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Certificazioni e denominazioni d’origine

La bilancia agroalimentare (BAA)

La bilancia agroalimentare (BAA) è una componente, una sezione della bilancia commerciale di un paese; le voci che vengono classificate all’interno della BAA non sono sempre le stesse. A seconda del paese, alcune voci vi sono incluse o meno e, alcune di queste, possono essere importanti da un punto di vista delle quantità e dei valori. Ad esempio, il commercio di legname, fa parte del settore primario, ma non è strettamente pertinente col settore agricolo; i tabacchi greggi spesso ci sono, poiché si tratta di una produzione prettamente agricola; i tabacchi lavorati fanno parte dell’industria tabacchiera, che non fa parte dell’industria alimentare. Caso opposto sono le bevande, che possono essere incluse all’interno della BAA o meno, in quanto hanno una destinazione alimentare, ma hanno poco o nulla a che vedere col settore primario.
La BAA consiste nella registrazione dei flussi in entrata e in uscita, da un paese verso il resto del mondo, anche con una disaggregazione per aree geografiche di tutte le voci incluse, che possono essere espresse in quantità o in valori; se sono valori, questi sono correnti o costanti nelle diverse unità di misura. Le fonti sono diverse.

L'Istat

Per quanto riguarda l’Italia, l’Istat è la fonte più interessante, perché è estremamente disaggregata, presenta flussi commerciali molto disaggregati a livello di prodotto, ma ha il limite fondamentale che contiene solo l’Italia come paese dichiarante, di origine o destinazione dei flussi, possiede l’esportazione italiana verso tutti i paesi e le importazioni italiane da tutti i paesi, ma nulla ci dice ad esempio su quanto la Francia esporta, per quanto riguarda i vini, nei paesi dove anche l’Italia esporta. Se alcuni dati non sono reperibili sull’Istat, sarà necessario ricorrere a banche dati come l’Eurostat e la FAO, che hanno l’intero quadro del commercio internazionale; c’è anche quella delle Nazioni Unite, che hanno una banca dati online libera molto dettagliata chiamata Contred.

Il saldo normalizzato SN

Utilizzo degli indicatori. Il saldo commerciale di un paese con l’estero (S = X – M) è la differenza tra le esportazioni e le importazioni; la somma di importazioni ed esportazioni si chiama volume di commercio (V = X + M); il rapporto tra il saldo commerciale e il volume di commercio è il saldo normalizzato (SN = S/V  100).
Si tratta di una misura relativa della posizione commerciale di un paese col resto del mondo. Perché relativa? Mentre il saldo commerciale ha un valore che dipende dall’unità di misura che sto utilizzando (si esprime in $, €, ecc.), il saldo normalizzato, rapportando due valori (es. $/$), è una misura relativa, si può esprimere in % ed è più utile del saldo commerciale per fare confronti, sia quando l’unità di misura è diversa con cui si misurano le posizioni commerciali di due paesi, che nella posizione commerciale quando gli aggregati hanno ordini di grandezza differenti. Se si confronta la posizione commerciale della Repubblica Dominicana con quella degli USA, emerge un problema di scala che rende difficile poter capire la posizione commerciale dei due paesi, se è migliore l’uno rispetto all’altro. Usando il SN, è possibile confrontare paesi grandi, piccoli, dati passati con quelli attuali, il comparto dello zafferano col grano.

