La tesi del giorno
L'impegno di Anna Politkovskaya per la Cecenia
Ci sono voluti otto anni e tre processi per condannare i colpevoli dell'omicidio di Anna Politkovskaya. La giornalista e attivista per i diritti umani fu uccisa il 7 ottobre 2006 con quattro colpi di pistola nell'ascensore del condominio dove abitava, nel centro di Mosca.
L'omicidio di Anna Politkovskaya, famosa per la sua attività di inchiesta sulla guerra in Cecenia e per la sua attività umanitaria, ebbe grande risalto sui media internazionali.
«Già in vita aveva avuto riconoscimenti internazionali, tra cui il premio Penna d'oro di Russia nel 2000, il Global Award for Human Rights Journalism di Amnesty International nel 2001, e altre prestigiose onorificenze fino al 2006, anno della sua morte, per il suo impegno giornalistico ma anche umanitario, in quanto si occupò personalmente di portare aiuti in Cecenia e fece da negoziatrice con i terroristi ceceni al teatro Dubrovka.»
La dott.ssa Alice Giusti nella sua tesi I reportages di Anna Politkovskaja sul secondo conflitto ceceno analizza la figura della giornalista russa e la sua dedizione nel raccontare la guerra russo-cecena.
La seconda guerra cecena iniziò il 26 agosto 1999, pochi giorni dopo la nomina di Vladimir Putin a Primo Ministro, che definì l'intervento dell'esercito russo in Cecenia come un'operazione antiterrorismo. In realtà il compito dell'esercito russo in Cecenia era quello di riconquistare i territori occupati dai separatisti ceceni.
Come spiega la dott.ssa Giusti «il conflitto russo-ceceno ha origini molto antiche, risalenti all'epoca zarista, in quanto il popolo ceceno, diverso per tradizione, lingua ed etnia dai russi non ha mai accettato di buon grado la sottomissione prima all'Impero e all'URSS poi. Tuttavia è solo dopo lo sgretolamento dell'Unione Sovietica che si è dato vita alle due guerre di indipendenza, la prima combattuta dal 1994 al 1996 e la seconda, come abbiamo detto, dal 1999 al 2009.»
L'interesse di Anna Politkovskaya per il conflitto russo-ceceno inizia con il suo lavoro per Novaya Gazeta, bisettimanale russo libero e indipendente nato nel 1993, fortemente critico nei confronti della classe politica della Russia post-sovietica. Come inviata speciale in Cecenia, la Politkovskaya «tornò in quelle terre devastate per ben 40 volte, a testimoniare le atrocità commesse, le violazioni dei diritti umani perpetrate contro degli innocenti, per raccogliere storie raccontate direttamente da chi le aveva vissute in prima persona.»
«Anna Politkovskaja, inviata sul campo dal 1999 al 2006, ci raccontava una realtà diversa sulle cosiddette operazioni antiterrorismo, le quali venivano utilizzate dai militari per infierire violenze, umiliazioni, per derubare, distruggere e uccidere chiunque, fosse esso bambino, vecchio, donna o uomo. Essere ceceni era la colpa che veniva loro attribuita poiché nei russi, sia militari che civili, iniziò a radicarsi il concetto che ceceno fosse sinonimo di terrorista e di nemico della Russia, e gli attentati al teatro Dubrovka e a Beslan non fecero che aumentare tale convinzione. […] La giornalista russa parlava spesso di genocidio ai danni della popolazione cecena, voluto dalle autorità governative per motivi di consenso politico nonché dai militari stessi, che dalla guerra traevano enormi guadagni economici personali attraverso i traffici illegali di petrolio, facendosi pagare per restituire cadaveri o persone rapite tramite le razzie effettuate durante le operazioni punitive.»
«Critica, pungente, i suoi articoli erano reportages di storie di vita vissuta, raccontate senza abbellimenti, senza metafore o non detti. Il suo linguaggio era talmente semplice, conciso e diretto da catapultare il lettore nella dimensione narrativa. Lo colpiva, lo feriva e lo impressionava. Nel suo mirino c'erano le autorità, il presidente Putin in testa, a cui Anna si opponeva non tanto per una questione di diverso orientamento politico ma per ciò che faceva, per come stava trasformando la Russia in un paese dispotico, mascherato però sotto una falsa riga democratica, apprezzata dai suoi concittadini e dalle potenze occidentali. Ma non per questo era meno intransigente con i guerriglieri ceceni, con i capi indipendentisti, da Basaev a Maschadov, con i leader del nuovo governo ceceno filo federale o con tutti quei militari e funzionari che si macchiavano di reati atroci o chiudevano un occhio su quanto accadeva. Si riteneva dalla parte dei civili, fossero essi russi, ceceni o inguši e via dicendo, e di tutti gli indifesi che non avevano altri mezzi per far sentire la propria voce, il proprio dolore per un'ingiustizia subita.»
«Anna Politkovskaja, nella sua incessante attività di ricerca della verità non si risparmiò mai nel criticare, citare e condannare chi si macchiava di reati più o meno gravi o assumeva atteggiamenti ingiusti, fossero essi militari, civili, miliziani o politici. Ma al di là delle responsabilità individuali che lei attribuiva a vari protagonisti della vicenda cecena nei suoi reportages, la giornalista era particolarmente critica nei confronti del sistema politico imperante in Russia dopo all'arrivo al potere di Vladimir Putin nel 1999. Secondo l'opinione della giornalista, Putin non ha infatti promosso pace, democrazia e prosperità, ma ha creato un sistema di potere autoritario che ha riportato in auge alcuni tratti politico-istituzionali dell'epoca sovietica. Per farsi conoscere e acquisire popolarità ha scatenato la seconda guerra cecena e ha continuato a portarla avanti anche dopo essere stato eletto nel 2000 e riconfermato nel 2004 con maggioranze plebiscitarie. Facendo leva sul sentimento patriottico, sulla retorica dello stato forte e su pregiudizi anticeceni (o anticaucasici) ha reso il razzismo un sentimento radicato nella maggior parte dei russi. […] Ma la Politkovskaja riteneva in ultima analisi che i maggiori responsabili di tutto ciò fossero proprio i Russi, che avevano permesso a Putin di prendere il potere, lo avevano votato e lo avevano continuato a osannare. Perché in realtà i russi, scriveva, sono un popolo destinato alla schiavitù, che in fondo al cuore hanno nostalgia di quell'Unione Sovietica in cui la mancanza di libertà veniva compensata da un minimo garantito a tutti senza troppe preoccupazioni.»
Fonte dell'immagine: IlPost.it