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''L'evoluzione continua...'' Il management del rischio all'interno del blocco operatorio, secondo il modello di Ishikawa. STUDIO OSSERVAZIONALE

Fin dagli albori dell'umanità esiste la percezione che la medicina persegua il bene ed offra possibilità di cure, ma possa essere potenzialmente dannosa. Una contraddizione in termini che ci offre l'occasione di una più attenta disamina.

L'errore in sanità viene visto come la deviazione di un comportamento diagnostico o terapeutico: l'incapacità di raggiungere un obbiettivo prefissato. È un'insufficienza del sistema, un'azione non sicura, un'omissione con potenziali conseguenze fatali. Spesso può derivare da insufficienze latenti, che restano silenti, finché un fattore scatenante non lo renda manifesto, oppure da un'insufficienza attiva che si traduce in distrazione, negligenza e, quindi, rischio per il paziente.

Fin dall'antichità si affronta il problema dell'errore in ambito sanitario, basti pensare che nel famoso codice di Hammurabi, elaborato nell'antica Babilonia nel 2000 a.C. si leggeva: "… se un medico distrugge un occhio di un aristocratico, sarà tolto il suo occhio…". Si giunge così ai giorni nostri, in cui errori tragici continuano a verificarsi. Si concepisce che il passaggio fondamentale da elaborare risiede nell'attuazione di percorsi di miglioramento della qualità della pratica clinico-assistenziale. Per far ciò bisogna mettere in atto quello che viene indicato come "Put into practice", ovvero "Closing the gap", che si configura in un approccio orientato alla standardizzazione ed al miglioramento dei processi. Le Società Scientifiche, nonché le università (luogo privilegiato della formazione), sono chiamate ad analizzare e comprendere i mutamenti in atto per sviluppare e promuovere nuove risposte, quasi come un impegno fondamentale ed una continua guida per la salvezza del paziente.

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1 ABSTRACT Fin dagli albori dell’umanità esiste la percezione che la medicina persegua il bene ed offra possibilità di cure, ma che possa essere al contempo potenzialmente dannosa. Una contraddizione in termini che ci offre l’occasione di una più attenta disamina. L’errore in sanità viene visto come la deviazione di un comportamento diagnostico o terapeutico: l’incapacità di raggiungere un obbiettivo prefissato. È un’insufficienza del sistema, un’azione non sicura, un’omissione con potenziali conseguenze fatali. Spesso può derivare da insufficienze latenti, che restano silenti finché un fattore scatenante non lo renda manifesto, oppure da un’insufficienza attiva che si traduce in distrazione, negligenza e, quindi, rischio per il paziente. Fin dall’antichità si affronta il problema dell’errore in ambito sanitario, basti pensare che nel famoso codice di Hammurabi, elaborato nell’antica Babilonia nel 2000 a.C., si leggeva: ”… se un medico distrugge un occhio di un aristocratico, sarà tolto il suo occhio…”. Si giunge così ai giorni nostri, in cui errori tragici continuano a verificarsi. Si concepisce che il passaggio fondamentale da elaborare risiede nell’attuazione di percorsi di miglioramento della qualità della pratica clinico-assistenziale. Per far ciò bisogna mettere in atto quello viene indicato come “Put into practice”, ovvero “Closing the gap”, che si configura in un approccio orientato alla standardizzazione e al miglioramento dei processi. Le Società Scientifiche, nonché le Università (luogo privilegiato della formazione), sono chiamate ad analizzare e comprendere i mutamenti in atto per sviluppare e promuovere nuove risposte, quasi come un impegno fondamentale ed una continua guida per la salvezza del paziente.

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