2 
pericolosamente esposta a fluttuazioni della domanda che ne hanno 
compromessa nel tempo la redditività. Il vecchio modello ha formato 
imprese complesse e molto grandi, gerarchizzate e difficili da governare, 
poco reattive ai mutamenti delle condizioni di mercato; imprese che sono di 
dimensioni globali ma che difficilmente riescono a sostituire una visione 
regionale con una chiara strategia integrata a livello globale1. 
Ora molte case automobilistiche si stanno muovendo per diventare 
flessibili e snelle, e stanno eliminando gli sprechi; le attività non profittevoli 
vengono cedute e l’enfasi è posta sul core business. Gli obiettivi dichiarati 
dei produttori consistono nella riduzione delle aree di attività, tramite 
delega ai fornitori dello sviluppo, progettazione e produzione di molti 
componenti, e nell’incremento della flessibilità, in modo da poter variare i 
volumi produttivi e rispondere meglio a cambiamenti tecnologici e alle 
fluttuazioni della domanda. Le imprese stanno cercando di snellire i livelli 
occupazionali e d’investimento al fine di recuperare risorse finanziarie 
preziose da concentrare su iniziative globali; e tutto ciò tenendo ben 
presente che, a fronte di una riduzione dello spettro di attività, si potrebbe 
verificare una perdita di potere contrattuale rispetto ai fornitori e una 
riduzione nell’abilità di personalizzare adeguatamente i propri prodotti. 
Ma non è ancora abbastanza: le imprese si stanno rendendo conto che 
la flessibilità è solo una delle condizioni necessarie sulla via del ritorno alla 
profittabilità; esse devono diventare anche agili e reattive. L’abilità di 
adattarsi rapidamente ai nuovi scenari è un fattore decisivo. 
Flessibilità e velocità di adattamento, due punti fondamentali del 
nuovo modello di business, stanno spingendo le case automobilistiche verso 
una destrutturazione verticale ed una integrazione crescente con i propri 
fornitori e distributori; il punto di arrivo del processo è la creazione di una 
rete di imprese altamente competitive e focalizzate, caratterizzata da un 
                                                 
1
 Cole E.D. (2001), “Driving the new business model in the 21st century automotive industry” in 
WMRC, BUSINESS BRIEFING. Global automotive manufacturing & technology. 
  
 3 
intenso interscambio di informazioni; le relazioni tra le imprese della rete 
saranno costituite da un mix di elementi collaborativi e competitivi (co-
opetiton)2. 
La nuova struttura settoriale che si sta configurando permetterà un 
notevole incremento di performance in un periodo di tempo molto breve; 
capire ed implementare il nuovo modello di business sarà decisivo per le 
imprese che vogliono continuare ad operare nel settore automobilistico. 
Lo scenario competitivo mondiale è divenuto altamente instabile3: 
anche una modesta flessione nelle vendite può risultare, in una industria ad 
alta intensità di capitale e di lavoro, in una significativa riduzione dei 
profitti. Il periodo turbolento che sta interessando l’industria, aggravato da 
tensione economiche e dall’emergere di nuove tecnologie, farà scomparire 
alcuni protagonisti del settore; i processi di consolidamento continueranno 
ad interessare i produttori così come i fornitori.  
In un ambiente tanto instabile è fondamentale concentrarsi su di un 
certo numero di imperativi di successo. I seguenti cinque sono 
particolarmente importanti: 
 non bisogna  spaventarsi di fronte a nuovi rischi e a differenti metodi 
di operare; 
 non si può pensare di agire in modo statico e predefinito all’interno 
di un ambiente instabile ed in rapido cambiamento; 
 bisogna accettare l’idea che d’ora in poi il vantaggio competitivo 
deriverà dall’affrontare e risolvere problemi difficili ed impegnativi; 
 è importante operare secondo una logica di sistema; cioè non si deve 
perdere d’occhio l’intero sistema anche se si sta lavorando sui 
dettagli; 
                                                 
2
 Bartel W. (2001), “Value realisation in a consolidating global automotive sector” in WMRC, 
BUSINESS BRIEFING. Global automotive manufacturing & technology. 
3
 Nel 2000 in Nordamerica, a fronte di vendite record si è verificato solo un marginale incremento 
dei profitti.  
  
