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INTRODUZIONE 
 
Il presente lavoro analizza lo strumento delle dichiarazioni dei terzi nel processo 
tributario, in virtù di quanto previsto dall'art. 7, comma 4 del D.lgs. n. 546 del 
1992, il quale, dettando i poteri istruttori del giudice tributario, dispone, al 
comma 4, che «non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale».  
Lo scopo del lavoro è quello di delineare la reale valenza probatoria da 
riconoscere, all'interno del processo tributario, alle dichiarazioni rilasciate dai 
terzi, e di dimostrare, inoltre, che risultano prive di senso le istanze 
d'incostituzionalità rivolte, da una parte minoritaria di dottrina, al quarto comma 
dell'art. 7 nella parte in cui prevede il divieto di prova testimoniale.  
Il lavoro analizza, oltre alle posizioni della dottrina, la quale si divide 
sull'argomento, anche le sentenze dei giudici costituzionali, di legittimità e di 
merito. 
La scelta dell'argomento è stata dettata dalla sua particolare attualità vista la 
prassi ormai consolidata degli uffici di porre alla base dei propri accertamenti le 
risultanze di atti, come ad esempio i verbali della Guardia di Finanza, che 
contengono dichiarazioni rese da soggetti diversi dalla parte cui l'accertamento è 
rivolto. 
Per comprendere il contesto all'interno del quale la tesi si muove, è necessario, in 
prima analisi, delineare i lineamenti del processo tributario. Esso si caratterizza 
per l'incarico onorario dei suoi giudici; per la veste pubblica di una delle parti 
processuali; per l'impugnazione di un atto impositivo, il quale dà avvio al 
procedimento, da compiersi entro brevi termini di decadenza. 
I principi ai quali si ispira il rito tributario sono il principio dispositivo, la 
ripartizione dell'onere della prova tra le parti in giudizio e i principi
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costituzionalmente garantiti di difesa, di contraddittorio tra le parti e parità delle 
armi processuali, ed il principio di "giusto processo". 
Il principio di giusto processo, nonché i principi di contraddittorio e di parità 
delle armi, hanno assunto un ruolo di primaria importanza alla luce della legge 
costituzionale n. 2 del 1999 che, riformando l'art. 111 Cost., ha fornito loro una 
tutela costituzionalmente garantita.  
Tali principi sono garantiti anche dalla Convenzione Europea dei Diritti 
dell'Uomo, la quale, però, solo nel 2006, con il caso Jussila contro Finlandia, ha 
esteso la garanzia della "equality of arms" anche al processo tributario. 
Per ciò che attiene il sistema probatorio, incombe sull'Amministrazione 
finanziaria l'onere di provare i fatti che costituiscono il fondamento della pretesa 
tributaria.  
L'art. 7 del D.lgs. n. 546/1992, il quale si occupa di disciplinare i poteri istruttori 
riconosciuti in capo al giudice tributario, non procede ad una mera elencazione di 
mezzi, poiché per quanto espressamente non disciplinato dal decreto si fa rinvio 
al rito ordinario. 
Il legislatore tributario, dopo aver attribuito genericamente alle Commissioni 
tributarie le facoltà di accesso e di richiesta di dati, informazioni e chiarimenti, 
pur nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, fissa esplicitamente un divieto 
affermando, al quarto comma, che «non sono ammessi il giuramento e la prova 
testimoniale». 
Se il giuramento non ha mai suscitato particolari problemi; il divieto di prova 
testimoniale, invece, è stato costantemente avversato dalla dottrina e anche da 
parte della giurisprudenza di merito e di legittimità, soprattutto in seguito alla 
revisione dell'art. 111 della Cost.
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Tali preclusioni probatorie erano già presenti nella normativa previgente al D.lgs. 
n. 546/1992, quando il contenzioso era riconducibile sostanzialmente ad un 
procedimento di annullamento più che a un vero e proprio giudizio di cognizione. 
La permanenza di un divieto perentorio ha comportato, però, secondo parte di 
dottrina, un grave limite al diritto di difesa ex art. 24 Cost.  
Per quanto la nuova ottica del giusto processo porti ad interrogarsi circa 
l'aderenza del quarto comma dell'art. 7 al dettato costituzionale, è errato 
affermare l'esistenza di una lacuna del decreto. Al contrario questo prevede una 
disposizione che espressamente vieta l'utilizzabilità di questo mezzo di prova nel 
processo tributario, vincolando quindi l'interprete in maniera più stringente. 
Parte della dottrina vorrebbe l'abrogazione dell'art. 7 del D.lgs. n. 546/1992 
perché la ritiene, evidentemente, un'impostazione ormai datata.  
Probabilmente il divieto di prova testimoniale poteva trovare forse una sua ragion 
