Introduzione 
 
 
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delicata in tutte le sue fasi. Essa aggiunge infatti alle normali criticità che 
caratterizzano le attività di gestione del personale una difficoltà in più: le 
differenze culturali. 
In seguito ad una prima analisi della letteratura di international 
human resource management ho scelto di concentrare il mio lavoro sul 
momento conclusivo dell’avventura dell’espatrio, quello del rientro nel 
Paese di origine al termine del trasferimento internazionale. Questo si è 
infatti rivelato uno dei più attuali, uno tra gli ultimi ad aver catturato 
l’attenzione degli studiosi e quindi, allo stesso tempo, un tema con molti 
spunti di analisi ancora da approfondire. 
Il primo capitolo costituisce un’introduzione generale al tema 
dell’expatriate management. Dopo un’iniziale distinzione tra le diverse 
politiche di governo del personale internazionale, che riprende la 
classificazione di Perlmutter tra etnocentrismo, policentrismo e 
geocentrismo, l’attenzione si focalizza sulle ragioni che spingono le 
aziende a trasferire temporaneamente personale all’estero. Questo 
argomento occupa uno spazio molto ampio all’interno del capitolo ed è 
affrontato a tre diversi livelli di analisi: inizialmente vengono definiti i 
possibili obiettivi di ordine strategico che possono essere alla base della 
decisione di assegnare un incarico internazionale; di seguito l’ottica si fa 
più operativa e si passa alla classificazione dei diversi compiti che 
possono essere affidati all’expatriate durante la sua permanenza 
nell’unità locale; infine le assegnazioni internazionali vengono analizzate 
in qualità di strumenti di carriera e sviluppo, nel contesto economico ed 
organizzativo di oggi che vede le aziende sempre più frequentemente 
protagoniste di processi di ristrutturazione e downsizing che impongono 
Una fase critica dell’expatriate management: il rientro 
 
8 
la ricerca di alternative ai percorsi di carriera verticali. Successivamente 
vengono definiti i tratti demografici caratteristici della figura dell’expatriate, 
con una particolare enfasi sulla discriminazione di tipo sessuale che 
contraddistingue i processi di selezione del personale da trasferire 
all’estero. La trattazione prosegue con una sintetica analisi di due tra gli 
aspetti maggiormente critici delle politiche di trasferimento internazionale: 
gli ingenti costi delle missioni e le elevate percentuali di fallimento. 
Dall’analisi di questi due ordini di problemi scaturisce l’esigenza di 
illustrare anche, a conclusione del capitolo, le alternative all’espatrio a 
disposizione dell’azienda per evitarli, alternative il cui utilizzo risulta in 
continuo aumento. 
Dal secondo capitolo il raggio di analisi comincia a restringersi, per 
concentrarsi sulle principali difficoltà vissute dagli expatriate nel corso 
delle missioni all’estero. Essendo il punto di vista adottato quello 
dell’expatriate, l’analisi è svolta in ottica individuale e non organizzativa. 
La descrizione è suddivisa in due parti. La prima è dedicata alla fase 
iniziale dell’esperienza estera, cioè alla partenza ed all’inserimento nel 
Paese ospite. Nello specifico vengono descritte le manifestazioni dello 
shock culturale, cioè del disagio psicologico che può essere generato 
dall’incontro con una cultura differente dalla propria, e le tappe del 
processo che porta al superamento dello stesso, definito in letteratura 
processo di adattamento socio-culturale. La seconda parte della 
descrizione si riferisce poi al momento finale del trasferimento, ovvero al 
rientro nel Paese di origine ed ai mesi immediatamente successivi ad 
esso. La fase di rimpatrio risulta essere, dal punto di vista psicologico, 
speculare a quella dell’espatrio. Pertanto oggetto di analisi della parte 
Introduzione 
 