Importazioni ed esportazioni

Il SN è fondamentale nelle analisi commerciali. Quando è espresso in %, può variare tra 100 e -100. -100 indica una condizione di esclusiva importazione; se un paese importa solo ed esporta 0, il suo SN sarà pari a -100. Viceversa, 100 indica un prodotto di esclusiva esportazione, con le importazioni nulle. Tutte le volte che, il SN di un paese, di un prodotto, assume valori positivi, maggiori di 0, significa che le esportazioni superano le importazioni, e si dice che quel paese o comparto è un esportatore netto; invece, se il SN assume valore negativo (non necessariamente -100), quel paese o comparto è definito importatore netto, perché le importazioni superano le esportazioni. Il SN, pur essendo adimensionale, si costruisce sempre a partire da dati in valore, poiché dati in valore permettono aggregazione di prodotti nei quali le unità di misura sono diverse. Il SN vale 0 quando esportazioni e importazioni sono perfettamente bilanciate, e quindi un SN nullo vuol dire che un paese non è né importatore netto, né esportatore netto. Quando si analizza il commercio di un paese, il valore del SN dell’intera bilancia commerciale, è un indicatore macroeconomico importante, perché fa capire se il paese, nel suo complesso, s’indebita con l’estero o meno. Un saldo attivo o passivo della bilancia commerciale di un paese, è un dato macroeconomico notevole, da cui dipende anche l’apprezzamento/deprezzamento della valuta di quel paese.
L’equilibrio commerciale, complessivo, di un paese ha sviluppi macroeconomici d’importanza cruciale, che può essere determinato da saldi parziali, di pezzi dell’economia, che possono essere in attivo o in passivo, senza che ciò pregiudichi la solidità dei fondamentali dell’economia, e questo dipende da una scelta di specializzazione produttiva del paese. Il SN viene utilizzato anche come indicatore di vantaggi comparati, relativi del paese. Se un paese ha un SN commerciale inattivo per un settore/comparto, vuol dire che ha un vantaggio più efficiente nella produzione di beni che stanno in quel comparto, rispetto agli altri con cui commercia, ma avrà uno svantaggio in qualche altro comparto con saldo commerciale negativo. Miglioramento del SN nel corso del tempo, evoluzione di un comparto con SN prossimo a 0, a una certa scadenza temporale, e dopo 10 anni vede il valore del SN crescere a 20. Che cosa è successo? Il miglioramento del SN è un fatto positivo, le esportazioni del paese o la produzione interna sono più competitive, rispetto altri paesi. Miglioramento dovuto a una crescita delle esportazioni, maggiore rispetto all’incremento delle importazioni. Oppure, le esportazioni sono state ferme, ma le importazioni si sono ridotte, perché la produzione interna è aumentata e, invece di essere stata destinata ai mercati esteri, è stata indirizzata al mercato interno; una parte del fabbisogno interno del paese è stata coperta con la produzione interna. O ancora, la domanda interna per quel bene si è ridotta, e di conseguenza si sono ridotte anche le importazioni. Addirittura, si sono ridotte importazioni ed esportazioni, ma le importazioni di più, poiché il SN è migliorato. Spiegazione dati imp/exp BAA dell’Italia. Tra il 1991 e il 2003 le esportazioni italiane sono passate da 6.3 mld di € a 18.6, si sono triplicate; le importazioni sono molto più alte e sono passate da 17 mld a 26 mld, sono aumentate di 9 mld, che rappresentano un aumento. In termini assoluti, le esportazioni sono aumentate di più (12 mld), sia guardando il valore del flusso, che la variazione %. Le importazioni aumentano leggermente di meno, come valore assoluto del flusso, e sono meno che raddoppiate in termini %. Per effetto di tali variazioni, vediamo che il saldo commerciale era (e rimane) negativo, e si è ridotto da -11 mld a -7 mld. Il SN scende da -46 a -16; -13 nell’2007/08. Miglioramento partito da lontano e continua nel tempo. Risultato non indifferente per un paese strutturalmente deficitario di beni agroalimentari, che ha poca terra agricola, poche risorse da destinare a tale settore. L’Italia, alcune produzioni agricole, le importerà sempre, non potrà non importarle. Le importerà perché c’è una grande domanda interna per il consumo degli italiani, e perché il nostro Paese nel settore agroalimentare e in altri reparti dell’industria manifatturiera, è deficitario di materie prime e si è specializzato nella trasformazione. L’importazione di alcune materie prime è necessaria per alimentare l’industria che trasforma i prodotti e poi riesporta. Uno dei comparti per cui questo è vero, è quello del caffè; l’Italia è un grande importatore di caffè greggio, e anche uno dei maggiori esportatori al mondo di caffè lavorato, perché storicamente è specializzato nella torrefazione. L’Italia importa cacao greggio ed esporta prodotti a base di cioccolata. All’inizio degli anni ’60, il valore del SN era -23, è peggiorato moltissimo negli anni ’70; gli anni ’80 sono stati un