 4 
 è decisivo acquisire ed integrare le nuove conoscenze man mano che 
si formano, poiché il gap tra disponibilità di nuove conoscenze e 
capacità di utilizzarle si sta espandendo sempre più4. 
 
Il settore automobilistico internazionale che si sta muovendo verso il 
nuovo modello di business rivela uno scenario molto emozionante; tuttavia, 
il significato del termine emozionante dipende dal contesto di utilizzo dello 
stesso. L’industria automobilistica del nuovo millennio possiede 
simultaneamente l’emozione stimolata da un potenziale successo e 
l’emozione causata dall’ansia di fallire. 
Prima di affrontare con un maggiore dettaglio le dinamiche e tendenze 
attuali e future del settore appare utile ripercorrere le principali fasi storiche 
che si sono prodotte nell’industria automobilistica internazionale. Il 
succedersi nel tempo di fasi, quantitativamente e qualitativamente 
differenziate, ha fatto leva da un lato, su discontinuità tecniche 
organizzative, dall’altro, su discontinuità della domanda; entrambe hanno 
rappresentato per le imprese del settore importanti opportunità e stimoli al 
miglioramento complessivo, e del sistema di offerta e delle relazioni col 
mercato. 
 
 
 
 
 
 
 
                                                 
4
 Cole E.D. (2001), op. cit. 
  
 5 
2. Breve panoramica storica: l’evoluzione dell’industria 
automobilistica e dei modelli produttivi 
 
2.1. I natali dell’industria 
 
I primi veicoli a motore vengono brevettati da Daimler Benz attorno al 
1885. Di li a poco piccole imprese tedesche, francesi, inglesi ed americane 
iniziano a produrre veicoli con motore a combustione interna per il 
trasporto di persone su strada. Una di queste è la Panhard et Levassor di 
Parigi, operante fra il 1887 e la Prima Guerra Mondiale. I primi veicoli sono 
costruiti in modo artigianale sulla base di specifiche richieste fatte dal 
cliente; le imprese costruttrici sono piccole ed il mercato ridotto ad una 
stretta élite che può permettersi di sostenere gli alti costi di produzione. Le 
automobili prodotte a partire dagli anni Ottanta fino agli inizi del 
Novecento sono per lo più grandi e lussuose, usate più per piacere e diletto 
che per scopi pratici. 
Attorno al 1906, i costruttori tedeschi e francesi detengono il 58% 
della produzione mondiale di automobili, ma la produzione totale europea è 
solo dell’ordine di 50.000 unità5. 
 
 
a) La produzione artigianale 
 
Il primo sistema di produzione applicato dai costruttori di autoveicoli è 
quello artigianale: ogni bene viene prodotto in modo individualizzato per 
soddisfare specifiche esigenze e richieste dei clienti. 
La caratteristica più rilevante del sistema è la sua estrema flessibilità, 
che si realizza grazie all’impiego di lavoratori molto specializzati e con 
                                                 
5
 Duncan D. (1997), We are motor men, Whittles Publishing, Latheronwheel. 
  
 6 
l’utilizzo di macchine che si prestano a molteplici usi; le risorse chiave sono 
quindi la specializzazione dell’operaio – artigiano e la sua abilità. I prodotti 
generati da un tale sistema di produzione non raggiungono mai grandi 
volumi, poiché essi sono in genere lavorati singolarmente; inoltre non sono 
mai identici gli uni agli altri, e questo perché le operazioni di montaggio ed 
assemblaggio comportano un adattamento manuale delle parti. 
I costi di tali prodotti sono ovviamente molto elevati, inoltre non vi è 
modo di ridurre il costo per unità prodotta variando il volume di 
produzione, in quanto le quantità di materiali e di lavoro (le principali 
componenti di costo) incorporate in ogni singolo prodotto non cambiano 
con il variare del volume prodotto. 
Sul destino del sistema produttivo artigianale gli studiosi hanno 
opinioni controverse. Womack, Jones e Roos sostengono l’incapacità del 
settore artigianale di produrre grandi innovazioni tecnologiche a causa 
dell’assenza, in quell’ambito, di ricercatori specializzati e di mezzi 
finanziari sufficienti per acquisire tecnologie e strumenti necessari alla loro 
applicazione, ed inoltre sottolineano che l’avvento delle nuove tecnologie di 
produzione flessibile insidia l’inattaccabilità delle nicchie di mercato, in cui 
i produttori artigianali si sono rifugiati6. 
Altri studiosi, invece, evidenziano le caratteristiche di vitalità 
tecnologica del sistema produttivo artigianale, negando la visione della 
produzione di massa quale unico percorso di sviluppo economico 
praticabile7. 
 