 
9 
conclusiva del capitolo sono il fenomeno dello shock culturale inverso ed 
il processo di riadattamento socio-culturale. Ai disagi di tipo emotivo si 
aggiungono però anche difficoltà di carattere più pratico, che vengono 
descritte nell’ultimo paragrafo e che sono distinte in tre categorie: 
familiari, nel caso in cui la famiglia abbia accompagnato l’expatriate nel 
trasferimento, lavorative, legati cioè al processo di reinserimento 
nell’organizzazione di origine, ed economico-finanziarie. 
Tutti i punti fin qui elencati sono analizzati allo scopo di permettere di 
capire quanto grandi siano i contributi e gli sforzi che le missioni all’estero 
impongono non solo alle aziende, come potrebbe apparire da una 
riflessione superficiale basata solamente sui costi e sui rischi di cui al 
capitolo uno, ma anche agli stessi expatriate. Questa considerazione 
costituisce una sorta di introduzione al capitolo seguente e serve a 
chiarire su quali fondamenti si costruiscono le aspettative degli individui 
nei confronti dell’organizzazione. 
Il terzo capitolo ha infatti per oggetto il confronto tra le aspettative 
individuali e la realtà riguardanti il processo di rientro e l’utilità dei 
trasferimenti internazionali. Inizialmente l’attenzione viene posta sulle 
ragioni che spingono gli expatraite ad accettare un incarico estero e su 
ciò che si immaginano di ottenere nel momento in cui lo intraprendono in 
cambio dei sacrifici che devono affrontare. In particolare i dati dimostrano 
come le speranze risultino legate principalmente ad una rapida 
progressione nei percorsi di carriera e sviluppo. Tali aspettative vengono 
poi confrontate con l’opposta realtà che caratterizza, all’interno di un gran 
numero di aziende, il processo del rientro. I problemi più frequentemente 
citati riguardano l’isolamento da ciò che avviene nella sede centrale e la 
Una fase critica dell’expatriate management: il rientro 
 
10 
mancanza di progettazione a lungo termine del futuro degli expatriate. 
L’analisi continua con l’individuazione degli effetti che questo ampio 
divario tra aspettative e realtà genera e si concentra su due concetti in 
particolare: la rottura del contratto psicologico tra individuo ed azienda e 
la conseguente diminuzione del grado di commitment organizzativo. 
Questi due costrutti vengono esaminati in qualità di mediatori della 
relazione tra la completezza e l’utilità percepita delle strategie di supporto 
al rientro offerte dall’organizzazione ed il tasso di turnover tra i repatriate. 
Quest’ultimo fenomeno è oggetto della parte conclusiva del capitolo e la 
sua gravità è supportata da dati empirici che ne dimostrano l’elevata 
incidenza sulla possibilità di una buona riuscita degli incarichi 
internazionali e di un’efficace sfruttamento da parte delle organizzazioni 
delle competenze internazionali acquisite dalle risorse trasferite. 
Il quarto ed ultimo capitolo della tesi è di carattere più pratico rispetto 
ai precedenti ed ha come principale obiettivo quello di definire, attraverso 
l’analisi incrociata di più contributi della letteratura in materia, quali siano 
le best practices per aumentare le probabilità di successo del rientro al 
termine del trasferimento, vale a dire per fare in modo che gli incarichi 
esteri non siano degli investimenti sprecati ma che consentano alle 
aziende di raggiungere gli obiettivi strategici fissati prima della 
progettazione e dell’avvio degli stessi. Dopo un’introduzione che 
raccomanda alle aziende di non considerare il trasferimento concluso al 
momento del rientro e di includere questa fase nel ciclo dell’assegnazione 
dedicandole attenzione pari, se non superiore, a tutte le altre, si passa 
all’appena accennato argomento centrale del capitolo: le strategie di 
supporto al rientro. Le pratiche che i contributi di diversi ricercatori 
Introduzione 
 
