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Agricoltura, industria ed economia

Il conto terzismo

Altro aspetto che si sviluppa in questo periodo, soprattutto negli anni ’80, è il conto terzismo. È la pratica di utilizzare, nelle aziende agricole, macchinari che non sono di proprietà, non fanno parte stabilmente e strutturalmente del capitale investito nell’azienda, non sono di proprietà di una cooperativa se, eventualmente, l’impresa agricola di cui si parla, è associata ad una cooperativa che eroga anche servizi, ma sono macchinari di proprietà o di altre aziende agricole o di imprese specializzate nel conto terzismo, ossia imprese che posseggono macchinari che utilizzano su terreni di terzi. Il conto terzismo è stata una vera e propria innovazione, di tipo organizzativo, nell’agricoltura italiana, la cui ragion d’essere sta nelle piccole e piccolissime dimensioni della maggior parte delle imprese agricole, che non operano una scala adeguata per potersi permettere di utilizzare, immobilizzare capitali consistenti, che possono raggiungere facilmente l’ordine di grandezza di alcune centinaia di migliaia di €uro, e sarebbero impiegate in maniera molto inefficiente perché, su imprese di pochi ettari di terreno, questi macchinari lavorerebbero per poche ore/giorni all’anno, avrebbero un’incidenza sproporzionata sui costi di produzione di queste imprese, in termini di costi unitari. Questi capitali verrebbero ammortizzati in un orizzonte temporale talmente lungo, da non consentire una adeguata modernità del parco macchine dell’aziende. Il conto terzismo, quindi, nato sotto la spinta di questa forte esigenza, meccanizzare i processi produttivi anche nelle imprese molto piccole, ha consentito un recupero forte di efficienza e di competitività di queste imprese, ed ha permesso un ritmo di adozione dei macchinari che, con caratteristiche nuove e migliori, via via venivano introdotti sul mercato italiano, ha un ritmo maggiore di quello che avrebbe avuto in assenza di questa modalità. Il conto terzismo, oltre a utilizzare macchine in conto terzi, ha un vantaggio per le imprese in termini di trasformazione di un costo fisso (possesso della macchina) in un costo variabile, la macchina in conto terzi prevede una tariffa di noleggio.
L’agricoltura è un settore fortemente esposto all’alea climatica, così come il settore turistico.
Si tratta di un aspetto di peculiarità e di fragilità dell’agricoltura, che s’aggiunge all’alea che riguarda tutte le imprese economiche, cioè l’alea di come va il mercato. Le imprese agricole temono fortemente gli elementi dai quali può derivare una variabilità dei propri risultati economici, in particolare è importante la trasformazione da costo fisso in costo variabile. Il conto terzismo ha consentito di aggirare queste limitazioni strutturali delle imprese di piccole dimensioni, sotto diversi aspetti: abbattere i costi unitari di produzione, ridurre il rischio di incorrere in perdite (trasformando il costo fisso in variabile), dare un elemento di maggiore flessibilità e riuscire ad utilizzare, riducendo i tempi dell’ammortamento, macchine più moderne. Mediamente il parco macchine, operante nell’agricoltura italiana, ha subito un’accelerazione nel processo di rinnovo grazie al conto terzismo. Il conto terzismo è stato un’innovazione importante, si è esteso moltissimo ed ha assunto anche tante facce, a seconda delle specificità dei singoli settori e dei diversi territori. In alcuni casi, si è trasformato così tanto da diventare una forma alternativa di gestione delle imprese agricole in toto; l’evoluzione estrema del conto terzismo è l’agricoltura per telefono, dove il vincolo dimensionale delle piccole imprese agisce sia sul parco macchine che su altri aspetti della vita dell’impresa, limitandone l’efficienza e la competitività. Elemento importante è il modo di stare sul mercato: un’impresa piccola sta sul mercato in condizioni di debolezza contrattuale, se interagisce con partner commerciali più concentrati, né subisce il potere di mercato. Quando le imprese sono tante in un mercato, l’equilibrio di mercato, cioè le condizioni alle quali avvengono gli scambi, le condizioni di prezzo e quantità, sono determinate dal agire simultaneo degli agenti economici; non c’è nessuno che in termini individuali, singoli, riesca ad esercitare un’influenza quando il mercato è perfettamente concorrenziale. Viceversa, quando ci sono pochi agenti sul mercato, dove non si può dire a priori quanti sono pochi o tanti, e ciò dipende dalla numerosità e dimensioni relative delle due controparti, quando una delle due controparti è più concentrata, quest’impresa nella contrattazione ha più possibilità di influenzare, a proprio vantaggio, le condizioni dello scambio, per effetto della ridotta concorrenza, meno operatori che cercano di aggiudicarsi un certo spazio di mercato.