 
 
                                                 
6
 Womack J.P., Jones D.T., Roos D. (1991), La macchina che ha cambiato il mondo, Rizzoli. 
7
 Piore M.J. (1987), Le due vie dello sviluppo industriale: produzione di massa e produzione 
flessibile, ISEDI Petrini, Torino. 
  
 7 
2.2. L’ascesa dei produttori americani  
 
Nel decennio precedente la Prima Guerra Mondiale alcuni produttori 
americani intravedono l’opportunità di allargare il mercato, servendolo con 
nuove forme di produzione; Ransom Olds produce la sua Oldsmobile per il 
mercato di massa nel 1902, mentre la Cadillac di Henry Leland del 1906 
può vantare parti intercambiabili, ma è Henry Ford con la sua Modello T a 
rivoluzionare la produzione di automobili e a spostare il baricentro 
dell’industria dall’Europa all’America8. 
L’obiettivo di Henry Ford è quello di creare un mercato per un 
prodotto, l’automobile, che fino ad allora non dispone di un vero e proprio 
mercato: la strategia messa in atto per raggiungere l’obiettivo prevede la 
riduzione dei costi di produzione al fine di ottenere un prezzo che renda il 
prodotto accessibile ad un numero crescente di persone. La Modello T si 
propone come automobile dal prezzo accessibile, sicura, economica, di 
buona qualità, durevole, facile da usare e da mantenere. 
Il successo di Ford è fondato su tre principi: prodotto standardizzato; 
macchinari specializzati; e divisione del lavoro. I componenti per il 
Modello T vengono semplificati il più possibile raggiungendo la piena 
intercambiabilità delle parti. L’utilizzo di macchinari specializzati permette 
a Ford di impiegare un vasto numero di lavoratori non qualificati e di 
restringere il lavoro qualificato ad aree critiche quali la costruzione, messa a 
punto e manutenzione dei macchinari. Una catena di montaggio mobile, 
dove il prodotto va al lavoratore e non viceversa, viene installata allo 
stabilimento Ford di Highland Park nel 1913; il flusso dei materiali è 
organizzato in modo da adattarsi alla sequenza delle operazioni di 
assemblaggio; le ore di manodopera necessaria all’assemblaggio della 
Modello T vengono ridotte da 12,5 a 1,5 ore. 
                                                 