 
11 
suggeriscono all’organizzazione di mettere a disposizione dell’expatriate 
sono suddivise in tre categorie, a seconda del momento del ciclo di 
assegnazione in cui sono da collocare: prima della partenza, durante lo 
svolgimento dell’incarico e nel periodo successivo al rimpatrio. La 
necessaria premessa per un buon rimpatrio è infatti un’accurata gestione 
dell’espatrio e del periodo di svolgimento dell’incarico; pertanto i problemi 
del rientro sono da gestire ancor prima che si manifestino effettivamente 
e, per quanto possibile, da prevenire. Alla descrizione delle strategie di 
supporto al rientro segue un’importante riflessione, e cioè che il 
programma da predisporre non può essere universalmente definito ed 
applicato in modo acritico a tutti gli expatriate, ma deve essere declinato 
a seconda delle peculiarità che ogni singolo trasferimento di volta in volta 
presenta. In particolare gli elementi da valutare in fase di definizione delle 
strategie sono la meta del trasferimento, la durata dell’incarico ed il tipo di 
ruolo che l’expatriate è chiamato a ricoprire durante la sua permanenza 
all’estero. Alle prescrizioni di carattere operativo segue una rapida 
panoramica sui costi che vengono generati da un’inadeguata gestione 
della fase del ciclo di trasferimento in questione. Tra tali costi sono 
presenti sia voci strettamente economiche sia altre che, al contrario, sono 
di ordine strategico. Queste ultime sono legate al mancato 
raggiungimento degli obiettivi prefissati, alla perdita di risorse umane con 
competenze chiave ed all’aumento delle difficoltà di reclutamento di 
expatriate per futuri incarichi internazionali. 
 
 12 
CAPITOLO 1 
 
Introduzione all’expatriate management 
 
 
 
 
Negli ultimi decenni abbiamo assistito a profondi cambiamenti nello 
scenario del mercato mondiale, che hanno fatto diventare rilevante il 
concetto di globalizzazione. Le forze che hanno spinto verso la 
formazione di un mercato globale sono l’evoluzione dei modelli di 
acquisto, ed in particolare l’omogeneizzazione delle scelte dei 
consumatori, e i notevoli sviluppi tecnologici (Levitt, 1983) che, 
consentendo oggi una rapida ed ampia diffusione delle informazioni, 
hanno rivoluzionato il concetto di distanza geografica. 
La capacità di competere in un contesto con queste caratteristiche è 
quindi diventata un fattore critico di successo di grande importanza per le 
aziende che non vogliono essere vittime, bensì protagoniste, di questi 
cambiamenti. 
Tuttavia, adottare la strategia di ampliare le proprie attività al di là dei 
confini nazionali significa, allo stesso tempo, poter sfruttare interessanti 
opportunità, come l’ingresso in nuovi mercati ed il conseguimento di 
economie di scala, e dover affrontare nuove sfide, spesso molto più 
complicate di quelle cui le aziende sono abituate operando nei singoli 
mercati domestici. 
Capitolo 1 - Introduzione all’expatriate management 
 
 
13 
Adler (1983) identifica due fattori di primaria importanza con cui 
devono misurarsi le aziende internazionali, e non quelle domestiche: il 
multiculturalismo, definito come “la presenza di persone con due o più 
background culturali diversi all’interno della stessa organizzazione”, e la 
dispersione geografica, cioè “la collocazione di diverse sussidiarie in 
diversi Paesi”. 
Generalmente il processo di espansione geografica dell’attività 
economica, data la sua complessità, è molto lungo e graduale: all’inizio le 
aziende preferiscono evitare investimenti eccessivi e scelgono soluzioni 
quali la semplice esportazione dei propri prodotti attraverso reti di agenti 
e distributori, oppure l’ingresso nei mercati esteri attraverso accordi di 
licensing o franchising; solo in una fase successiva, per sfruttare appieno 
le opportunità offerte dai mercati internazionali, intensificano i loro 
investimenti costituendo all’estero vere e proprie unità operative. 
La necessità di effettuare investimenti diretti può nascere da diverse 
condizioni di contesto: politiche economiche protezioniste che impongono 
forti barriere all’ingresso; mancata disponibilità di alcune materie prime in 
ambito nazionale, che quindi andrebbero importate; elevati costi di 
trasporto, che rendono più conveniente decentralizzare la produzione 
piuttosto che esportare il prodotto, ed altre ragioni ancora di ordine 
strategico e competitivo. 
Se molti sono i motivi che possono spingere un’azienda all’ingresso 
in mercati esteri, numerose sono anche le modalità attraverso cui farlo: 
costituzione di alleanze, joint-ventures o partnership di altro tipo, o 
processi di fusione e acquisizione. 
A queste complesse strategie di internazionalizzazione è evidente 
Una fase critica dell’expatriate management: il rientro 
 
