incontra per la prima volta nell’ufficio del suo giornale, Kathleen Glynn, sua produttrice, che
poi diventerà anche sua moglie e da cui avrà anche una figlia.
Dopo 10 anni di graffianti articoli viene chiamato da un ricco californiano di San
Francisco a dirigere la grande rivista nazionale di controcultura “Mother Jones”, ma la sua
permanenza lontano da Flint dura meno di due anni. Dopo aver scritto un articolo controverso
comincia ad avere screzi con la direzione. Infine, quando rifiuta di pubblicare un articolo
contro i sandinisti del Nicaragua, giudicando la storia sospetta e poco documentata, viene
licenziato.
Moore torna quindi a casa, a Flint, nello stesso momento in cui Mr. Roger Smith
annuncia la chiusura delle fabbriche. E’ il 1986 ed è anche l’inizio dell’ideazione del suo
primo film, Roger & Me (Id., 1989) che riesce a realizzare nonostante fosse disoccupato,
traendo i fondi dalla vendita di molte delle sue cose e da partite di bingo organizzate in casa.
Il documentario si dimostra un successone: fino a quel momento i reportage sociali erano stati
asciutti e di tono cupo, mentre Moore, nonostante la serietà dell’argomento, crea un film
divertente e piacevole ottenendo quindi un lusinghiero successo di critica e pubblico. Roger &
Me è presentato con entusiasmo al Toronto Film Festival nel 1989, al festival di New York
dello stesso anno il film viene accolto con una standing-ovation di sette minuti; numerose
case di produzione, fra cui la Disney, lo vogliono acquistare.
Nel 1992 Moore crea un breve epilogo del suo primo film, Pets or Meats: the
Returns to Flint (Bestiole da coccole o da macello: il ritorno a Flint), un cortometraggio che
vuole approfondire la vita di una signora già intervistata nel film precedente, che per vivere
dopo il licenziamento dalla General Motors, macella conigli o li vende come teneri animali
domestici. Il successo di questo breve documentario è davvero scarso e non ha diffusione.
Il denaro derivato dal suo primo documentario permette a Moore di fondare una casa
di produzione, la Dog Eat Dog, con cui realizza anche le serie televisive al vetriolo Tv Nation
(1994-95) e The Awful Truth (1999), da lui personalmente condotte. La prima è realizzata per
la NBC e riscuote un vasto successo di critica: il programma vince nel 1995 l’Emmy per la
migliore serie televisiva e d’informazione e sempre nello stesso anno ottiene “The Most
Promising Producer Award” dal Producer Guild of America. Tuttavia il mordente di Moore e
lo share ottenuto non soddisfano la NBC e il programma viene interrotto dopo una sola
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stagione. In seguita Tv Nation è acquistato dalla FOX, ma ancora una volta l’audience non
raggiunge i risultati sperati e il programma è cancellato di nuovo.
Nel 1995 Moore realizza un lungometraggio di finzione con John Candy, intitolato
Canadian Bacon (Id.), una storia satireggiante gli Stati Uniti dopo la guerra fredda.
Purtroppo, a causa della morte di Candy, il film affronta una serie di cause legali che gli
impediscono di avere una grande diffusione. Il film è presentato nella sezione ufficiale del
Festival di Cannes del 1995, ma non gode di particolare successo né negli Usa, né in Europa.
Negli anni ’90 Moore diventa anche autore di libri e pamphlet politici strettamente
legati alle sue indagini documentaristiche. Downsize This! Random Threats from an Unarmed
American (apparso in Italia con il titolo: Giù le mani! l’altra America sfida potenti e
prepotenti), edito nel 1996 dalla Harper Perennial, una divisione della Harper Collins, è la sua
prima pubblicazione e rimane per molto tempo un best sellers sugli scaffali delle librerie
americane.
Nel 1997, durante un tour per promuovere il libro, il regista realizza un altro
documentario, intitolato The Big One (Id.), riguardante le disuguaglianze economiche nel
paese e il fenomeno del dowsizing, la riduzione di massa del personale, indagato questa volta
a livello nazionale e non solo cittadino come fu per il suo primo film. Anche questo film
ottiene grandi riconoscimenti: miglior documentario al Boston Society of Film Critics Award
nel 1998, miglior documentario al Ondine Film Critics Award
Nel 1999 torna al piccolo schermo con la sua seconda serie televisiva, The Awful
Truth, uno sguardo satirico e polemico sui fatti di attualità, simile per molti versi a Tv Nation.
