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Trasferimento d’azienda - crediti e debiti

Che cosa significa che l’imprenditore ha un credito o un debito?

I crediti e i debiti, relativi all’azienda, nascono da rapporti contrattuali; il legislatore guarda ai rapporti contrattuali, in cui una delle parti ha già adempiuto, per cui l’imprenditore se ha già consegnato beni o svolto servizi avrà un credito, un corrispettivo, ad esempio l’imprenditore ha consegnato della merce che deve ricevere in pagamento. Il debito è la situazione opposta, in cui l’imprenditore ha ricevuto un adempimento.

Crediti (art. 2559 C.C.)

Quando viene ceduto un credito, il legislatore prevede che chi acquista il credito debba notificare l’avvenuta cessione al debitore, la quale è finalizzata ad inopponibilità della cessione; l’inopponibilità è quella situazione che si ha quando l’ordinamento consente ad un soggetto di ottenere una presunta riconoscenza di un fatto attraverso l’adempimento di uno specifico obbligo. Quindi, si notifica al debitore e nessuno può mettere in discussione l’avvenuta cessione del credito. Sapendo che, in relazione ad un’azienda ceduta ci possono essere n crediti, l’acquirente può iscrivere l’avvenuta cessione nel registro delle imprese. Tutela del debitore: il debitore, se paga all’acquirente dell’azienda, paga bene. Non è messa in risalto la titolarità sostanziale del credito, ossia il debitore può pagare chi è subentrato nell’azienda, ma ciò non significa che tale soggetto può tenersi il corrispettivo, e questo dipenderà da come l’accordo è stato concluso con colui che gli ha ceduto l’azienda.

Debiti (art. 2560 C.C.)

L’imprenditore, cedendo l’azienda, ha fatto credito a un determinato soggetto, il quale non può pensare di sua volontà di liberarsi dal debito, in nessun modo; il trasferimento dell’azienda non implica che l’imprenditore possa pensare di trasferire, liberandosene, dei debiti. Chi acquista l’azienda, assume una funzione dichiarante nei confronti del terzo, del creditore perché risponde dei debiti che risultano dai libri contabili, e ciò è a tutela di chi entra nella gestione dell’azienda.

Usufrutto (art. 2561 C.C.) e affitto (art. 2562 C.C.)

L’imprenditore gestisce l’azienda perché è il titolare dell’attività, ma questo non vuol dire che di tutti i beni ne è il proprietario perché alcuni beni, ad esempio, può averli in locazione (esempio: l’immobile) o in affitto. Trasferire l’azienda significa prendere tutti i beni aziendali e li trasferisco ad un altro, trasferisco i contratti, debiti e crediti che si decide di trasferire; si perde la titolarità di tutto ciò. Quando si trasferisce l’azienda, si cede tutto. L’usufrutto e l’affitto dell’azienda sono due operazioni che, pur ottenendo risultati simili alla cessione, non sono definitivi e non danno all’usufruttuario e all’affittuario una posizione identica per ogni titolare; attraverso queste due operazioni, si trasferisce il potere di cessione di questi beni sui quali si mantiene una titolarità, la quale si esprime nell’azienda nel suo complesso. Io sono il titolare dell’azienda, ma un altro soggetto subentra nel diritto di godere dei diritti di cui io sono titolare. Quindi, abbiamo due forme per realizzare questo risultato: il diritto personale di godimento, ossia il contratto d’affitto, si trasferisce ad un soggetto il diritto di esercitare l’azienda, oppure dare un diritto reale ovvero l’usufrutto, i cui contratti si trasferiscono per la durata sia dell’usufrutto che dell’affitto. La tutela del diritto reale è una tutela valevole erga omnes, mentre la tutela del diritto personale è valevole tra le parti, e in entrambi i casi si trasferisce un diritto di godimento dei beni aziendali. L’azienda è considerata unitariamente dal legislatore, al punto tale da consentire la costituzione di un diritto di godimento e gestione su questo complesso produttivo che coesiste al diritto che ha l’imprenditore di titolarità dell’azienda.  