14 
che si accompagnino nuove esigenze anche dal punto di vista della 
gestione del personale, legate in primo luogo al crescente bisogno di 
mobilità dello staff dell’azienda. Se la gestione delle risorse umane è di 
per sé un’attività critica e complessa, lo diventa ancor di più quando 
inserita in un contesto internazionale, in cui ogni sua funzione 
(reclutamento e selezione, formazione, valutazione, retribuzione, carriera 
e sviluppo) deve tenere conto di nuove variabili, prima fra tutte la diversità 
culturale. 
Le aziende internazionali dimostrano di essere sempre più 
consapevoli dell’importanza che un’efficace ed efficiente gestione delle 
risorse umane riveste ai fini del raggiungimento e del mantenimento del 
successo nell’arena competitiva globale. Ed è probabilmente proprio per 
questa ragione che negli ultimi decenni si è assistito ad un rapido 
sviluppo della ricerca nel campo dell’international human resource 
management. 
Le problematiche che più frequentemente di altre sono oggetto di 
studio sono quelle relative agli expatriate, cioè a quelle persone che per 
un periodo limitato di tempo (solitamente da due a cinque anni) vengono 
trasferite dall’organizzazione per cui lavorano in altre sedi situate 
all’estero. La ragione della forte attenzione verso questo tema può essere 
ricondotta al fatto che una buona gestione dei trasferimenti si rivela 
spesso cruciale per le aziende internazionali, se si considera poi che 
nella maggior parte dei casi gli incarichi assegnati agli expatriate sono di 
grande responsabilità e importanza strategica, e che il fallimento di un 
processo di assegnazione internazionale comporta il sostenimento di 
costi, diretti ed indiretti, molto elevati.  
 
Capitolo 1 - Introduzione all’expatriate management 
 
 
15 
1.1 Le politiche di governo del personale internazionale 
 
Molti studi hanno contribuito negli anni a definire dei modelli di impresa 
internazionale, prendendo in considerazione molteplici fattori di 
differenziazione quali il tipo di rapporto esistente tra casa madre e 
consociate, gli stili manageriali utilizzati, le modalità di gestione delle 
problematiche culturali, il processo di sviluppo internazionale adottato ed 
altro ancora. 
Tra gli altri si distingue Perlmutter (1969), che propone una 
classificazione dei diversi modi attraverso cui un’azienda estesa oltre i 
confini del proprio Paese può operare in modo multinazionale. L’autore 
non considera come predittori della multinazionalità variabili quantitative 
come la percentuale di personale espatriato, la percentuale di 
investimenti oltre i confini nazionali o il numero di manager stranieri che 
hanno raggiunto posizioni di vertice; il focus della classificazione da lui 
proposta è sulla cultura, e il parametro utilizzato è un concetto ampio, che 
racchiude in sé una molteplicità di elementi, strategici e organizzativi: il 
concetto di orientamento o attitudine verso l’internazionalità. Su questa 
base Perlmutter distingue tre tipologie di azienda internazionale:  
 ξ  etnocentrica (home-country oriented); 
 ξ  policentrica (host-country oriented); 
 ξ  geocentrica (world-oriented). 
A queste tipologie corrispondono altrettante strategie competitive, 
strutture organizzative e, ancora più importante ai fini di questa tesi, 
altrettante politiche di international human resource management e di 
staffing del personale internazionale. 
Una fase critica dell’expatriate management: il rientro 
 
16 
Tale classificazione può essere letta in termini di percorso evolutivo, 
anche se il passaggio attraverso ciascuna delle tre fasi, pur essendo un 
itinerario comunemente riscontrato nelle aziende che affrontano la sfida 
dell’internazionalizzazione, non è obbligato, in quanto sono possibili 
inversioni dell’ordine o salti delle fasi stesse. 
 
