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La tesi del giorno

Pubblicità ingannevole e atto di concorrenza sleale

Pubblicità ingannevole e atto di concorrenza slealeFondotinta che uniformano una pelle già perfetta o ritoccata da Photoshop, lingérie che esalta forme non propriamente naturali, offerte promozionali che celano ferree limitazioni del servizio, integratori anti-invecchiamento miracolosi.
La pubblicità ingannevole circonda il consumatore ignaro e spesso sprovveduto, tanto da essere protetto dal legislatore in quanto considerato la parte più suscettibile e indifesa del rapporto di consumo.
In Italia l'intervento più incisivo lo si è avuto con la ricezione delle disposizioni dell’Unione Europea sulla Direttiva 2005/29/CE attraverso il D. Lgs. 146/ 07, in materia di pratiche commerciali scorrette nei confronti del consumatore, e il D. Lgs. 145/07, in materia di pubblicità ingannevole e comparativa nel rapporto tra professionisti.

Nella sua tesi Concorrenza sleale e pubblicità la dott.ssa Giovanna Padula pone la sua attenzione sugli interventi giuridici che mirano a frenare le pratiche scorrette nei confronti del consumatore e della concorrenza attraverso l'uso improprio della pubblicità.
La necessità di una tutela mirata deriva dalle caratteristiche stesse della pubblicità, che non ha mai una funzione meramente informativa, ma ha come obiettivo il persuadere facendo leva sulle aspettative e sulle emozioni del consumatore.
Questo approccio meno razionale e più emotivo non solo rende evidente l'impatto di messaggi in sé poco logici (l'utilizzo del tal profumo conduce al successo), ma può distorcere la percezione del prodotto, convincendo il consumatore che in quell'oggetto può trovare tutto ciò che cerca.
La persuasione si traduce in una scelta d'acquisto, in un investimento economico che si ripercuoterà anche sul concorrente, rendendo la pubblicità un vero atto di concorrenza sleale.

"Importante aspetto da prendere in considerazione nel momento in cui bisogna considerare se una pubblicità possa essere più o meno ingannevole", afferma la dott.ssa Padula, "riguarda la struttura del suo messaggio pubblicitario; molte volte infatti ci troviamo di fronte a pubblicità che affermano delle cose che, prese in modo isolato possono risultare vere, ma vengono ricostruite in modo tale dagli operatori pubblicitari che la loro decodifica conduce ad una valutazione completamente sbagliata".

"L’idoneità ad ingannare può derivare da diversi elementi del messaggio, in modo particolare dalla fonte di tale messaggio (si pensi ad esempio a testimonial o finti esperti del settore) o dal contenuto (per una previsione concreta e tangibile si deve tenere conto della capacità di interpretazione non del consumatore medio, ma del consumatore inetto e impreparato […]) ma soprattutto al tipo di comunicazione utilizzata per trasmettere tale messaggio (la persuasione non è una modalità vietata poiché come sappiamo caratterizza la comunicazione pubblicitaria conferendole espressività, ma quando la persuasione, alterandosi diviene inganno, ciò diventa illecito".

Diverse sono le tipologie di pubblicità ingannevole illustrate dalla dott.ssa Padula così come riconosciute dalla legislazione italiana:
- La pubblicità redazionale, che nasconde il messaggio pubblicitario in un articolo che non si discosta dagli altri per configurazione del testo e impostazione grafica, tanto che il consumatore non si rende conto della differenza.
- Il product placement, che consiste nel far apparire o anche solo menzionare, nel contesto di uno spettacolo d’intrattenimento sia esso narrativo, documentaristico o di varietà, un prodotto, un marchio o un nome commerciale al fine di accreditarlo agli occhi del pubblico.
- La pubblicità subliminale che utilizza una tecnica molto particolare attraverso la quale vengono stimolati, a livello inconscio, alcuni bisogni all’insaputa del soggetto, che viene indotto a compiere l’atto d’acquisto.

Altro caso è la pubblicità comparativa, ingannevole se distorce o crea confusione nella percezione che il consumatore ha del prodotto pubblicizzato e delle caratteristiche del concorrente.
I casi di comparazione che finiscono nell'illiceità non sempre sono di immediata percezione e danno luogo a diatribe giuridiche più o meno lunghe.

È il caso citato dalla dott.ssa Padula di una pubblicità della Plasmon che comparava i propri biscotti e la linea di pastine per bambini con le Macine del Mulino Bianco e i Piccolini Barilla, evidenziando con tanto di tabella comparativa che i propri prodotti erano genuini a differenza di quelli della concorrenza che potevano contenere pesticidi, tanto da definirli "prodotti per adulti".
La Barilla rispose con una pubblicità che elogiava la capacità delle mamme di riconoscere la correttezza e l'eticità che l'azienda ha sempre perseguito.
Lo scambio pubblicitario è finito in tribunale, dove, tra primi provvedimenti e ricorsi è stata confermata l'illiceità della pubblicità della Plasmon, sostenendo però, a differenza della prima istanza, che "i prodotti di cui si tratta possono bensì essere comparati, ma solo con modalità lecite e corrette".
La Plasmon pur recependo il provvedimento e attenendovisi strettamente ha condotto una battaglia contro lo slogan della Barilla "A mangiar bene si comincia da Piccolini", la quale si è così impegnata ad apporre sulle confezioni della linea Piccolini la scritta “per consumatori sopra i 3 anni”, in quanto la linea baby è conforme alle norme che regolano gli alimenti per adulti ma supera in alcuni valori i limiti della Normativa Infanzia.

A conclusione del suo lavoro la dott.ssa Padula esprime una sua considerazione in merito alla legislazione italiana sulla pubblicità ingannevole, sorprendendosi che "l’iniziativa di far fronte alle scorrettezze che danneggiano il consumatore e non favoriscono il buon andamento del mercato, sia partita dal Legislatore Comunitario e non da quello Italiano".

Immagine da: Plasmon vs Barilla è guerra a colpi di pubblicità comparativa, http://www.blog.pierabellelli.com

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Concorrenza sleale e pubblicità
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