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La tesi del giorno

Il calcio, non solo sport

Il calcio, non solo sport“Il calcio non è solo passione universale, ma è, soprattutto, un business". E ancora: "Con la crisi di ideologie e di fedi, il calcio si è elevato a nuova religione… Ai nuovi ricchi, ai potenti in cerca di visibilità sociale, il calcio ha offerto la possibilità di governare la volontà delle masse, di fabbricare dèi buoni per il video e gli sponsor”.

Le due affermazioni, la prima del giornalista uruguayano Eduardo Galeano e l'altra dello scrittore Manuel Vázquez Montalbán, esprimono bene un sentimento condiviso e una verità ormai consacrata: il calcio, a livello locale come internazionale, ha assunto una particolarità che è tutta sua: quella di saper direzionare le masse, le scelte politiche, i flussi economici. Insomma, di essere un attore internazionale a tutti gli effetti, che sceglie, decide e influenza.

Come ci spiega bene Valerio Pulga nella sua tesi Calcio e Politica: Globale, Nazionale, Locale, "il calcio oggigiorno è arrivato ad avere un’importanza tale da non poter più essere considerato solo uno sport. Dalla politica all’economia, si sta rivestendo di significati che per essere analizzati devono essere scomposti su tre livelli: quello globale, quello nazionale e quello locale".

Come nella società moderna possiamo distinguere lo sviluppo della globalizzazione, della sua controparte - la localizzazione - e dei focolai nazionalisti, anche nel calcio possiamo riconoscere le stesse tendenze. "Possiamo parlare del ruolo politico del calcio nella globalizzazione, quando ci riferiamo alla FIFA e alla sua struttura che vanta più nazioni dell’ONU, quando parliamo degli introiti e del business creato, quando assistiamo ai gemellaggi tra tifose di diverse religioni".

Agli Europei 2012 di Polonia e Ucraina, per fare un esempio, il primo ministro italiano Monti e il suo pari spagnolo, Rajoy, hanno colto la palla al balzo (è proprio il caso di dirlo...) per scrivere una lettera al premier ucraino Yanukovich in cui si comunica di aver incaricato i rispettivi ambasciatori di richiedere i permessi per visitare l'ex premier Julia Timoshenko, la "Giovanna d'Arco della Rivoluzione Arancione", finita in carcere con l'accusa di aver concluso accordi economici non proprio trasparenti e tornata alle cronache per aver subito dei maltrattamenti. Evidente, insomma, che la ragione della presenza dei primi ministri a Kiev non è stata la finale degli Europei, bensì una mossa politica.

Il calcio, prosegue il nostro autore, "ha la capacità di coinvolgere a tal punto le persone che diventa ottima panacea per i governi in difficoltà, ottimo trampolino di lancio per imprenditori ambiziosi, ottimo velo e diversivo per i regimi più violenti". Fonte immagine: www3.varesenews.it

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