8
 Duncan D. (1997), op. cit. 
  
 8 
Ulteriori miglioramenti sono compiuti allo stabilimento di River 
Rouge, aperto nel 1919. Viene raggiunto un grado di integrazione verticale 
eccezionalmente elevato: Ford puntava ad acquisire tutti i fornitori di 
componenti e le fonderie necessarie a costruire i suoi veicoli, ferrovie e 
depositi per il loro trasporto, e pure ad acquistare fattorie per rifornire di 
cibo le sue mense. L’assemblaggio di veicoli è disseminato in vari 
stabilimenti sul territorio statunitense e, nel periodo tra le due guerre, anche 
in Asia, Australia, America Latina e Sudafrica. 
Il prodotto standardizzato riscuote un grande successo e contribuisce a 
creare un mercato di massa: la produzione del Modello T cresce da 10.000 
unità nel 1908 a 300.000 nel 1914 con un picco di 1,9 milioni nel 1923. In 
quell’anno Ford produce il 44% delle automobili nel mondo; il mercato 
americano rappresenta il 91% del mercato globale9. 
A insidiare il dominio della Ford negli Stati Uniti e nel mondo ci 
pensa la General Motors: sotto la guida di Alfred P. Sloan, GM inizia a 
produrre automobili “per ogni tasca e scopo” riorganizzando, allo stesso 
tempo, l’impresa in divisioni autonome. Sloan è il principale artefice del 
processo di transizione da un mercato automobilistico fatto di prodotti di 
massa standardizzati ad uno di prodotti differenziati10. 
La strategia di Sloan deriva dalla constatazione delle differenti 
caratteristiche della struttura operativa di GM rispetto alla Ford. A 
differenza di quest’ultima, che mira ad ottenere forti economie di scala, GM 
nasce come un agglomerato di imprese diverse, ognuna delle quali è 
specializzata nella produzione di autoveicoli per segmenti differenti. La 
produzione GM si presenta quindi frammentata e le economie di scala non 
sono adeguate a causa dei lotti produttivi ridotti: la conseguenza è un 
                                                 
9
 Volpato G. (1983), L’industria automobilistica internazionale, Cedam, Padova. 
10
 Tuttavia la differenziazione avviene su elementi tangibili del prodotto e sempre sulla base dei 
principi della produzione di massa. 
  
 9 
prezzo di vendita non concorrenziale rispetto alla Ford11. Per far fronte a 
questo gap competitivo GM propone una serie di modelli differenziati per 
anno di produzione e fascia di prezzo in modo da coprire l’intero mercato12. 
L’elemento di differenziazione è la carrozzeria dell’automobile, che è 
soggetta periodicamente a restyling con integrazione di nuovi accessori. Il 
“metodo Sloan” implica un cambio periodico dei modelli che incoraggia il 
consumatore a sostituire la sua vecchia automobile e include innovazioni 
quali ricerche di mercato, pubblicità e pagamenti rateali. 
Dal lato produttivo, il “metodo Sloan” prevede che le economie di 
scala non siano perseguite a livello di prodotto ma di singolo componente 
assemblato: la produzione di massa viene quindi spostata a monte, verso le 
imprese fornitrici di componenti; inoltre vengono utilizzati macchinari che 
possono essere adattati per produrre nuovi modelli; il risultato è che Sloan 
non deve chiudere i suoi stabilimenti (come è costretto a fare Ford nel 
1926) per passare alla produzione di un nuovo modello. 
L’impostazione produttiva della GM ottiene notevoli risultati: a fronte 
di una riduzione di circa 36 punti percentuali da parte della Ford nel periodo 
1921-1940, la GM aumenta, nello stesso arco temporale, la sua quota di 
mercato dal 12,3% al 47,5%13. 
Il dominio da parte delle imprese statunitensi dell’industria 
automobilistica mondiale nella prima metà del ventesimo secolo è favorito 
da un vasto mercato domestico; la popolazione in rapida ascesa, numerica 
ed economica, e gli ampi spazi americani rappresentano il terreno migliore 
per la diffusione dell’automobile; l’economia entra in un circolo virtuoso di 
crescita nel quale l’industria automobilistica gioca il ruolo fondamentale di 
motore per lo sviluppo, alimentato dalla combinazione produzione di massa 
– consumo di massa; a conferma di ciò sta il fatto che il termine “fordismo” 
                                                 
11
 L’autovettura più economica della GM, la Chevrolet, ha un prezzo maggiore rispetto al Modello 
T di Ford, ma offre un livello di comfort decisamente superiore. 
12
 Ad esempio, Chevrolet e Cadillac coprono la fascia alta del mercato, mentre la Pontiac viene 
creata per non lasciare scoperti gli altri spazi di mercato. 
13
 Volpato G. (1983), op. cit. 
  