d'essere nel sistema del 1972, in cui i profili inquisitori del processo tributario 
erano accentuati.  
Tale situazione risulta, invece, difficilmente giustificabile nel 1992, data la 
sussistenza di un onere probatorio in capo ad entrambe le parti processuali e 
l'applicazione, per quanto riguarda le prove, del "principio dispositivo". 
Le ragioni del divieto, contenuto nell'art. 7, sono state individuate sia nella natura 
essenzialmente documentale del processo tributario, che nell'esigenza di celerità 
dello stesso.  
In relazione all'art. 7, sono state più volte sollevate, nel tempo, questioni di 
legittimità tutte disattese. Con la sentenza n. 18 del 21 gennaio 2000, la Corte 
Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell'art. 7, comma 
4, in riferimento agli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione. La sentenza, oltre al tema 
del divieto di testimonianza, affronta anche quello dell'ammissibilità delle 
dichiarazioni di terzi.
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Numerose critiche al divieto posto dall'articolo 7 sono emerse anche dopo la 
novellazione dell'articolo 111 della Costituzione, poiché si ritiene indispensabile 
applicare i principi del giusto processo anche al processo tributario, che dovrebbe 
essere celebrato offrendo la massima garanzia di difesa e nel pieno 
contraddittorio delle parti, così come avviene nel processo civile ed in quello 
penale.  
La Corte, in risposta alle critiche avanzate dalla dottrina, ha introdotto un 
principio innovativo nel sottolineare la differenza tra la «testimonianza» e le 
«dichiarazioni di terzi» eventualmente raccolte dall'Amministrazione nella fase 
procedimentale. Le dichiarazioni rese al di fuori e prima del processo sono 
essenzialmente diverse dalla prova testimoniale, la quale é necessariamente orale 
e di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, 
comporta il giuramento dei testi e riveste di conseguenza un particolare valore 
probatorio.  
La Corte ha, inoltre, escluso che questa statuizione possa porsi in contrasto con il 
principio di uguaglianza e con il diritto di difesa del contribuente. Ciò a causa del 
particolare valore probatorio attribuito alle dichiarazioni di terzi, che è quello 
proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il 
convincimento del giudice, non sono mai idonei a costituire, da soli, il 
fondamento della decisione. Inoltre, è stata riconosciuta al contribuente la 
possibilità di contestare la veridicità delle dichiarazioni prodotte dagli Uffici 
finanziari. 
Un ulteriore ordine di problemi riguarda il profilo delle prove testimoniali 
assunte nel processo penale, ritenute dalla dottrina prive di ogni valore probatorio 
per il giudice tributario. La giurisprudenza di merito ha smentito la dottrina, 
stabilendo, con una sentenza del 2010, che le testimonianze e le perizie del
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processo penale contro il contribuente possono essere utilizzate, nell'ambito del 
processo tributario, con la valenza di meri indizi. 
Altri interrogativi sorgono a causa della riforma del rito civile operata dalla legge 
n. 69/2009, la quale ha portato ad interrogarsi sulla possibile applicazione anche 
al processo tributario del nuovo istituto della "testimonianza scritta" ex art. 257-
bis c.p.c.  
Non si devono trascurare poi le indicazioni che provengono dall'ordinamento 
comunitario, in particolare, dalla decisione della CEDU sul caso Jussila contro 
Finlandia del 23 novembre 2006. 
In precedenza, in occasione del caso Ferrazzini pronunciato nel 2001, la Corte di 
Strasburgo aveva escluso l'applicabilità dell'art. 6 della CEDU disciplinante il 
principio della «equality of arms» al processo tributario. La Corte riteneva che la 
materia fiscale facesse ancora parte del nucleo di prerogative appartenenti alla 
potestà pubblica, poiché la natura pubblica del rapporto tra il contribuente e la 
collettività restava predominante. 
Nel caso Jussila, la Corte Europea cambia orientamento, proprio con specifico 
riferimento al problema della testimonianza.  
A conclusione del presente lavoro, particolare interesse hanno meritato i 
principali ordinamenti europei con riferimento allo strumento della prova 
testimoniale nei rispettivi riti tributari.  
Nei sistemi anglosassone, tedesco, francese e spagnolo, si assiste ad una 
accentuata predilezione verso un rapporto dialettico tra le parti e tra le stesse ed il 
giudice. In tali ordinamenti, a differenza di quello italiano, la prova testimoniale 
ed il contraddittorio amministrativo concorrono a realizzare pienamente ed 
efficacemente il diritto alla prova.
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CAPITOLO I 
 
