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La tesi del giorno

L'influenza delle lobbies nella politica americana

L'influenza delle lobbies nella politica americanaL'apertura del periodo elettorale in America risveglia l'attenzione in tutto il mondo, visti gli estesi interessi internazionali influenzati dalle decisioni statunitensi.
È interessante notare a questo proposito, afferma la dott.ssa Emilia Vavassori nel suo approfondimento L’interferenza dei gruppi etnici nell’elaborazione della politica estera americana, come alcuni studiosi ritengano il ceto politico americano troppo occupato ad accontentare un elettorato interno volubile e capriccioso, riunito attorni a lobby molto influenti, che a costruire una linea d'azione lungimirante; mentre alti vedano la partecipazione delle lobbies etniche al processo di foreign policy making come un segno della raggiunta maturità di un sistema politico.

Se nella vita democratica di un paese il lobbying è un fatto normale, sicuramente negli Stati Uniti tale fenomeno è particolarmente rilevante, più che in molte altre democrazie contemporanee: "non è infatti un caso che il termine “lobby” sia nato in ambito anglosassone per indicare la zona del Parlamento in cui i rappresentanti di specifici interessi entravano in contatto con i politici.
Inoltre gli Stati Uniti sono forse l’unico caso in cui l’attività di lobbying, pur presentando alcune criticità, è di norma trasparente ed è accettata dall’opinione pubblica che vede nelle lobbies, più che nei partiti, lo strumento attraverso cui promuovere i propri interessi".

Probabilmente, spiega la dott.ssa Vavassori, proprio la caratteristica della politica americana incentrata su una forma di governo che tutela in primis la libertà del singolo ha favorito la diffusione e lo sviluppo di questi 'gruppi di pressione'. La loro legittimità si basa innanzitutto proprio sul primo emendamento del Bill of Right che sancisce la libertà di culto e di espressione, e che è stato interpretata dalla Corte Suprema in modo sufficientemente generale da includere la difesa degli interessi particolari portati avanti da gruppi minoritari.
Si parte infatti dal presupposto, caratteristico della politica americana, che vi sia una differenza fondamentale fra “gli interessi pubblici” all’interno dei quali dovrebbero operare i partiti e gli interessi settoriali che i gruppi di pressioni intendono difendere e promuovere.

Negli anni il ceto politico ha cercato ovviamene di regolamentare questa espressione con leggi ad hoc, partendo dalla prima legge a livello federale del 1913 Anti-lobbying Act, fino al più completo e recente Lobbying Disclosure Act (LDA) del 1995, che esige che gli individui che praticano attività di lobbying si registrino e dichiarino esplicitamene come sono reperiti i fondi e come sono utilizzati.
Il lavoro del lobbista si concretizza essenzialmente nell’attività di preparazione e di pianificazione di atti legislativi, nella ricerca e nel mantenimento di contatti nel mondo politico e nell’informazione e in generale in tutto ciò che permette di tramutare le preferenze della lobby in decisioni concrete.
Naturalmente, sottolinea la dott.ssa Vavassori, "il primo passo che deve fare un gruppo di interesse per cercare di ottenere una decisione o una legislazione a sé favorevole è quello di fare in modo che venga eletto un candidato che porti avanti nelle sedi decisionali le preferenze della lobby. Per questo i gruppi di pressione spendono molto tempo e denaro nelle campagne elettorali".

Attualmente, spiega la dott.ssa Vavassori, la lobby etnica per eccellenza è quella israeliana, presa spesso a modello da altri gruppi: possiede denaro da elargire, è riuscita ad 'americanizzare' la propria causa risolvendo il problema della doppia lealtà, non ha una vera e propria opposizione (la lobby arabo-americana non ha la medesima vitalità) e, infine, è presente a livello politico e in punti chiave della società civile.
Altra lobby in recente ascesa è la lobby messicana, anche se si trova ancora ad uno stato potenziale perché "non basta che una comunità etnica sia numerosa e territorialmente concentrata perché possa costituire una lobby etnica impegnata ad influenzare la politica estera americana in senso favorevole al proprio paese di origine".
E ancora, sostiene la dott.ssa Vavassori spiegando il fattore di successo della lobby armena, "non basta semplicemente che una comunità sia coesa, abbia notevoli risorse finanziarie o sia concentrata in stati chiave, ma è necessario anche che abbia un’organizzazione efficace che le permetta di inserirsi con facilità nei luoghi di elaborazione delle decisioni e nei centri di influenza dell’opinione pubblica".
Ottimale la capacità della lobby cubana negli anni di sovrapporre i propri interessi con quelli del governo, mentre nulla di fatto per la lobby afro-americana e arabo-americana che non riescono ad americanizzare fino in fondo la propria causa.

Le lobby etniche, per il loro stesso carattere multiculturale, tendono ad influenzare soprattutto la politica estera, con risvolti concreti ed ideologici non indifferenti che hanno innescato accesi dibattiti. La dott.ssa Vavassori propone un riassunto delle diverse posizioni maturate all'interno dell'intelligence politica ed economica americana, che tutt'oggi si domanda se l'influenza delle varie lobbies sia un punto di forza o di debolezza della propria nazione.

Immagine: Netanyahu all'Onu. Con il tema del nucleare all'Iran tenta di riallacciare i rapporti con la lobby israeliana americana. Fonte: Limes - rivista italiana di geopolitica, http://temi.repubblica.it/limes/

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