Le piccole e piccolissime dimensioni delle imprese agricole sono un fattore di estrema debolezza, anche quando queste imprese si pongono sul mercato per acquistare fattori della produzione, interfacciandosi con i settori a monte, così come quando si pongono sul mercato finale delle loro materie prime, dei prodotti che vendono. Sono un fattore di debolezza anche nella gestione dei processi, nei rapporti della PA, nell’adozione di progresso tecnico. Il conto terzista, in alcune realtà importanti, ha ben presto esteso la sua partecipazione al processo produttivo, al di là della semplice gestione di alcune operazioni meccanizzate; il conto terzista, ad esempio, entra in azienda per fare la mietitrebbiatura del grano, lo sfalcio dei prati che devono dare foraggio per l’allevamento o per fare l’aratura, alcune operazioni che sono fortemente meccanizzate. Entra in azienda ma, in virtù del fatto che opera in tante aziende di una certa zona, ha una conoscenza per esempio delle diverse varietà di sementi che vengono utilizzate al momento della semina, o di una modalità di aratura più adatta per un tipo di terreno che si trova in certi appezzamenti di quella zona, conosce meglio le condizioni del mercato per un certo concime. Proprio perché entra contemporaneamente in più aziende, ha uno sguardo più ampio, più dall’alto dei processi produttivi, così come del mercato. Comincia col dare qualche dritta all’agricoltore, ma ben presto comincia ad entrare in azienda in più momenti del processo produttivo nel corso dell’anno. Può succedere che, il proprietario dell’azienda è un partimers, sta lavorando anche in un altro settore e può avere difficoltà a trovarsi sempre presente in azienda, quando c’è bisogno di fare qualcosa. Comincia a delegare il terzista, una persona nota, della quale può raccogliere preferenze in giro, può capire se c’è da fidarsi o meno; cresce rapidamente nel corso degli anni ‘80 la figura del terzista che diventa quasi un imprenditore puro, perché gestisce l’intero processo produttivo, assumendosi insieme al proprietario terriero il rischio d’impresa poiché va a commercializzare anche il prodotto. Svolge una serie di funzioni sempre più ampie, avvolte presta capitali all’imprenditore, sino al caso estremo dell’agricoltura per telefono. Il proprietario terriero abbandona le funzioni d’imprenditore agricolo e diventa un puro percettore di rendita, la quale è legata alla terra e al fondo, gestita dal terzista, realizzando quelle economie di scala che, se si guarda solo alla struttura proprietaria, gli aspetti fondiari della nostra agricoltura, non vediamo.
Questo è stato un modo per aggirare, in parte, questo terribile vincolo strutturale. Conto terzista che nasce come uso di macchine non di proprietà, ma si sviluppa velocemente in questa varietà di forme. In alcuni casi, il terzista fa da consulente per quanto riguarda i rapporti con la PA, aiuta l’imprenditore a fare le pratiche. Il terzista sopperisce anche a una funzione d’azione collettiva che, in Italia, svolgono poco rispetto ad altri paesi, le cooperative. Quest’ultime, in particolare nei settori agricoli, nascono con l’obiettivo di fare aggregazione di piccole imprese, per accrescere la scala produttiva, svolgere con più efficienza fasi del processo produttivo che all’interno dell’azienda avvengono in modo inefficiente oppure non possono avvenire, rafforzare la posizione sul mercato degli agricoltori sul fronte dell’acquisizione dei fattori produttivi o vendita dei prodotti, acquisire quote maggiori del valore aggiunto del prodotto finale, fare la trasformazione del prodotto. Le cooperative sono cantine sociali, nel settore vitivinicolo, latterie sociali che raccolgono il latte, hanno il caseificio e lo trasformano, frantoi sociali, e cooperative nel settore dell’ortofrutta. In Italia, contrariamente ad altri paesi europei, la cooperazione si sviluppa poco.