LINEAMENTI DEL PROCESSO TRIBUTARIO 
 
1. La giurisdizione tributaria 
 
L'art.1 del D.lgs. n. 546 del 1992, per la prima volta, utilizzò il termine 
«giurisdizione tributaria», sopperendo alla lacuna presente nella precedente 
normativa contenuta nel D.P.R. 636/1972, il quale si limitava ad utilizzare il 
termine "competenza", pur se era opinione maggioritaria in dottrina che il 
termine si dovesse intendere in realtà come giurisdizione. 
Aver utilizzato direttamente il termine "giurisdizione" è valso a rafforzare l'idea 
dell'autonomia funzionale di un corpo distinto di giudici, chiamato ad occuparsi 
in via esclusiva delle controversie in materia tributaria.
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Fino al 2001, secondo quanto disposto dall'originario art. 2 del D.lgs. n. 
546/1992, la giurisdizione delle Commissioni tributarie aveva ad oggetto solo un 
elenco tassativo di tributi, mentre le liti concernenti i tributi non elencati 
appartenevano alla giurisdizione del giudice ordinario. 
La legge finanziaria per il 2002 ha esteso la sfera di cognizione delle 
Commissioni tributarie stabilendo che «appartengono alla giurisdizione tributaria 
tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, compresi 
quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio Sanitario 
Nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, 
comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio», 
                                                      
1
 DI PAOLA N. S., Commento sistematico e giurisprudenza del D.LGS. 546/1992 nel testo 
vigente, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2011, 40
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restando ferma la giurisdizione preesistente sulle operazioni catastali riferite ai 
singoli immobili.
2
 
Il legislatore del 2006 è intervenuto nuovamente in materia, affiancando alla 
locuzione «tributi di ogni genere e specie» l'inciso «comunque denominati», 
ampliando così ulteriormente la giurisdizione del giudice tributario e lasciando 
alla giurisdizione ordinaria le sole controversie in materia di querela di falso e 
stato o capacità delle persone e, in via principale, le controversie aventi ad 
oggetto gli atti di esecuzione forzata tributaria successivi alla notificazione della 
cartella di pagamento.
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Da questi interventi legislativi si può desumere che l'oggetto della giurisdizione 
tributaria abbia assunto oggi carattere di «generalità». 
Alla giurisdizione appena delineata va aggiungendosi una giurisdizione 
comunitaria derivante dall'operatività, anche in materia tributaria, di una serie di 
principi e norme derivanti da Regolamenti e Direttive comunitarie. 
Ciò non significa che la giurisdizione della Corte di Giustizia Europea assorba 
quella della Corte Costituzionale e delle Corti Supreme, ma che si debba 
analizzare caso per caso le ipotesi di incompatibilità, rinviando la questione, se 
necessario, alla valutazione della Corte di Giustizia della Comunità Europea. 
La giurisdizione delle Commissioni tributarie non è individuata solo attraverso 
l'oggetto su cui verte la controversia, ma anche attraverso il rapporto ad essa 
sottostante dovendo quest'ultimo intercorrere tra uno o più soggetti passivi e 
l'Amministrazione finanziaria; al contrario, una controversia tra soggetti privati, 
                                                      
2
 FALSITTA G., Manuale di Diritto Tributario, Padova, Cedam, 2010, 574 
3
 DELLA VALLE E. – FICARI V. – MARINI G., Il processo tributario, Padova, Cedam, 
2008, 59 ss.