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La valutazione delle rimanenze


Vige con riferimento ai titoli la regola della loro iscrizione al costo, nonché la regola secondo cui, se il costo identificato con uno dei sistemi utilizzati anche per la valutazione delle rimanenze, risulta superiore al valore di presumibile realizzo, è consentita la sua svalutazione per allineamento a quest’ultimo.
Non determinano variazioni nelle rimanenze le cessioni di titoli eseguite nell’ambito di contratti di riporto e di pronti contro termine, i quali prevedono che il cessionario sia obbligato a retrocedere i titoli ad una data prestabilita.
La svalutazione al valore di presumibile realizzo è ammessa esclusivamente per le obbligazioni e titoli similari, individuando detto valore, quando si tratta di titoli negoziati in borsa o in mercati regolamentati italiani e esteri, in base ai prezzi rilevati nell’ultimo giorno dell’esercizio ovvero in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell’ultimo mese.
La svalutazione delle obbligazioni e dei titoli similari assume rilevanza nel calcolo del reddito d’impresa anche quando queste siano iscritte fra le immobilizzazioni finanziarie: in questa ipotesi tuttavia, il loro valore di presumibile realizzo deve essere determinato, se quotati, in base alla media ritmica dei prezzi elevati nell’ultimo semestre. Di riflesso in deroga al generale principio dell’irrilevanza delle plusvalenze patrimoniali soltanto iscritte, le plusvalenze iscritte su questi cespiti concorrono alla formazione del reddito d’impresa, sino a concorrenza delle minusvalenze iscritte dedotte.
La riforma del 2003 ha sottratto al campo dei fenomeni incidenti sulla determinazione del reddito d’impresa le svalutazioni che interessano le partecipazioni, pur quando le stesse, per non essere iscritte tra le immobilizzazioni finanziarie o per altre ragioni, sono pienamente idonee a generare ricavi o plusvalenze/minusvalenze patrimoniali da conteggiare in tale processo. La scelta di rinviare alla realizza e la rilevanza delle perdite manifestate da dette svalutazioni non sembra essere sorretta da alcuna seria giustificazione.
L’Art 94 c. 5 individua gli effetti dell’aumento del capitale sociale mediante passaggio di riserve a capitale, in virtù del quale i soci ricevono gratuitamente le azioni di nuova emissione: in questa ipotesi le azioni ricevute gratuitamente si aggiungono a quelle già possedute in proporzione alle quantità delle singole voci della corrispondente categoria, e il valore unitario di ciascuna azione vecchia e nuova si determina, per ciascuna voce, dividendo il valore complessivo delle azioni già possedute per il numero complessivo delle azioni.
L’Art 94 c. 6  regola poi le conseguenze dei versamenti a fondo perduto o in conto capitale eseguiti dai soci, per stabilire che il loro importo, come l’importo dei crediti verso la società ai quali i soci rinunciano, si aggiunge al valore delle partecipazioni in proporzione alla quantità delle singole voci della corrispondente categoria.
Quinti, mentre nell’ipotesi dell’aumento gratuito del capitale si verificava un incremento nel numero delle azioni o valore complessivo invariato, e dunque una riduzione del loro valore unitario, in questa seconda ipotesi si verifica un incremento del valore complessivo delle azioni senza una variazione del loro numero, e dunque un incremento del loro valore unitario.
Ciò perché i versamenti e le rinunce e i crediti operati a favore della società dai soci rappresentano per costoro degli investimenti aggiuntivi, degli ulteriori apporti, incrementativi del patrimonio sociale ed assimilabili ai conferimenti.
Viene fissata una ulteriore regola speculare a quella pena vista, la quale dispone che le somme e il valore normale dei beni ricevuti dai soci a titolo di ripartizione delle riserve di capitale, rappresentando la restituzione di una parte degli investimenti nella società effettuate dai soci stessi, riducono il costo fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni.
La generale irrilevanza delle svalutazioni interessano le partecipazioni trova ulteriore espressione nell’Art 101 c. 3, laddove, con riferimento alle immobilizzazioni finanziarie costituite da partecipazioni di controllo e di collegamento valutati in bilancio con il metodo del patrimonio netto, si vieta la deduzione dell’eventuale differenza di segno positivo tra il costo di acquisto della partecipazione e il valore della corrispondente quota del patrimonio netto della partecipata. Questo implica che le quote di ammortamento imputate a conto economico dalla partecipante, in ragione di tale differenza, devono essere ripresa tassazione nella compilazione della dichiarazione tramite variazione in aumento.
Regole particolari valgono per le società che adottano i principi contabili internazionali: l’Art 94 al c. 4-bis attribuisce piena rilevanza, nel calcolo dell’imponibile, ai maggiori e minori valori degli strumenti finanziari che non si considerano immobilizzazioni finanziarie.
Più articolata è la disciplina degli strumenti finanziari costituenti immobilizzazioni finanziarie: per le partecipazioni e i titoli assimilati alle azioni vale la stessa indifferenza verso le valutazioni di bilancio che connota la disciplina di questi beni presso le società che utilizzano i principi contabili nazionali; si produce pertanto il medesimo sganciamento dei valori fiscalmente riconosciuti da quelli contabili che si produce presso queste ultime, con l’avvertenza che l’utilizzo del criterio del cervello da parte delle società che adottano i principi contabili internazionali, rende lo stacco tra le due serie di valori assai più netto presso queste società. Per le obbligazioni e titoli similari invece i maggiori e minori valori imputati al conto economico secondo una corretta applicazione dei principi contabili internazionali concorrono a formare l’imponibile.

Tratto da MANUALE DI DIRITTO TRIBUTARIO di Andrea Balla
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