L'agribusiness

Un altro di quei processi che prende avvio negli anni ‘70/’80 è l’integrazione forte dell’agricoltura nel cosiddetto agribusiness. In quel periodo le singole filiere di produzione sono composite, lunghe, fatte di tanti soggetti che intervengono, filiere che oggi definiamo opache, poco trasparenti, molto complesse. I percorsi che intraprendono le materie prime, i semilavorati, fino ad arrivare al prodotto finito, sono tortuosi e poco efficienti, perché quando tanti operatori e intermediari commerciali intervengono nella formazione di un prodotto, ognuno trattiene un pezzettino di valore aggiunto, e il prodotto finito ha un prezzo più elevato di quello che potrebbe avere se, a parità di tutte le altre condizioni, ci fosse quella che si chiama una razionalizzazione del processo della filiera. Questo processo d’integrazione dell’agricoltura, nell’agribusiness, sia a causa della grande frammentazione delle imprese agricole e del settore manifatturiero alimentare, che a causa dello scarso sviluppo della cooperazione, è un po’ incompleto e non sofisticato.
È un’integrazione che non si sviluppa secondo i canoni di modernità che assume in altri paesi, come Francia e Olanda; negli altri paesi europei, invece, l’integrazione dell’agricoltura nell’agribusiness è stata governata, dominata dall’industria, il principale cliente dell’agricoltura che, in quel periodo, produce sempre più materie prime agricole, sempre meno beni per il consumo finale. Industria che ha dimensioni sufficienti e capacità organizzative, competenze tecniche sul fronte dell’innovazione, e diventa un cliente che con l’agricoltore stabilisce rapporti stabili nel tempo, con contratti pluriennali di fornitura, impartisce direttive, esprime una domanda relativa alle caratteristiche del prodotto finito ma anche del processo produttivo, puntuali e determinate, perché la materia prima agricola che deve essere lavorata dall’industria, è una materia prima che deve avere caratteristiche specifiche: pezzatura dei prodotti, grado di maturazione, consistenza del prodotto, tempi di consegna, garanzia di fornire almeno certi quantitativi, sono aspetti fondamentali per l’industria.

