La tesi del giorno
Fiaboterapia: un'esperienza di gioco-fiaba
Sono passati 200 anni dalla pubblicazione delle "Fiabe del focolare", antologia dei fratelli Grimm, e gran parte di questi racconti sono conosciuti e tramandati ancora oggi, anche rivisti in chiave moderna.
"Per comprendere la fiaba nel suo essere in qualche modo “necessaria” nelle nostre vite", spiega la dott.ssa Martina Marchetti nella sua tesi, "si dovrebbe partire da un presupposto. Le fiabe sono racconti e raccontare è una delle esigenze umane più forti. La nostra vita è una narrazione e gran parte del nostro tempo è speso a raccontare quello che ci succede e quello che pensiamo, quasi non esistessimo se non potessimo condividerlo. Raccontare ci permette di conoscerci e di farci riconoscere".
In uno spazio sempre più affollato e in un tempo sempre più convulso, dove il raccontarsi diventa difficile, la fiaba fornisce una dimensione di extra-tempo ed extra-spazio: proprio da qui deriva il suo potenziale terapeutico.
Sostiene infatti la dott.ssa Marchetti che "la fiaba è un’affascinante attività ricreativa, ma può essere opportunamente trasformata in strumento educativo o terapeutico. L’utilizzo della fantasia aiuta a sviluppare le abilità immaginative e di comprensione della vita quotidiana, ma può anche sostenere lo sviluppo della personalità e l’abilità di padroneggiare le emozioni".
La fiaboterapia utilizza proprio il linguaggio simbolico delle storie per costruire un percorso di riconoscimento delle emozioni e di comprensione, che aiuta a narrare la propria storia, a darle un senso e quindi ad accettarla.
Inoltre, sottolinea la dott.ssa, nell'ambito della psicoterapia la fiaba può essere molto utile al terapeuta per individuare il tema di vita del paziente: "il tipo di storia scelta, i particolari sottolineati oppure omessi ed eventuali blocchi nel racconto, sono tutti indizi. Il paziente sceglie quella fiaba perché in quel momento è una metafora della sua esistenza".
Per provare sul campo come la fiaba possa attivare dei vissuti emotivi e sia quindi un valido strumento psicologico, la dott.ssa Marchetti ha introdotto un esperimento di gioco-fiaba in due classi di seconda e quarta elementare, utilizzando come strumento la fiaba dei fratelli Grimm Biancaneve e Rosarossa.
"Genere letterario ad alto contenuto archetipico, la fiaba racchiude immagini attive in grado di generare e smuovere vissuti emotivi in coloro che la leggono, la scrivono o l’ascoltano. I bambini sono ascoltatori privilegiati in quanto la fiaba utilizza il loro stesso linguaggio ed inoltre, lavorando con i più piccoli, l’influenza delle resistenze nel rapporto bambino/animatore è minima.
Nello specifico dell’esperienza la fiaba è stata scelta al fine di attivare due emozioni in particolare: paura e rabbia. Lo svolgimento ha così previsto la lettura della fiaba e seguenti fasi specifiche di discussione, riflessione, disegno e drammatizzazione. L’ultima fase, definita di restituzione, ha previsto l’utilizzo del disegno, attraverso delle schede appositamente costruite per l’esperimento. […] La scelta del disegno è stata motivata dalla giovane età dei soggetti, i quali trovano nel disegno un mezzo di comunicazione più semplice e più immediato rispetto alle parole. […]
La forza e l’intensità del gesto grafico sono indicativi dell’energia del bambino e del suo stato emotivo, così come vi è, dal punto di vista evolutivo, un parallelismo tra enfasi del colore ed emotività. […]
Il confronto tra le tinte scelte dai bambini per definire rabbia e paura ed il loro significato, archetipico oltre che culturalmente attribuito nelle varie epoche e civiltà, dimostra che vi è rispondenza tra colore selezionato e vissuto emotivo attivato.
L’ipotesi che la fiaba sia un valido strumento per lavorare sulle emozioni è quindi confermata".
Immagine: Biancaneve e Rosarossa, ill. Roland Topor, Grasset, 1983, da Prìncipi & Princípi