 10 
(inteso come modalità di organizzazione della produzione) diviene di uso 
comune ed il metodo adottato in vari settori economici. 
Il successo dell’industria automobilistica d’Oltreoceano è seguita con 
molto interesse in Europa, dove i costruttori francesi, tedeschi, italiani e 
inglesi cercano di replicare i successi dei loro corrispondenti americani. Per 
aggirare le tariffe protezionistiche europee la GM decide di acquisire, alla 
fine degli anni Venti, Vauxhall in Inghilterra e Adam Opel in Germania 
stabilendo una posizione di rilievo nel Vecchio Continente; Ford, invece, 
apre propri stabilimenti produttivi a Dagenham, Colonia e Strasburgo nei 
primi anni Trenta14. Tuttavia l’industria europea non si sviluppa allo stesso 
modo di quella nordamericana; le strade, per lo più strette e nervose, 
necessitano di un veicolo differente; un ineguale distribuzione dei redditi e 
delle imposizioni fiscali, gusti differenti e la frammentazione dei mercati 
nazionali, richiedono una maggiore differenziazione di prodotto e 
permettono solo in parte l’applicazione del modello estensivo di produzione 
di massa, impiegato con successo negli Stati Uniti. Inoltre all’interno degli 
stabilimenti il potere dei sindacati e le minori capacità della classe 
dirigenziale rendono difficoltosa l’adozione di un processo produttivo di 
massa; ne risulta che i veicoli prodotti sono generalmente più cari ed i 
lavoratori europei meno pagati rispetto a quelli nordamericani. 
Le tre grandi imprese statunitensi, Ford, GM e Chrysler, mantengono 
saldamente il controllo del mercato globale anche negli anni bui della 
Grande Depressione. La crisi spinge queste imprese a concentrarsi 
ulteriormente sul processo produttivo allo scopo di raggiungere economie di 
scala ancora maggiori e le scoraggia dall’investire in nuove tecnologie di 
prodotto. Questa politica rimane in vigore anche nel Secondo Dopoguerra, 
quando l’interesse del consumatore viene stimolato solo grazie a 
cambiamenti della carrozzeria esterna. Nel corso di vent’anni l’unica 
innovazione tecnica di rilievo negli Stati Uniti è quella dell’aria 
                                                 
14
 Duncan D. (1997), op. cit. 
  
 11 
condizionata. Da dimenticare, invece, pietre miliari del kitsch quali le ali 
sulla coda, strani portelli e parabrezza panoramici con contorni cromati e 
terribili verniciature15. 
Intanto l’industria automobilistica europea emerge dal periodo di 
ricostruzione del Dopoguerra con un manipolo di imprese di medie 
dimensioni concentrate sull’utilizzo della differenziazione di prodotto come 
strategia di acquisizione di una propria nicchia di mercato, 
quantitativamente contenuta, ma concorrenzialmente stabile. Tale 
situazione particolare determina tra le imprese automobilistiche un limitato 
confronto competitivo basato sui prezzi. All’interno di tale confronto i 
produttori più intraprendenti si rafforzano tanto da venir identificati come 
national champion e quelli marginali riescono comunque a sopravvivere, 
privilegiando entrambi i mercati nazionali. È questo il periodo definito da 
White room for all policy ad indicare che c’è posto per molti produttori, 
alcuni dei quali anche nuovi16. Questa lunga fase provoca, tuttavia, alcuni 
riflessi negativi anche per le imprese più efficienti in quanto il loro ritmo di 
razionalizzazione tende inevitabilmente a rallentare.  
Rispetto ai veicoli americani quelli europei sono caratterizzati da un 
maggiore tasso di innovazione tecnologica; l’enfasi sulla differenziazione di 
prodotto e sull’innovazione si rivela un punto di forza quando le imprese 
europee iniziano ad esportare i propri veicoli. Lo sviluppo del Mercato 
Comune Europeo a partire dalla fine degli anni Cinquanta fornisce a queste 
imprese una sicura base dalla quale espandersi: le esportazioni europee 
raggiungono quelle nordamericane nel 1950, mentre nel 1970 il 46% della 
produzione mondiale di autoveicoli è di competenza dei costruttori europei 
con la quota dei costruttori americani ridotta al 33%17. 
                                                 
15
 Duncan D. (1997), op. cit. 
16
 E’ il caso, ad esempio, della Innocenti, che decise di entrare nel settore automobilistico agli inizi 
degli anni Sessanta per reinvestire gli utili maturati nella produzione delle motociclette. Calabrese 
C. (1997), Fare auto. La comunicazione e la cooperazione nel processo di sviluppo prodotto, 
Franco Angeli, Milano. 
17
 Volpato G. (1983), op.cit. 
  
