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La tesi del giorno

La discriminazione lavorativa

La discriminazione lavorativa L'impegno del governo di promuovere la parità di salario tra uomo e donna verrà approvato entro dicembre 2016. Il provvedimento proposto dall'Italia dei Valori, è stato approvato all'unanimità in commissione Lavoro del senato. Le statistiche dimostrano che le donne percepiscono uno stipendio di circa il 20% in meno rispetto agli uomini. Rispetto alle cittadine dell'Unione Europea, le donne italiane si trovano svantaggiate su questo fronte, perché spesso sono costrette a dover conciliare l'attività lavorativa con quella familiare, non sentendosi del tutto compensate per il proprio impegno. Le aspettative a riguardo sono più che positive, si spera infatti di poter finalmente abbattere quel divario che da sempre ha separato l'uomo dalla donna in ambito lavorativo, e di riconquistare quell'autonomia tanto cercata e conquistata dalle donne.

Il principio discriminatorio non viene contemplato dalla nostra Costituzione, la quale si ravvede bene di tutelare i lavoratori, e in particolare le donne in ambito lavorativo, anche se spesso nella realtà dei fatti ciò non accade.

Il dott. Davide Terminella nella sua tesi "Il lavoro femminile e la tutela giuridica delle lavoratrici madri", tratta il tema del lavoro femminile, e cita l'articolo della costituzione che chiarisce il principio discriminatorio.

"Il principio di non discriminazione tra uomini e donne davanti alla legge sancito nell’art. 3, comma 1, Cost. trova applicazione pure nello specifico campo lavorativo, dove acquista particolare rilievo l’art. 37, comma 1, Cost., secondo cui “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano ai lavoratori. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione”.

"In Italia il principio di pari opportunità nell’ambito lavorativo ha trovato un primo riconoscimento con la legge 10 aprile 1991 n. 125, rivolta a favorire gli interventi promozionali diretti esclusivamente alle donne e finalizzati a valorizzarne le capacità professionali per creare l’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro."

Questo il punto di partenza, da cui scaturiscono problemi e lotte per poter godere di quei diritti spesso dimenticati o ignorati, per cui nascono spiacevoli situazioni che vedono le donne in una posizione di svantaggio rispetto all'uomo.
Il problema dell'inserimento femminile nel lavoro, è un problema che esiste da sempre, le donne vengono infatti considerate un passo indietro rispetto agli uomini, e di conseguenza i ruoli svolti e le cariche sono differenti. Tutto ciò grava anche sul salario percepito, che dovrebbe essere ottenuto in base alla carica svolta, ma ciò non sempre avviene nel modo più corretto, diventando oggetto di discriminazione. Non sempre facili sono stati i tentativi di abbattere il divario, e ciò, come dati statistici dimostrano, ha provocato la minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, dovuto certo a diversi fattori oltre che a quelli discriminatori.

Il dott. Terminella nella sua tesi affronta così l'argomento: "Il nostro secolo è stato spettatore di una lenta ma progressiva evoluzione della valutazione economica, sociale, giuridica del lavoro femminile; nel secolo scorso il problema si poneva in modo diverso, una molteplicità di motivi spingeva la donna fuori delle pareti domestiche, per occuparsi di lavori gravosi ed inadatti ad organismi più deboli di quelli maschili, ma soprattutto poco retribuiti. L’introduzione della mano d’opera femminile nelle attività produttive diede origine a diverse conseguenze, che contribuirono a determinare la complessa evoluzione economica del secolo scorso, provocando le prime misure di difesa da parte della legislazione sociale. Oggi non si può dire che ogni discriminazione tra i due sessi sia stata abolita ed è certo che rimangono delle limitazioni connesse ad ostacoli di tipo fisiologico, ma ormai l’occupazione della donna può essere considerata uno strumento di indipendenza economica, di affermazione sociale, di benessere familiare."

"L’art. 15 del decreto legislativo 8 aprile 2003 n. 66, attribuisce alla donna o, per sua delega, all’organizzazione sindacale che la rappresenta, la possibilità di adire il giudice del lavoro, per ottenere, con una procedura sommaria e rapida, un decreto motivato ed immediatamente esecutivo, che ordini la cessazione dei comportamenti discriminatori, nei confronti della lavoratrice in violazione degli artt. 1 e 5 della legge; l’inottemperanza al decreto è punita ai sensi dell’articolo 650 del c.p. Alla luce dell’esperienza giurisprudenziale, tuttavia, non sembra che tale rimedio abbia riscontrato un significativo successo."

"La legge n. 125, le cui disposizioni sono volte nel loro insieme a favorire l’occupazione femminile e soprattutto a realizzare l’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro, assegna alle azioni positive la finalità di rimuovere gli ostacoli che impediscono la realizzazione di pari opportunità, nell’intento di superare quelle barriere di vario genere, dagli stereotipi culturali, ai condizionamenti socio-economici, che determinano le persistenti situazioni di inferiorità delle donne nel mondo del lavoro. Resta fermo che l’obiettivo della parità reale tra i sessi, comportando un riequilibrio delle rispettive posizioni nel mercato, richiede misure non solo repressive delle discriminazioni attuate dalla volontà delle imprese, ma anche promozionali delle opportunità di lavoro della donna, in quanto volte a rimuovere le discriminazioni derivanti da fattori sociali e culturali."

La necessità di prendere decisioni a riguardo, fa pensare che probabilmente non sono ancora state del tutto abbattute le barriere della discriminazione. Le speranze per il futuro sono di poter finalmente pensare al mondo del lavoro in modo giusto ed equilibrato, e soprattutto senza pregiudizi.
Si può dire che in Italia si sono fatti passi in avanti su questo fronte. Con la nuova riforma del lavoro infatti, i padri hanno ottenuto il diritto a 3 giorni consecutivi di congedo retribuiti al 100%, oltre alle due settimane già previste dal 2010, di congedo dopo il parto ovviamente retribuite. Si tratta di piccoli passi per cercare di rendere quasi paritaria la condizione dell'uomo e della donna oltre che nel lavoro anche nella famiglia.

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Il lavoro femminile e la tutela giuridica delle lavoratrici madri