1.1.1 L’azienda etnocentrica 
 
Alla base del modello etnocentrico sta la convinzione che la cultura 
nazionale del Paese di origine debba essere esportata anche nelle sedi 
estere. E’ quindi proprio allo scopo di adottare stili di direzione uniformi e 
di diffondere un unico sistema di valori che le aziende etnocentriche 
propendono per la copertura delle posizioni chiave, anche internazionali, 
con parent country nationals (PCNs), ovvero con gli expatriates. Questi 
ultimi sono infatti considerati degni di maggior fiducia rispetto a loro 
colleghi di qualsiasi altra nazionalità. Il tasso di rotazione del 
management tra Paese di origine e filiali estere è, in questo tipo di 
aziende, molto elevato, ma il personale trasferito non è spinto ad 
assimilare in profondità conoscenze sui vari contesti locali in cui si trova 
ad operare. 
Alla scelta strategica di utilizzo dei PCNs si associano molteplici 
caratteristiche quali una forte centralizzazione dell’assetto organizzativo 
(le decisioni strategiche vengono prese dalla casa madre mentre le unità 
locali hanno un’autonomia molto limitata), un controllo delle sussidiarie 
mediante standard stabiliti dal centro e un flusso di comunicazione 
prevalentemente top-down. Tutto questo nasce dal fatto che vengono 
Capitolo 1 - Introduzione all’expatriate management 
 
 
17 
ignorate le differenze generate dalle diverse culture locali, nella 
convinzione che se determinate politiche o certe decisioni funzionano 
nella sede centrale, andranno sicuramente bene anche altrove. Ma se da 
un lato l’uniformità culturale costituisce un elemento di forte coesione 
all’interno dell’azienda, dall’altro non permette di sfruttare pienamente le 
opportunità che possono nascere a livello locale. 
Le aziende che adottano il modello etnocentrico sono normalmente 
all’inizio del loro processo di internazionalizzazione ed hanno quindi una 
scarsa conoscenza dei mercati esteri; per questo sono ancora in una fase 
in cui privilegiano l’attività domestica, considerando quella internazionale 
non particolarmente rilevante dal punto di vista strategico. Inoltre, anche 
nelle aziende che hanno già intrapreso il loro percorso di evoluzione 
verso il modello policentrico o verso quello geocentrico, rimangono 
spesso tracce di etnocentrismo, cioè della naturale difesa della propria 
identità culturale. 
 
1.1.2 L’azienda policentrica 
 
A differenza della tipologia precedente, alla base del modello policentrico 
sta la consapevolezza della difficoltà da parte dei manager della casa 
madre di comprendere le culture locali dei Paesi in cui sono situate le 
diverse unità internazionali. Per questo motivo nelle aziende con 
orientamento policentrico si preferisce far ricoprire le posizioni chiave 
delle sussidiarie a host country nationals (HCNs), cioè a manager dei 
Paesi ospite delle sussidiarie stesse. Il rovescio della medaglia è che, 
così come i manager dell’headquarter non vengono assegnati ad unità 
Una fase critica dell’expatriate management: il rientro 
 
18 
estere, allo stesso modo i manager di queste ultime difficilmente potranno 
aspirare ad un trasferimento nell’headquarter. 
L’importanza riconosciuta alle differenze culturali nelle aziende con 
orientamento policentrico è quindi nettamente maggiore rispetto al 
modello precedente, ed è tale da far apparire queste aziende come delle 
confederazioni di realtà organizzative diverse, più che come un’unica 
impresa. 
In particolare, le caratteristiche che contraddistinguono l’azienda 
multinazionale policentrica sono una forte decentralizzazione del potere 
decisionale (le diverse filiali operano in modo quasi indipendente), la 
mancanza di controllo dal centro (gli standard sono definiti a livello 
locale), e un flusso di comunicazioni scarso in tutte le direzioni, sia 
verticale che laterale, dato il basso livello di integrazione. Il controllo delle 
sussidiarie è solo di tipo finanziario e reddituale; per tutti gli altri aspetti la 
sede centrale rimanda totalmente all’autonomia locale, in modo da 
garantire un elevato livello di coerenza tra caratteristiche culturali dei 
singoli Paesi ed elementi quali le politiche di incentivi, i prodotti e i servizi 
offerti e così via. 
Le aziende che adottano il modello policentrico sono normalmente in 
uno stadio abbastanza avanzato del loro processo di 
internazionalizzazione, in cui il business estero riveste un’importanza 
strategica rilevante e la conoscenza dei mercati internazionali è ormai 
buona. 
Se lo sviluppo a livello geografico è sufficientemente ampio, è 
possibile che a questo punto si verifichi un passaggio ad una forma 
particolare di policentrismo: il regiocentrismo.  
Capitolo 1 - Introduzione all’expatriate management 
 