Entrambi i format sono dotati di uno stile irriverentemente documentaristico fuso a humor,
satira e ad una pesante dose di scetticismo. Le puntate sono strutturate come brevi inchieste su
argomenti di attualità scottante in perfetto stile Mooriano mantenendo lo stesso ritmo e
tensione abituali del regista. Non riuscendo a trovare fondi nazionali per finanziarsi, riceve
l’appoggio del canale britannico Channel Four, e lo show viene programmato per due stagioni
su Bravo, un canale via cavo. Con questi due programmi il regista riflette sul potere
mediatico, riducendo la televisione a catalizzatore politico di una verità difficile da
raggiungere.
Esasperato dalle elezioni del 2000 e dall’amministrazione di George W. Bush, Moore
scrive un altro libro: Stupid White Man… and Other Sorry Excuses for the State of the Nation!
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(Id.), altro grande successo editoriale che si scaglia in maniera esplicita contro la politica del
governo Bush e dell’estabilishment statunitense. La pubblicazione è programmata per
l’autunno del 2001 ma, dopo gli attentati dell’11 settembre, la Harper Collins ordina all’autore
di smorzare i toni polemici del libro verso il presidente, lui rifiuta e la casa editrice minaccia
di tagliare passi del volume senza il suo consenso. Fortunatamente Moore entra in contatto
con un gruppo di librai democratici che danno luogo a una campagna via internet grazie alla
quale la casa editrice è costretta a cedere e il volume viene pubblicato senza tagli. Il libro è
molto divertente ma sa anche dissacrare mantenendo il registro abituale del regista e
costituendo quindi una fedele trasposizione cartacea dello stile dei suoi film.
Con il progredire degli anni e del successo, il regista si serve sempre di più di ogni
mezzo di comunicazione di massa per diventare lui stesso un fenomeno mediatico competo.
Ha anche un sito internet – www.micahelmoore.com – che fornisce ogni tipo di informazione
sui suoi spostamenti e sulla sua attività. Inoltre è ricco al suo interno di links che permettono
al visitatore di indirizzarsi verso un “altra” informazione.
.Il successo internazionale arriva nel 2002 grazie a Bowling a Columbine (Bowling
for Columbine), uno sguardo critico sull’America delle armi e sulla cultura della violenza. È il
primo documentario ad essere presentato al festival di Cannes in oltre cinquant’anni. Inoltre
vince l’Oscar come miglior documentario e, durante il discorso alla consegna del premio,
Moore si scaglia pesantemente contro Bush e la guerra in Iraq. Da questo momento la
notorietà di Moore non ha più confini; il regista entra sempre più in polemica con le scelte del
governo vigente, tanto che dall’11 settembre fino a Sicko (Id., 2007) escluso, il pensiero e
quindi la motivazione di ogni opera artistica di Moore ha sempre più coinciso con un pensiero
anti-Bush, trovando in Fahrenheit 9/11 (Id., 2004) l’esempio maggiormente eclatante.
Quest’ultimo film è un indagine scottante sulla guerra in e sulla presidenza Bush, sui
contatti della sua famiglia con i sauditi, sulle elezioni che lo hanno portato per la prima volta a
essere presidente degli Stati Uniti e sulla sua lotta al terrorismo. Il film vince la palma d’oro a
Cannes, dove riceve una standing-ovation di venti minuti; si tratta del primo documentario ad
aver vinto questo premio prestigioso. Ma nonostante il trionfale successo in Francia, incontra
delle difficoltà nella distribuzione americana dalla Walt Disney, di schieramento politico
opposto a quello di Moore. Ma grazie ai fratelli Wenstein della Miramax, che è sotto la
Disney, decidono di sostenere il film fino in fondo distaccandosi dalla casa madre.
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In seguito si dedica soprattutto all’attività letteraria pubblicando due nuovi libri: il
primo, Dude, Where’e My Country? (in Italia è pubblicato come: Ma come hai ridotto qusto
paese?), pubblicato nel 2003, è molto simile al precedente per tematiche e stile anche se si
focalizza soprattutto sulla presidenza Bush: parla del legame della sua famiglia con i petrolieri
sauditi, della connivenza con le multinazionali, costituendo una sorta di sceneggiatura del film
vincitore a Cannes. L’altro, del 2004, è Will They Ever Trust Us Agains? (in Italia edito con il
titolo Ingannati e traditi. Lettere dal fronte), fino ad ora la sua ultima pubblicazione, che
questa volta tratta della guerra Irachena, lasciando parlare coloro che vivono direttamente il
conflitto: il volume è una raccolta di lettere dei soldati in Iraq e delle loro famiglie.
