La tesi del giorno
Quote rosa o meritocrazia?
In una società in continua evoluzione come la nostra, può apparire singolare che le donne debbano appellarsi alle "quote rosa" per ottenere una loro presenza, peraltro legittima, nei ruoli strategici della politica e dell'economia. Il dibattito sul tema si è fortemente riacceso in questi giorni a seguito della bocciatura da parte della Camera dei tre emendamenti bipartisan alla legge elettorale che prevedevano l'alternanza di genere nei listini bloccati e la parità nei posti in lista.
A fronte di ciò, sorge spontanea la domanda sull'effettiva necessità di introdurre le quote rosa per garantire una carriera alle donne in politica o se, invece, sia più opportuno puntare esclusivamente sulla "meritocrazia", come avviene in molti Paesi stranieri.
Invece in Svezia, Islanda, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito e Germania le quote di genere sono adottate dai partiti e non sono stabilite per legge. Così come in Danimarca, Finlandia, Lituania, Bulgaria, Estonia e Liechtenstein, dove non esiste nessuna forma di regolamento per favorire la presenza femminile nelle liste elettorali e in parlamento. Al di là dei numeri, per supportare l'esigenza delle quote rosa è necessario cercare di comprendere e tentare di valutare quali siano le possibili conseguenze della partecipazione femminile al mercato del lavoro in generale e della presenza femminile ai vertici delle istituzioni e delle imprese: è infatti ormai ampiamente diffusa la convinzione che assicurare maggiore parità di genere produca non solo società più eque, ma anche maggiore benessere economico (World Bank, 2012). In linea generale è possibile affermare come nel corso degli anni ci siano stati diversi studi che si sono concentrati sul rapporto corporale governance e performance aziendale, come ad esempio il lavoro di tesi del Dott. Fabio Lacroce, che si pone l'obiettivo di verificare l'apporto delle quote rose sulla performance aziendale all'interno delle PMI italiane. La verifica empirica dell'autore si è infatti concentrata sulle società che rientrano nel listino Ftse Mib 30 della Borsa Italiana ed è stato verificato come il cambiamento della composizione dei Consigli di Amministrazione, con il conseguente ingresso delle quote rosa ai vertici delle società, incida sui risultati economici e finanziari delle società stesse. "Il problema della presenza delle quote rosa all'interno del sistema economico in particolare, non ha trovato spazio e non è stato affrontato in modo efficiente per quasi quarant'anni: la donna ha iniziato ad uscire dal suo ruolo tipico ma solo in modo autonomo e quasi sempre in relazione alle esigenze familiari. Ciò che mancava realmente era una legislazione forte a favore di un loro inserimento, sia da un punto di vista sociale che economico, all'interno del nostro Paese. Per ovviare a questo problema e soprattutto alla crisi economica di fine anni Ottanta, un primo piccolo passo si è avuto con la legge n.215 del 1992, che aveva l'obiettivo di far rientrare nel tessuto economico italiano le moltissime donne che avevo perso il loro posto di lavoro, nonostante avessero portato alla luce le grandi capacità lavorative sia manuali che gestionali. Anche se la legge è stata attuata solo nel 1997, a questo primo impulso bisogna riconoscer il merito di aver avviato un consistente percorso di emancipazione della libertà femminile, che inevitabilmente ha causato trasformazioni sociali, culturali, economiche e produttive." L'analisi empirica effettuata ha messo in evidenza che la presenza delle quote rosa nei Consigli di Amministrazione genera effetti positivi sulla performance aziendale, nonostante vi siano ancora società non in linea con gli standard previsti dalla legge. Come conclude l'autore, infatti, "In generale è possibile affermare come la questione delle quote rosa sia un problema tuttora aperto e non risolto, nonostante il primo impulso legislativo nei vari paesi abbia prodotto risultati significativi. E' proprio dalle istituzioni, infatti, che deve arrivare il primo incentivo a favorire l'ingresso della donna all'interno dei consigli di amministrazione ed in generale nel sistema economico. In Italia il cambiamento definitivo nella composizione dei CdA e l'applicazione effettiva della legge 120 risulta essere ancora lontano, anche se nel giro di due anni, la politica intrapresa dai vari organi competenti, compreso il Ministero delle Pari Opportunità, inizia a dare i frutti sperati. Alla luce dei risultati ottenuti dall'indagine di Fabio, ciò che è certo che l'incremento della presenza femminile nel panorama politico italiano non costituirebbe un danno per il Paese, ma uno dei possibili strumenti a disposizione per la concreta realizzazione delle pari opportunità tra donna e uomo. Fonte dell'immagine: www.quibrescia.it