Segni distintivi

Materia ampia che ricomprende all’interno qualunque segno utilizzato dalle imprese per distinguersi nel mercato; man mano che le imprese hanno cominciato ad avere un giro d’affari e di clientela non propriamente locale ma ampio, per gli imprenditori diventa importante presentarsi, e questa presentazione, questo essere riconosciuti pian piano richiede di aggiungere qualcosa al loro nome. L’imprenditore vuole che i suoi prodotti, la sua azienda siano distinguibili dagli altri per evitare la concorrenza. I segni distintivi sono stati elaborati per individuare l’azienda, beni e servizi dell’imprenditore, e permettere un’identificazione immediati nei rapporti con i clienti e controparti commerciali, come fornitori, banche, ecc. Man mano che l’organizzazione delle imprese diventa sempre più articolata, per l’imprenditore è fondamentale distinguere la sua impresa e che sia conosciuta nel mercato come azienda produttiva, fonte di produzione. Per gli imprenditori è nata anche l’esigenza di tutela da parte dell’ordinamento, tutela da parte di eventuali contraffazioni di alcuni concorrenti. Sono state introdotte norme specializzate che hanno costituito il diritto dei segni distintivi, norme che stabiliscono le condizioni di tutela dei segni e le forme; la tutela che il segno possa assolvere alla sua funzione distintiva, segni che devono essere nuovi, originali e non generici, descrittivi e banali. L’imprenditore deve saper utilizzare questi segni correttamente e non devono essere ingannevoli, imbroglioni. L’ordinamento, tramite varie forme di campione verso i contraffattori, assicura all’imprenditore di fare uso esclusivo di questi segni, la cui esclusiva si ha nel mercato rilevante.

Ditta (art. 2563 C.C.)

La ditta non è un segno distintivo del prodotto; si tratta di un segno distintivo che si muove in una prospettiva più ampia: è il nome dell’imprenditore usato nella gestione d’impresa, su cui vi è l’esclusiva ossia una volta scelta quella ditta è mia, e ciò è confermato dal fatto che la ditta deve avere il cognome o la sigla dell’imprenditore. La ditta può essere trasferita ed identifica il soggetto che possiede un’attività. Se il soggetto vende la sua attività, si può vendere anche il nome; se il nome può passare con l’attività, è più legato all’attività che all’imprenditore, anzi quando l’imprenditore muore si presume che ci sia un trasferimento. Invece, quando c’è un contratto di cessione, anche il nome della ditta viene trasferito. Quindi, la ditta è il nome di un imprenditore che gestisce una certa attività economica con una determinata azienda, e questo è vero che se l’imprenditore cede l’azienda, l’acquirente dell’azienda può anche trattenere il nome dell’imprenditore.
La condizione che il trasferimento della ditta è legato al trasferimento dell’azienda è fondamentale; per il legislatore, il trasferimento è valido nella misura in cui, in virtù del trasferimento dell’azienda, l’uso del segno da parte di un altro soggetto non sarà ingannevole poiché tale soggetto gestirà la medesima attività. La ditta non è un segno usato nei confronti dei consumatori, bensì nel mondo degli affari; è quel nome che si trova nella corrispondenza dell’impresa, nelle lettere, nei contratti ed è quel segno che, mediamente, si usa con altri imprenditori, fornitori, finanziatori, consulenti. Tra la ditta e l’azienda un limite c’è, e questo limite è dato dal fatto che se si trasferisce la ditta, si deve trasferire anche l’azienda perché il trasferimento dell’azienda mi legittima a trasferire contestualmente anche la ditta; è però vero che l’imprenditore può anche tenere la ditta trasferendo l’azienda, e ciò rappresenta una sorta di “anomalia” che fa pensare alla ditta come il nome dell’imprenditore. Trattandosi del nome di un imprenditore che gestisce una certa attività, se l’imprenditore decide di trattenere la ditta quando cede l’azienda, potrà continuare a usare quella ditta soltanto se non sarà recettiva.

Modificazione della ditta (art. 2564 C.C.)

La modificazione della ditta vuol dire che ho il diritto all’uso esclusivo della ditta; i segni distintivi devono possedere il requisito della novità, e la ditta deve avere una certa originalità, deve avere all’interno il cognome o sigla dell’imprenditore. Non si può usare come segno distintivo dell’attività economica la definizione generica dell’attività, il legislatore chiede che la ditta contenga perlomeno la sigla dell’imprenditore. La ditta, oltre ad avere una capacità distintiva, deve essere nuova ossia non deve essere uguale a quella di un altro imprenditore. Se vi è una ditta uguale o simile ad un’altra, l’imprenditore deve fare dei cambiamenti che consentano di identificare chiaramente che le due attività sono diverse. La modifica deve essere sostanziale. Chi copia la ditta, commette un illecito, quindi si ha il diritto di opporsi a tale copiatura, però chi ha copiato non è obbligato a rinunciare definitivamente alla sua ditta, ma la deve modificare in modo sostanziale, affinchè si scongiuri una possibile confusione. Molte imprese usano la ditta anche come marchio, cioè lo stesso segno che costituisce la ditta, viene registrato come marchio oppure registrano come marchio il cuore della ditta, ovvero la sigla o il cognome dell’imprenditore (esempio: Giuffrè Editore, un marchio che incorpora anche la ditta).    

Tratto da DIRITTO INDUSTRIALE di Valerio Morelli
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