La tesi del giorno
Il rugby tra mito e tradizione
Rugby: sport di squadra nato nel Regno Unito la cui origine, ampiamente mitizzata, viene ricondotta a uno dei più aristocratici college britannici (quello di Rugby appunto), dove, secondo la leggenda, il giovane studente William Webb Ellis, durante una delle tante sfide di Bigside, la versione del football di questa scuola, in una fredda mattinata del 1 novembre 1823 afferrò il pallone con le mani e, anziché calciarlo come previsto, partì con la palla in mano verso l'opposta linea di fondo.
Da allora, le scuole britanniche contribuirono allo sviluppo di questo sport per incoraggiare la pratica sportiva, tanto che il football - inteso come sport non ancora pienamente codificato da cui derivarono gli odierni
soccer e
rugby - divenne presto una delle pratiche più significative per la promozione della virilità inglese prima, e britannico-imperiale poi.
Come spiega il Dott.
Alessandro Finotti nella sua tesi "
Antropologia del rugby. Un esempio di indigenizzazione della modernità o di modernità "maorizzata"?", "
Il rugby, il football e il cricket divennero dunque gli sport fondamentali per plasmare il comportamento virile delle élite e furono proprio i laureati e diplomati di queste scuole pubbliche e delle Università di Oxford e Cambridge a fondare i primi club, che portarono all'istituzionalizzazione del rugby."
Fu così che, in seguito alla creazione della
Rugby Football Union e delle tanto auspicate e attese
common rules, il rugby conosce una diffusione capillare in tutta l'isola per poi svilupparsi in Europa e nel resto del mondo dai primi anni del XX secolo.
L'esportazione di questa pratica sportiva arricchì enormemente lo sport grazie al confronto con diverse culture, traendo la massima aspirazione dall'Oceania, in particolar modo dal rugby dei Māori, tanto che "
I campionati europei pullulano di giocatori provenienti dalle isole del Pacifico (Nuova Zelanda, Samoa, Figi e Tonga su tutte) che giocano secondo il Māori rugby flair, uno stile al quale cercano di adattarsi anche i giocatori europei. I club più blasonati, ma anche le federazioni nazionali, gareggiano per ingaggiare gli allenatori neozelandesi.
Quando la Nuova Zelanda, durante i test match di novembre, approda in Europa gli stadi del rugby sono gremiti di spettatori che accorrono per osservare i maestri neozelandesi all'opera. Tutto questo non è che la dimostrazione di quanto il rugby odierno sia "māoricentrico" ossia di quanto importante si a divenuto lo stile e lo spirito dei giocatori Māori nella definizione del rugby mondiale moderno. In questa sede, per esprimere questo metaforico viaggio di ritorno del rugby, abbiamo utilizzato il concetto di modernità "māorizzata" intendendo con ciò quel processo che, iniziato con l'indigenizzazione del rugby in Nuova Zelanda, è proseguito con la colonizzazione da parte del rugby "māorizzato" dell'intero pianeta ovale."
L'analisi antropologica di Alessandro evidenzia le peculiarità del rugby moderno e il rapporto tra questo sport e i
Māori, provando a fornire una risposta alla domanda: "
chi è un Māori? Infatti l'identificazione di questo gruppo etnico non è di poco conto, soprattutto in uno stato come la Nuova Zelanda in cui diverse etnie convivono da secoli. Il concetto di
razza per definire i Māori è stato abbandonato da circa tre decadi per essere sostituito dal concetto di "gruppo etnico", in cui l'autodefinizione dei suoi membri assume una valenza politica e sociale molto importante.
"
Il sistema politico neozelandese infatti, riconoscendo ufficialmente il Gruppo Etnico Māori (MEG), riserva una quantità di seggi parlamentari a soggetti di etnia māori direttamente eletti da Māori. Da questa rilevazione emerge un numero di cittadini appartenenti al gruppo etnico Māori di circa 565.329 unità, con un incremento del 30% rispetto alla rilevazione del 1991; un cittadino su sette residente in Nuova Zelanda appartiene dunque al gruppo etnico Māori. Di questi solo il 23,7% esprimersi utilizza quotidianamente per esprimersi la lingua māori (te reo māori), percentuale comunque in aumento rispetto all'ultima rilevazione. Ma il dato forse più interessante che emerge è che nonostante 643.978 cittadini siano di discendenza māori (Ko ngā Kāwai Whakaheke Māori) solo il 52,8% di essi si riconosce nel gruppo etnico māori (MEG). Il 42,2% di essi si identifica in uno dei gruppi etnici europei e solo il 7 % fa risalire la propria appartenenza ai gruppi etnici del Pacifico.