Agricoltura e industria

Negli altri paesi europei, agricoltura e industria di trasformazione si connettono stabilmente e sulla base di contratti che esplicitano dettagliatamente le condizioni che prodotti e processi devono rispecchiare. Ciò da garanzia di sbocco dell’agricoltura, imbriglia l’agricoltore in un’attività all’interno della quale l’agricoltore ha meno margini di manovra per operare, non è un imprenditore che genera un prodotto finito e cerca di venderlo sul mercato perché l’ha prodotto al suo meglio, ma l’ha prodotto secondo quanto la sua capacità imprenditoriale gli diceva che in quel momento era meglio fare. Industria definita anche agricoltura industrializzata, ossia diventa un pezzettino di un processo più complesso e deterministico, come avviene in una catena di montaggio nell’industria. Entrano certe componenti con certe caratteristiche, trasformate in modo preordinati e pre certificati, e quello che esce si sa già ciò che sarà. Quelli sono gli anni dell’industrializzazione forte dei processi; l’agricoltura perde le sue prerogative d’imprenditore, perde parte della propria autonomia, ma l’essere inserito in questo contesto d’integrazione forte, al tempo stesso, da garanzia di sbocchi per la produzioni. Il fatto che l’agricoltura italiana resti un po’ ai margini, o persegua dei modelli d’integrazione parziali, implica che i sbocchi non sono sicuri, a meno dei settori fortemente protetti dalla PAC che, in quegli anni, per la cerealicoltura e prodotti zootecnici continentali (es. zootecnia bovina), forniva garanzia di sbocchi, garantiti sul piano politico, tanto è vero che tutte le eccedenze venivano ritirate dal mercato e stoccate.
Sbocchi di mercato soprattutto per i settori dell’agricoltura italiana (es. l’ortofrutta), dove questa garanzia degli sbocchi non c’era, e una parte importante dei possibili sbocchi di mercato per i nostri prodotti veniva spiazzata dalla concorrenza dell’agricoltura di altri paesi, che meglio della nostra agricoltura era in grado di integrarsi con le esigenze della fase industriale. Si sviluppano i primi semi di debolezza della nostra competitività internazionale, debolezza sui mercati esteri e su quello interno, perché alcuni settori dell’industria alimentare italiana sono andati a cercare rifornimenti di materie prime in altri paesi, perché negli altri paesi la minore frammentazione metteva l’agricoltura in condizione di corrispondere meglio a quella esigenza contrattuale. Nella seconda fase, comincia ad avviarsi in modo consistente un processo forte di diversificazione dei consumi alimentari; nel periodo precedente c’è un aumento dei consumi in termini quantitativi e un cambiamento d’importanza nelle diverse categorie di alimenti, la dieta cambia e inizia a cambiare già in quel periodo, ma s’accentua molto negli anni ‘70/’80, cambia la natura degli alimentari perché, con il cambiare degli stili di vita e il ridursi del tempo a disposizione per la preparazione e consumo dei cibi, c’è forte domanda di incorporare servizi negli alimenti. L’agricoltura, da settore produttore di alimenti, diventa nettamente settore produttore di materie prime, e c’è bisogno della trasformazione industriale di fasi successive di lavorazione affinchè queste materie prime agricole, diventano alimenti semilavorati o pronti per il consumo, conservabili e trasportabili. Dal canto suo, l’industria alimentare cresce enormemente d’importanza, diversifica le proprie produzioni e c’è un’esplosione nella varietà dei consumi alimentari. Si delinea l’ultimo periodo a partire dai consumi alimentari. Nel frattempo sta cambiando la composizione della popolazione italiana, di cui buona parte sono utilizzatori finali di questi prodotti, una parte importante dei prodotti viene esportata ma la maggior parte della produzione è consumata all’interno dei confini nazionali. Il boom demografico diventa un ricordo antico e s’assiste ad un invecchiamento progressivo della popolazione.
Il reddito continua a crescere lentamente, l’Italia è diventata a tutti gli effetti un’economia industriale matura e, a seguire, un’economia post industriale, dove i servizi hanno un ruolo importante, gran parte della popolazione è attiva nel settore dei servizi, una popolazione con livelli d’istruzione elevati, la durata dell’istruzione s’allunga progressivamente, cresce il numero di coloro che fanno studi universitari, le donne entrano nel mercato del lavoro, e questo porta a forti conseguenze in termini di consumi alimentari. In quest’ultimo ventennio, i consumi fuori casa sono alti e i consumi alimentari si frammentano moltissimo; non solo fasce diverse della popolazione hanno abitudini alimentari diverse, ma ognuno di noi in momenti diversi della propria vita, ha esigenze fisiologiche e stili di vita che comportano necessità di consumare cose diverse. Ciascuno di noi, ad esempio, durante le vacanze ha un modo di alimentarsi diverso rispetto ai momenti di lavoro. Si apre un mercato potenziale enorme per chi si occupa di produrre alimenti, c’è una dialettica tra tipico e globale, tra tradizionale e innovativo, che rende molto complesso il compito di corrispondere a una domanda ricca e varia, piena di istanze non prive di contraddizioni, spesso inconsapevoli da parte di ognuno di noi. In quest’ultima fase temporale, l’agricoltura cambia ulteriormente il ruolo all’interno della società italiana, acquisisce più visibilità rispetto ai decenni precedenti, ed è caricata di tutta una serie di valenze positive importanti. Ciò avviene per una serie di motivi: abbiamo le trasformazioni della società di natura economica, che hanno a che fare con la struttura urbana del nostro paese, perché gli elementi di congestione iniziale nel periodo precedente si fanno più forti, e cresce la consapevolezza delle persone di tali problemi, già iniziati negli anni ‘70/’80, ma la loro percezione era appannaggio di limitate frange della popolazione. In quest’ultimi vent’anni, invece, diventa patrimonio comune di tutti, i problemi ambientali, l’inquinamento di congestione e sovraccarico ambientale, al settore primario nel suo insieme (agricoltura e spazi verdi ricreativi) è assegnato il ruolo fondamentale di assorbire tutte le valenze negative, rendere alle persone che vivono nell’ambiente condizioni di maggiore vivibilità. Primo aspetto importante accompagnato, in Italia e in Europa, dal radicale cambiamento d’orientamento delle politiche a sostegno del settore, riducendo il canale del mercato come modo per sostenere il settore primario, e si orienta sempre più nel valorizzare e compensare economicamente l’agricoltura per servizi di tipo sociale e ambientale.