periodo di difficoltà, ed è iniziato un cammino non ancora terminato verso il miglioramento del SN. Gli anni ’90 hanno rappresentato un momento di svolta del settore agroalimentare italiano, con l’impatto fortissimo del vino. Il vino rappresenta quasi un ¼ delle esportazioni; le esportazioni di vino italiano nel mondo, negli anni ’80, andarono malissimo. Il nostro Paese iniziò, con ritardo, il processo di adeguamento della propria produzione agroalimentare alle nuove tendenze della domanda. Una delle peculiarità della produzione agroalimentare è data dai tempi lunghi di realizzazione dell’offerta; l’offerta di beni alimentari non può prescindere dai tempi biologici della produzione delle materie prime. Il vino ne è un buon esempio. Proviene da una pianta arborea, che richiede anni per sviluppare il suo potenziale produttivo. Anche nel campo della zootecnia, gli animali hanno dei loro cicli pluriennali. L’offerta agricola ha dei tempi lunghi per realizzarsi, un fattore d’inerzia rilevante. La domanda è capricciosa, cambia da un momento all’altro, e c’è sempre questa difficoltà a stare dietro alle sue tendenze. Alcuni indicatori ci aiutano a capire qual è l’importanza dei mercati esteri per un settore produttivo; semplici indicatori che confrontano dati interni, produzione interna con imp/exp, oppure produzione interna con i consumi, e permettono di valutare quanto sono fondamentali i mercati esteri per il comparto all’interno del paese.
Ad esempio, il grado di autoapproviggionamento confronta il valore della produzione interna, aggregata o fatta per un prodotto specifico, con il valore dei consumi. È la capacità della produzione di coprire i consumi interni. La propensione a importare è il rapporto tra importazioni e consumi; viceversa, la propensione a esportare è il rapporto tra esportazioni e produzione interna. Il grado di apertura commerciale confronta il volume di commercio, con produzione e consumi interni. Ci dice quanto un sistema produttivo, un comparto o un settore di un paese, è aperto rispetto all’esterno. I dati interni di produzione e consumo sono messi in relazione con i dati di scambio (esportazione e importazione). Queste grandezze derivano da dati di contabilità nazionale, e consentono di fare confronti indicativi che vanno presi con le molle. Confronti che danno indicazioni affidabili quando guardiamo come varia il valore di ciascun indicatore nel tempo. Il valore dei consumi alimentari è calcolato su quello che le famiglie spendono, quando fanno la spesa di beni alimentari. La produzione è calcolata ai prezzi di base, come valore che, dalle imprese del settore primario, arriva sul mercato all’ingrosso. C’è sempre una differenza tra questi due valori, perché di mezzo c’è l’intermediazione commerciale. Esistono alcuni comparti, all’interno del settore agroalimentare, che sono di forte esportazione per l’Italia; altri comparti, invece, sono forti importatori. Concetto chiave è il livello di competitività di un prodotto del nostro sistema paese: possiamo essere più competitivi? Possiamo fare meglio di quello che stiamo facendo? Possiamo produrre a costi più bassi di quanto fanno i nostri concorrenti? Possiamo migliorare la qualità? Possiamo allargare le nostre quote di mercato? Possiamo spuntare dei premi di prezzo significativi che remunerino meglio le nostre risorse? Il comportamento delle diverse voci che compongono la BAA. La disaggregazione all’interno della BAA, può essere fatta con diversi criteri. Uno di questi è quello merceologico, come si comportano singoli prodotti; si può adottare anche un criterio industriale, che guarda al comparto, all’insieme delle imprese che concorrono a produrre certi beni, aggregare le fasi che compongono un’intera filiera, e vedere in che misura quella filiera importa ed esporta materie prime, semilavorati, prodotti finiti. Altro criterio è isolare il Made in Italy dell’agroalimentare italiano, ossia individuare i prodotti importanti per le esportazioni italiane.
Altro criterio è la bilancia rigida. Consiste nell’insieme dei flussi commerciali di tutti quei prodotti, che non possono essere prodotti nel paese; è difficile agire su quelle voci, poiché non c’è possibilità di sostituire un prodotto importato con un prodotto realizzato in Italia (es. caffè greggio o legname). Qual è il senso di isolare tutte queste diverse componenti, aggregare insieme singole voci? Capire come si determina un certo andamento del saldo di tutta la BAA in aggregato. Il criterio del Made in Italy, applicato per le prime volte negli anni ’90, analizzando l’andamento del commercio agroalimentare negli anni ’80, ha evidenziato per la prima volta che, il peggioramento della BAA negli anni ’80 era dovuto al fatto che stavano andando male le esportazioni dei prodotti per i quali avremo dovuto essere più competitivi, quelli del Made in Italy.

Tratto da ECONOMIA DEL SETTORE AGROALIMENTARE di Valerio Morelli
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