Tra i requisiti per definire l'appartenenza a tale gruppo etnico troviamo un insieme di strumento giuridici che sono simili per certi aspetti a quelli che sono richiesti
ai giocatori per poter essere eleggibili come membri del New Zealand Māori Team. Tra i "requisiti necessari" per poter giocare in questa squadra, "…l'avere degli antenati māori (whakapapa) è una pre-condizione, ma da sola questa non è sufficiente. Altri elementi che possono essere considerati come costituenti dell'identità māori sono: la conoscenza della propria linea genealogica, la partecipazione alle attività (sociali e culturali) presso il marae, il coinvolgimento con il proprio whānau (famiglia estesa), l'essere in contatto con altri māori, e l'uso della lingua māori. (Ibid.: 177). Ma la conditio sine qua non è l'autodeterminazione, il riconoscere se stessi come Māori, ciò che essi chiamano tinorangatiratanga (Ibid. 2011: 195). Questa parola che può essere tradotta anche come "diritto al comando, a governarsi autonomamente", esprime in maniera efficace l'aspirazione e il diritto all'autodeterminazione così forte tra i Māori. Non è un caso che il New Zealand Māori Team sia stato "elevato a simbolo dell'aspirazione indigena all'autodeterminazione"."
L'associazione tra Māori e rugby nelle rappresentazioni delle popolazioni indigene della Nuova Zelanda (la haka) che hanno visibilità internazionale, e la reale relazione storica tra i Māori e il rugby, ci suggeriscono la possibilità di vedere il rugby come uno degli elementi pertinenti alla cultura contemporanea māori e come marcatore non convenzionale della loro identità. Occorre tuttavia ricordare che una minoranza di Māori (secondo le indagini della Calabrò, particolarmente le donne) preferiscono prendere le distanze dal rugby, non approvandone i valori o l'associazione tra Māori/rugby e rugby/alchool e risse, di conseguenza non riconoscono il rugby come elemento identitario caratteristico."
Nonostante ciò, è indiscutibile il connubio esistente tra Māori e rugby. L'esecuzione della danze della
haka, prima delle partite da parte degli
All Blacks, è l'aspetto più evidente dello strettissimo rapporto che, in Nuova Zelanda, lega la cultura māori a questo sport. Ma che cosa è e cosa rappresenta l'
haka?
Come spiega il Māori Tomoti Karetu,
haka è il nome generico per tutte le danze Māori. Nella sua esecuzione, mani, piedi, gambe, corpo, voce, lingua e occhi, tutti svolgono la propria parte e si fondono insieme per trasmettere, nella sua pienezza, una sfida, un benvenuto, un'esultanza o un commiato.
Quindi si tratta di una danza che non è solo un'intimidazione, un'esibizione di forza o una sfida, ma un rito che assume diversi significati a seconda del contesto in cui è eseguito. Le sue rappresentazioni non si limitano dunque ad eventi sportivi, ai festival nazionali o a rappresentazioni ad uso dei turisti. Queste "danze" possono avere luogo nelle cerimonie di benvenuto presso i
marae dove si riuniscono le sotto tribù (
hapu) o le famiglie "allargate" (
whanau), oppure nelle cerimonie di premiazione, funzioni civiche e matrimoni o ancora nei funerali.
Come conclude l'autore, "
L'haka ancora oggi, e anzi, forse più di ieri è il momento topico della partita. Chiunque, non importa che sia allo stadio o sia davanti alla tv, sa che con gli All Blacks lo spettacolo comincia ancora prima del fischio dell'arbitro. Certo, non si può negare il ruolo ricoperto dagli spot commerciali nella diffusione del mito dell'haka, e neppure l'attrazione che i popoli occidentali nutrono per la carica di esotismo che è propria dei Māori. Tuttavia possiamo affermare che l'haka, possiede un suo fascino a prescindere che coinvolge e ammalia il pubblico.".
Fonte dell'immagine: http://www.corriere.it/sport/09_febbraio_11/haka_maori_3d631b62-f855-11dd-9277-00144f02aabc.shtml
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Antropologia del rugby. Un esempio di indigenizzazione della modernità o di modernità ''maorizzata''?

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