 12 
b) La produzione di massa  
 
La produzione di massa nasce, si sviluppa e raggiunge il suo culmine 
nell’ambito dell’industria automobilistica nordamericana. 
L’impostazione strategica di fondo del modello della produzione di 
massa è riconducibile all’obiettivo di una riduzione di costi e prezzi, al fine 
di creare un prodotto generico (standardizzato) per una vasta schiera di 
consumatori e sviluppare un mercato. Condizione necessaria per fare ciò è 
il conseguimento di economie di scala; le economie di scala permettono che 
a maggiori quantità prodotte corrispondano minori costi unitari di 
prodotto18. Il raggiungimento di tali economie implica crescenti 
investimenti volti all’estensione degli impianti, con lo scopo di giungere 
alla scala minima efficiente. La produzione di massa non ammette varianti a 
scapito della standardizzazione di prodotto: ciò farebbe solo salire i costi di 
produzione. 
I beni da produrre vengono progettati tenendo conto, in primo luogo, 
delle esigenze della produzione, facendo uso di parti il più possibile 
standardizzate e di macchinari specializzati al fine di agevolare le 
operazioni di montaggio ed assemblaggio e di ridurre i costi ad esse 
collegate. 
Specializzati non sono solo gli impianti ma anche le operazioni svolte 
dagli operai; o meglio, quest’ultime, sono parcellizzate. Le mansioni sono 
suddivise il più possibile, fino a giungere ad operazioni tanto semplici da 
non richiedere praticamente alcuna forma di addestramento. 
L’utilizzo di parti intercambiabili è l’innovazione tecnologica 
determinante ai fini dell’applicazione dei principi della produzione di 
massa: è il prerequisito essenziale per l’allestimento della catena di 
montaggio mobile, dove il bene va al lavoratore e non viceversa. La 
                                                 
18
 Il costo unitario di prodotto diminuisce poiché i costi fissi totali vengono ripartiti tra un maggior 
numero di beni prodotti (l’ammontare dei costi fissi non varia all’aumentare o diminuire della 
quantità di beni prodotta). 
  
 13 
standardizzazione dei pezzi evita l’adattamento manuale degli stessi in fase 
di montaggio e non rende necessario l’utilizzo di manodopera qualificata 
per le operazioni di assemblaggio19. 
L’uso di macchinari specializzati in una singola operazione è, a sua 
volta, un presupposto fondamentale per l’adozione dei pezzi 
intercambiabili. 
Macchinari specializzati, parti standardizzate ed intercambiabili, 
catena di montaggio in movimento e divisione del lavoro in operazioni 
semplici consentono l’accrescimento della qualità, l’uniformità dei prodotti 
ed una maggiore produttività del lavoro. 
L’efficienza operativa è la principale preoccupazione dei managers 
addetti al controllo delle attività: è necessario evitare qualsiasi disfunzione, 
sia essa relativa agli uomini, alla linea o al ritmo delle operazioni, per poter 
conseguire economie di scala e le conseguenti riduzioni dei costi. Infatti, la 
mancata saturazione della capacità produttiva o, peggio, un blocco della 
produzione provocherebbero inefficienze ed un repentino aumento dei costi. 
 
Tab 1.1. Le caratteristiche della produzione di massa 
Le caratteristiche della produzione di massa 
 Parti intercambiabili 
 Macchine specializzate 
 Attenzione al processo produttivo 
 Parcellizzazione del lavoro 
 Movimento del semilavorato 
 Obiettivo primario su riduzione costi 
 Prezzi bassi 
 Economie di scala 
 Standardizzazione del prodotto 
 Specializzazione 
 Attenzione all’efficienza operativa 
 Elevata gerarchia quale 
meccanismo di coordinamento 
 Integrazione verticale 
Fonte: Mosca 
 