 
19 
In questo modello, ferme restando le principali caratteristiche di 
quello precedente, l’area omogenea di riferimento non è più un singolo 
Paese, bensì uno spazio più ampio che comprende più Paesi con 
caratteristiche culturali affini. 
    
1.1.3     L’azienda geocentrica 
 
La terza tipologia di azienda internazionale individuata da Perlmutter è 
quella geocentrica, caratterizzata dal superamento della distinzione tra i 
diversi contesti nazionali nei quali è presente e dalla scelta strategica di 
operare a livello globale come se esistesse un solo unico grande 
mercato. Questo approccio si riflette ovviamente anche sulle politiche di 
staffing del personale nelle diverse sedi, e si traduce nell’esclusione della 
nazionalità dai criteri di selezione. Da ciò deriva che le posizioni di 
massima responsabilità sono ricoperte da coloro che, indipendentemente 
dalla provenienza, dimostrano di avere le caratteristiche più idonee, siano 
essi parent country nationals, host country nationals, o third country 
nationals (TCNs). Il tasso di rotazione del personale tra le diverse sedi 
torna qui ad essere, come nelle aziende etnocentriche e forse ancora di 
più, molto elevato. Per questo motivo, già dal processo di selezione, è 
opportuno cercare persone disposte a frequenti spostamenti in qualsiasi 
parte del mondo. Inoltre, anche le politiche retributive dovrebbero 
adeguarsi all’impostazione strategica e prevedere incentivi per il 
raggiungimento di obiettivi sia locali che globali. 
Le peculiarità dell’assetto organizzativo delle aziende geocentriche 
sono: un’intensa collaborazione tra headquarter e sussidiarie estere; un 
Una fase critica dell’expatriate management: il rientro 
 
20 
controllo basato sia su standard globali che locali, definiti con la 
partecipazione delle filiali, in modo da creare una contemporanea 
responsabilizzazione del management su due fronti; una comunicazione 
intensa e multidirezionale (verticale dalla sede centrale alle filiali locali e 
viceversa, e laterale tra le diverse filiali).  
Il geocentrismo è l’ultimo stadio della classificazione qui presentata 
ma il suo raggiungimento non è una tappa obbligata, viste le notevoli 
difficoltà gestionali e gli elevati costi da affrontare per adottare questo 
modello. Lo stesso Perlmutter individua tra i costi aggiuntivi generati da 
un approccio geocentrico quelli per la comunicazione tra i diversi nodi, le 
spese di viaggio per i frequenti trasferimenti, l’aumento delle spese per la 
formazione del personale, l’allungamento dei processi decisionali e i costi 
legati all’elevata complessità burocratica. Inoltre, sottolinea come 
problemi da non sottovalutare siano lo stress generato nel personale, 
soggetto a continui spostamenti, e le difficoltà di gestione e pianificazione 
dei percorsi di carriera internazionale. 
La tabella 1.1 sintetizza le principali caratteristiche distintive 
dell’assetto organizzativo legate ai tre modelli presentati (etnocentrico, 
policentrico e geocentrico). 
La coerenza tra tali caratteristiche e le strategie dell’azienda è di 
estrema rilevanza ai fini dell’ottenimento e del mantenimento del 
successo nell’arena competitiva globale. Ai fini di questa tesi, particolare 
importanza riveste la capacità delle aziende internazionali di adattare alle