 
 
                                                 
17
 Chiamata anche “Nganga” o “Palo monte” 
18 
Bastide, 1970, pp. 138 - 139