Skip to content

La tesi del giorno

L'Ilva, l'inquinamento ambientale e il futuro di Taranto

L'Ilva, l'inquinamento ambientale e il futuro di TarantoIl caso del complesso siderurgico dell'Ilva di Taranto è emblematico di come una visione non lungimirante del rapporto tra sviluppo industriale, sociale e sostenibilità ambientale non possa che portare col tempo gravi danni.
"Dell'importanza del fattore inquinante nell'area tarantina se ne parla da decenni, fino ai recenti avvenimenti, all’emergere dell’inquietante problema della diossina che ha portato la realtà di Taranto a diventare, malauguratamente, caso nazionale", afferma il dott. Gabriele Battista, ricordando che la presenza di un'area industriale che include uno stabilimento siderurgico, una raffineria, un cementificio, un porto crocevia dei maggiori traffici petroliferi mondiali e una serie di industrie «minori», non può certamente esistere ad impatto zero.

Per questo motivo l'area è stata costantemente monitorata attraverso dati e rilevazioni, perché si creasse una serie storica che supportasse delle certezze scientifiche a sostegno di politiche ed interventi di governo, come successo, ricorda il dott. Battista, per il caso dello stabilimento siderurgico del quartiere Cornigliano di Genova.
Partendo dall'importanza di questo presupposto, nella sua tesi l'autore ripercorre le tappe degli studi, delle analisi, delle conclusioni a cui sono giunti i vari team scientifici promossi dall'autorità civile, politica, giudiziaria e dalle stesse industrie: la lente di ingrandimento per Taranto si sposta sulla raffineria Eni e soprattutto sullo stabilimento siderurgico Italsider (denominato successivamente Ilva), costruito in prossimità della città e praticamente confinante con le prime case del quartiere Tamburi.
Gli esiti concreti di questi primi esami svolti a partire dagli anni '90, mostrano già che, purtroppo, sebbene le cifre raccolte abbiano valenza scientifica, le interpretazione lasciano spazio a manovre diverse.

Quando poi nel 2005 irrompono nel dibattito due termini nuovi, diossina e policlorobifenili (catalogati tra i composti più tossici e cancerogeni), l'attenzione dell'opinione pubblica sull'Ilva giunge a nuovi livelli e le misurazioni e le valutazioni si susseguono, insieme ai sequestri degli impianti e agli accordi a vario titolo conclusi con il proprietario dello stabilimento, che si impegna a ridurre le emissioni, a bonificare, a concordare provvedimenti di Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA).

Che sia perché manca effettivamente la volontà, che sia perché le misure intraprese sono insufficienti, che sia perché diversi interessi non trovano mai un accordo, fatto sta che l'inquinamento ambientale a Taranto resta a livelli altissimi e ha ripercussioni sulla salute e qualità della vita, ma anche sulle attività commerciali quali la pesca, l'allevamento, il turismo.

Il problema di fondo, asserisce il dott. Battista, è che Taranto è caratterizzata da una path dependence, o dipendenza cognitiva, dalla grande industria e dallo stile di vita creato intorno ad essa, tanto da essere difficile trovare una via economica alternativa all'Ilva o alle raffinerie.
"La popolazione di Taranto si trova, dopo il provvedimento di sequestro degli impianti Ilva, di fronte ad un bivio: diritto al lavoro o diritto alla salute?"

La risposta del dott. Battista è chiara, con una sguardo che spazia alle soluzioni messe in campo da altre città: bypassare la monocoltura industriale, rivolgersi a progetti di green-economy, di risanamento ambientale e urbano e di valorizzazione del segmento turistico.
Taranto potrà divenire un incubatore di progetti di riconversione industriale: "l’unica certezza è che non può più essere una steel city".

Immagine: www.befan.it

Visita la tesi:

Quando l'industrializzazione massiva inibisce lo sviluppo di un territorio. Storia della "questione ambientale" di Taranto