Industrializzazione dell’agricoltura

Il termine di multifunzionalità dell’agricoltura nasce da tale cambiamento d’ottica con cui si guarda al settore primario, si chiedono tante cose nuove esplicitamente all’agricoltore, laddove all’alba del processo di industrializzazione dell’agricoltura, il settore svolgeva implicitamente alcune funzioni. Assieme a tante virtù o conseguenze positive che il processo di mercantilizzazione dell’agricoltura ha comportato, ci sono state distorsioni generate e che si tenta di recuperare tramite l’intervento regolatore del soggetto pubblico. C’è una riscoperta di quello che l’agricoltura può dare in termini di qualità della vita, attraverso servizi ricreativi, come l’agriturismo, attività connesse al tempo libero, attività sportive oppure servizi di natura sociale, attività d’inserimento lavorativo che avviene in alcune aziende agricole di soggetti svantaggiati a vario titolo per problemi di salute o disagio sociale, l’inserimento in attività di anziani, fattorie didattiche e funzioni di conservazione di elementi della cultura tradizionale dei luoghi. Elementi fondamentali in un paese come l’Italia, che offre una varietà straordinaria di ambienti fisici, culturali, storici, le diverse tradizioni contadine e gastronomiche. L’agricoltura è vista come guardiana del paesaggio, custode della biodiversità, funzioni delle quali non si parlava fino a un decennio fa e attualmente sono sotto gli occhi dei cittadini, consumatori e amministratori; ciò ha cambiato e sta continuando a cambiare il ruolo affidato all’agricoltura, le funzioni che le aziende agricole possono svolgere e dalla quali possono trarre fonti di reddito. Un elemento forte di generalità, riguardo a questa parte introduttiva storica, è il declino dell’agricoltura che accompagna lo sviluppo economico. Questo accade sempre, in qualsiasi paese. Se c’è crescita economica, pensando a un fenomeno di lungo periodo, c’è declino dell’agricoltura. Se si pensa ad un’economia, al suo momento, zero, andando indietro di un paio di secoli, si trova un’economia sostanzialmente agricola, quelle economie dove c’è poca crescita economica e c’è poco altro oltre all’agricoltura. Il momento del decollo della crescita economica è un momento in cui, le risorse presenti in un paese sono sufficienti a sfamare tutte le bocche delle persone presenti in quel paese, e una parte può essere distolta dall’agricoltura e investita in altri settori.
Cresce l’industria, i servizi e, per definizione, declina l’agricoltura, laddove questo declino è relativo, l’agricoltura non si riduce in senso assoluto, bensì si riduce in termini di importanza relativa. Quando un’economia cresce, l’importanza del settore primario si riduce, nonostante la crescita economica porti con sé anche una crescita in senso assoluto della produzione primaria. Si definisce la crescita economica come la crescita del PIL pro capite nel corso del tempo; il PIL è la misura della ricchezza prodotta in un arco di tempo, in un ciclo produttivo convenzionalmente di un anno, all’interno di un Paese. È il reddito generato da tutti i processi produttivi attivati nel Paese, e può essere distribuito per remunerare tutte le risorse che hanno contribuito alla generazione di questo reddito. Si misura in termini pro capite, riferito alla popolazione presente, dividendo il PIL generato nel Paese sulla popolazione. Quando si guardano archi temporali lunghi o brevi, ma il sistema dei prezzi non è stabile, perché siamo in presenza di inflazione, il sistema dei prezzi è l’unità di misura che permette di sommare insieme le infinite e diverse cose che si producono in un’economia, largamente imperfetta poiché cambia di valore, e per minimizzare gli effetti di tali cambiamenti quando si guarda alle variazioni del PIL nel corso del tempo, si vuole depurare questa misura dall’effetto di variazione dei prezzi dell’economia, utilizzando un sistema dei prezzi fittizio, si mantiene costante. Si cambiano le quantità, ma il valore unitario rimane fermo. La crescita economica è misurata dalla variazione in due momenti di tempo del PIL pro capite misurato a prezzi costanti. Come si misura il ruolo dell’agricoltura all’interno di un’economia? Solitamente è misurato in diversi modi, ma il più importante è la quota di reddito del sistema economico, generata nel settore agricolo.