Le operazioni di lavoro vengono controllate meticolosamente e si 
studiano metodi volti all’eliminazione delle più piccole inefficienze; le 
forme organizzative sono di tipo gerarchico. Vengono applicati i principi 
                                                 
19
 Womack J.P., Jones D.T., Roos D. (1991), op. cit. 
  
 14 
teorizzati dal Taylorismo e dallo Scientific Management. Particolare 
attenzione, inoltre, è dedicata al conseguimento di economie di 
apprendimento. 
La produzione di massa e l’automazione del processo produttivo 
comportano investimenti elevati e quindi costi fissi molto forti, rendendo 
necessario mantenere sotto stretto controllo e stabilità inputs, processi e 
outputs. Ciò viene raggiunto con un’integrazione verticale delle attività, 
sviluppata sia a monte, con il controllo degli inputs produttivi, che a valle, 
tramite il controllo della distribuzione20. I managers, inoltre, cercano di 
prolungare al massimo il ciclo di vita del prodotto: solo così, infatti, è 
possibile ammortizzare gli investimenti legati allo sviluppo e all’adozione 
di macchinari specifici per la produzione dei prodotti; lunghi cicli di vita 
sono poi essenziali al raggiungimento delle economie di esperienza21. 
Se sussistono condizioni di domanda ampia ed elastica al prezzo, e 
mercato omogeneo il sistema della produzione di massa genera un circolo 
virtuoso di questo tipo: partendo dal punto cardine, ovvero le economie di 
scala, attorno al quale ruota tutto il sistema, grandi volumi di produzione 
consentono una progressiva riduzione dei costi e quindi dei prezzi dei 
prodotti; questi soddisfano la domanda e a loro volta la vanno ad alimentare 
ulteriormente (i prezzi più bassi fanno si che un maggior numero di persone 
possa procedere all’acquisto)22; l’accresciuta richiesta consente di 
aumentare i volumi produttivi, con conseguente riduzione ulteriore di costi 
e prezzi di vendita, e così via. 
Il sistema può essere messo in crisi, tuttavia, dall’azione di forze 
creatrici di instabilità quali: 
 fattori di disomogeneità del mercato; 
 instabilità degli inputs produttivi; 
                                                 
20
 Ford possedeva miniere, ferrovie, fonderie, vetrerie e pure fattorie. 
21
 Piore M.J. (1987), op. cit. 
22
 L’elasticità della domanda provoca un aumento delle vendite in concomitanza di una riduzione 
di prezzo. 
  
 15 
 instabilità dei livelli di domanda. 
 
I produttori di massa prestano scarsa attenzione alle nicchie di 
mercato, poichè presentano volumi troppo ristretti ai fini della realizzazione 
delle economie di scala; il costo collegato all’introduzione di varianti 
nell’ambito di un processo produttivo molto rigido, quale è quello di massa, 
è troppo elevato e poco conveniente23. 
 
 
2.3. L’arrivo dei giapponesi 
 
A partire dagli anni Settanta l’industria automobilistica mondiale entra 
in una fase di profonde trasformazioni: è un momento cruciale nella storia 
del settore. Il periodo in questione è caratterizzato da un intensificarsi della 
competizione, profitti discendenti e sforzi per aumentare i livelli di 
produttività. Alla base di queste tendenze ci sono un certo numero di cause 
identificabili in:  
 la progressiva riduzione delle barriere tariffarie a partire dalla fine 
degli anni Sessanta, favorita dall’accordo GATT (General 
Agreement on Tariffs and Trade) e dal Mercato Comune Europeo; 
 il rialzo dei prezzi energetici conseguente alle crisi petrolifere del 
1973-74 e del 1979 che provoca recessioni e spinge molte imprese a 
razionalizzare; 
 l’ascesa dei costruttori giapponesi e i cambiamenti radicali che si 
portano dietro.  
 
Tra queste cause l’ultima è sicuramente quella più importante; quella 
decisiva a modificare l’equilibrio del settore. 
                                                 
23
 Mosca F. (1998), La ricerca del vantaggio competitivo nel settore automobilistico, Giappichelli, 
Torino.