L’ultima fatica cinematografica del regista di Flint è Sicko, un atto d’accusa contro il
sistema sanitario statunitense. Il film è presentato fuori concorso al 60° festival di Cannes ed è
vincitore del Satellite Awards 2007 come miglior documentario.
2. QUESTIONI DI GENERE
E’ inutile affrontare la filmografia di Moore tentando di leggerla e capirla partendo
da categorie classificatorie antitetiche come il documentario da una parte e il film di finzione
dall’altra. Di fatti un documentario si definisce tale perché documenta uno stato di cose, fa
luce su un argomento cercando di capire ciò che non si conosce; opera mediante documenti,
fatti e testimonianze considerati portatori del reale che si desidera capire e quindi come fonti
di verità. L’approccio alla materia trattata varie nelle epoche e negli stili individuali, ma punto
fermo e basilare del genere è l’adesione e l’analisi del reale tramite i documenti che ne sono
considerati portatori. “Tutti noi sappiamo che i documentari hanno i punti di vista, […] ma
noi ci aspettiamo che ciò che stiamo vedendo sia accaduto, nel modo in cui è accaduto, nel
modo in cui è stato detto che è accaduto
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”. Moore, invece, non procede in questo modo. Il
filmaker americano usa i fatti in modo funzionale alla tesi sostenuta, snaturando quindi la
natura del documentario: tra fatti e tesi il regista di Flint inverte il rapporto, organizzando il
materiale a sua disposizione per dimostrare la tesi che di volta in volta si prefigge
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Harlan Jacobson, Michael & Me, <<Film Comment>>, vol. 25, n. 6, novembre/dicembre 1989, p. 22.
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aprioristicamente. Infatti i suoi film hanno molto in comune con i suoi programmi televisivi,
quasi che i primi non siano altro che l’ampliamento e l’adattamento cinematografico dei
secondi: in quanto format tv convertiti per il grande schermo, i lungometraggi del nostro
fanno informazione ma non documentano una realtà; intervengono in essa, la istigano, la
provocano e la creano. Sono cioè “infotainment”: i suoi film fanno informazione di tipo
televisivo intrattenendo e divertendo, cioè mantenendo un rapporto tra spettatore e immagine
secondo una logica di tipo televisivo, un metodo impositivo, autoritario e coercitivo. Lo stesso
Moore ha esplicitamente dichiarato il suo modo di vedere i propri lungometraggi, negando il
fatto che appartengano al genere documentaristico. Parlando del suo primo film, H. Jacobson
gli chiese esplicitamente: “Lo concepisce come un documentario?”, e il regista rispose: “No,
lo ritengo un film, un film d’intrattenimento
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”.
D’altra parte non è nemmeno possibile definire la produzione cinematografica di
Moore come semplice fiction: i fatti che filma non sono realizzati in studio, le persone che
intervista non sono attori che recitano una parte scritta dal regista. I suoi lungometraggi non
sono mockumentary alla maniera di Zelig (Id., 1983) o di Borat (Id., 2006), il profilmico è la
società reale e i personaggi sono persone vere. I suoi film sono inoltre spesso caratterizzati da
uno stile da cinema diretto, definito efficacemente “guerrilla style”, evidente soprattutto nelle
sue “interviste d’assalto”: i momenti in cui Moore si infiltra nelle multinazionali o nei luoghi
di potere. Telecamera a mano, immagini traballanti non di rado sporche, ripresa diretta in
piani sequenza di eventi in cui il regista realmente si infiltra negli uffici amministrativi o
governativi e pone accuse e domande scottanti al personale addetto. Di conseguenza, queste e
altre caratteristiche del suo cinema ci impediscono di definirlo un regista di fiction come
peraltro è stato fatto da altri. Ad esempio da Anton Giulio Mancino, che definisce l’intera
filmografia del regista come “film di finzione, un tipo di commedia alla Frank Capra sul
potere, che nasce da un bisogno di sorridere assieme al maggior numero di spettatori e con
essi condividere un’ esperienza civile sullo schermo
5
”, La critica tuttavia lo ha spesso
collocato nell’ambito documentaristico, pur con le necessarie precauzioni, o ha coniato
formule ibride per il suo tipo di cinema. In una sola recensione, Sandro Mauro ne crea
addirittura tre: “polidocumentario”, “cinegiornale polimaterico del terzo millennio a tensione
4
Harlan Jacobson, Michael & Me, <<Film Comment>>, vol. 25, n. 6, novembre/dicembre 1989, p. 24.
5
Anton Giulio Mancino, Cittadini Fuori Produzione, <<Cineforum>>, n. 468, 2007, p. 37.
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