Il settore agricolo nell’economia italiana

Quanto è importante il settore agricolo nell’economia italiana?
Genera il 5% del PIL.
PLV indica il Prodotto Lordo Vendibile, misura semilabile al fatturato del settore; in alternativa è utilizzato il Valore Aggiunto (VA), il confronto tra il VA e il PIL. Questo è l’indicatore più corretto, perché il PIL è la somma di valori aggiunti dei processi produttivi, generati in agricoltura, soltanto che in agricoltura non sempre è disponibile il dato sul valore aggiunto.
Qual è la differenza tra produzione lorda vendibile e VA? Il VA è depurato dal valore dei consumi intermedi; è uguale alla produzione lorda vendibile, al valore della completa produzione generata dall’agricoltura al netto dei consumi intermedi, delle spese per i mezzi tecnici di produzione, per tutti i fattori variabili acquisibili dalle aziende agricole sul mercato (es. concimi, antiparassitari, acqua, energia elettrica). Altro modo per misurare il peso dell’agricoltura all’interno dell’economia, è farlo in termini di tutti gli occupati dell’economia italiana. Quanti sono impiegati in agricoltura? I due 2 indicatori si possono utilizzare insieme, non sono identici a causa della diversa produttività del lavoro in agricoltura e negli altri settori. Il peso dell’agricoltura, in termini di occupati, è maggiore rispetto al peso dell’agricoltura, che si ottiene facendo il rapporto della ricchezza prodotta (agricoltura e totale dell’economia), perché la produttività dei lavoratori agricoli è minore della produttività degli occupati negli altri settori. Dalla combinazione di questi 2 indicatori, si ricava il terzo indicatore che è un rapporto tra le produttività, produttività del lavoro in agricoltura su produttività del lavoro negli altri settori; indicatore usato per valutare l’importanza dell’agricoltura rispetto al resto dell’economia. Altro indicatore è il rapporto tra i prezzi agricoli e non agricoli, definito Ragione di scambio o Forbice dei prezzi. Perché questo rapporto ci dice qualcosa del rapporto che c’è in un’economia, tra l’agricoltura e gli altri settori dell’economia? I prezzi agricoli tendono a declinare in termini relativi, crescono meno dei prezzi degli altri settori. C’è un peggioramento della ragione di scambio, e ciò è dovuto a diversi fattori: la produttività e le condizioni di maggiore frammentazione, concorrenza che esistono all’interno del settore agricolo rispetto ai settori fornitori di input per l’agricoltura e ai settori acquirenti, fa si che i prezzi agricoli sono più bassi, sono più schiacciati sul livello del costo di produzione. Nel settore agricolo non si fanno profitti, le imprese sono piccole, non hanno potere di mercato e subiscono le condizioni di prezzo delle controparti. Altro motivo è che il settore agricolo, man mano che l’economia si sviluppa e il reddito delle persone cresce, è un settore che produce materie prime e non beni finali, e i prezzi dei beni finali hanno una maggiore disponibilità a pagare del consumatore finale.
Questo perché, anche il consumatore finale è atomizzato, un partner commerciale piccolo, non ha potere di mercato come l’agricoltore. Spiegazione grafico slyde. Le osservazioni sono disposte ad angolo retto lungo gli assi. Sull’asse dell’ascisse, si misura l’importanza relativa dell’agricoltura rispetto all’intera economia nei diversi Paesi del mondo; si misura il VAagr sul PIL (in inglese GDP). Sull’asse dell’ordinate c’è il PIL pro capite. Sulla destra abbiamo alti valore di GDP generati dall’agricoltura, sono paesi molto agricoli (es. Etiopia, Sudan, Paraguay, ecc.). I paesi che si trovano a destra dell’asse, stanno molto in basso lungo l’asse dell’ordinate, che misura la ricchezza del paese. Ci sono paesi meno poveri, a medio reddito, come Egitto, Argentina, Brasile, Grecia, Spagna, ecc. Ci sono paesi più ricchi del mondo, dove in termini % l’agricoltura conta pochissimo, e questo non ha niente a che vedere con il ruolo in termini assoluti dell’agricoltura. Ad esempio, l’agricoltura USA è una delle più importanti del mondo e lo è ancor di più, in termini di valore della produzione, rispetto all’agricoltura del Congo. Tale grafico mi fa vedere, a un dato momento di tempo, la situazione di paesi a diverso livello di sviluppo e come cambia il ruolo dell’agricoltura.

Tratto da ECONOMIA DEL SETTORE AGROALIMENTARE di Valerio Morelli
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