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L'Amiata tra '600 e '800 - Una vicenda geostorica

Arcidosso

Il comune di Arcidosso non era infeudato, bensì dipendeva direttamente da S. A. R..
Risiedeva nel luogo un Iusdicente Regio con il titolo di Capitano di Giustizia, il quale aveva giurisdizione civile e criminale in Arcidosso, e la sola giurisdizione criminale nei comuni di Castel del Piano, Seggiano, Montelaterone, Monticello, Cana, Cinigiano, Stribugliano, Castiglioncello Bandini, Porrona, e Monte Nero; in seconda istanza si poteva ricorrere alla Ruota di Siena.
Tale Capitano di Giustizia veniva pagato dalle comunità suddette, inoltre riceveva paglia e legna dall’universale sempre delle medesime comunità, e partecipava anche della metà di Bastardello nel Tribunale di Arcidosso.
Il comune di Arcidosso aveva un Consiglio particolare composto da quaranta Consiglieri con incarico a vita, alla morte dei quali succedevano direttamente i figli dei medesimi purché avessero compiuto i venticinque anni di età, e mancando questi succedevano i fratelli (i quali dovevano però essere approvati dal Pubblico Consiglio riportando due terzi di voti favorevoli, e dal Magistrato dei Quattro Consiglieri di Siena). Tale procedura creava l’inconveniente di dover ammettere nel detto Consiglio persone che a volte non sapevano né leggere, né scrivere, e conseguentemente inadatte a tale carica.
Il Consiglio (più precisamente quattro membri del Consiglio con il titolo di Accoppiatori) eleggeva i quattro Priori, i quali avevano incarico semestrale, e che dovevano vigilare sulla comunità e sull’universale. Gli Accoppiatori eleggevano anche il Camerlengo, con incarico annuale, al quale era affidata l’amministrazione e la conservazione del patrimonio pubblico della comunità.
Il comune di Arcidosso aveva Statuti propri, e mancando in essi qualche provvedimento si regolava con gli Statuti di Siena.
La comunità aveva un suo Cancelliere, che da diversi anni (all’epoca della circolare inviata da Miller circa cinquanta) risiedeva però a Castel del Piano, dove non aveva a disposizione neppure una stanza fissa per conservare le scritture pubbliche, molte delle quali erano infatti andate perdute.
In Arcidosso c’era un Palazzo Pretorio con carceri sicure.
Tale comune era diviso in tre parrocchie, una di esse - l’Arcipretura - era di libera collazione del Vescovo di Chiusi, mentre l’Ius Patronato delle altre due spettava all’Abate del monastero cistercense di Abbadia San Salvatore.
In passato erano sempre stati presenti in Arcidosso due Spedali per gli infermi e per i pellegrini, uno denominato Spedale di S. Lazzaro e l’altro Spedale di S. Antonio: all’epoca della circolare inviata da Miller i beni del primo erano però stati allineati dalla Deputazione degli Spedali Soppressi a tale Pio Lorenzo Guarnieri, e i beni del secondo a tale Francesco Ghini di Siena, il quale risiedeva però in Arcidosso da molti anni. Ciò aveva creato grande pregiudizio per i poveri della terra e per i poveri viandanti, i quali non sapevano più dove rifugiarsi in tempo di malattia (soprattutto quando tornavano dalla Maremma dopo la mietitura dei grani), e molti morivano dunque nelle strade, nei fienili, e perfino nelle stalle.
Le sepolture si trovavano solo nelle chiese parrocchiali, le quali necessitavano di essere ripulite e restaurate tramandando sovente fetore, soprattutto quando soffiava lo scirocco.
Vi era nella terra una dogana per mercanzie e bestiami di passaggio amministrata da tale Francesco Ghini, adottando questi lo stesso regolamento della Dogana di Siena con grave pregiudizio per l’universale del luogo: non c’era infatti più nessuno che vi portasse né salumi, né pesce.
Erano in Arcidosso i seguenti edifici pubblici: l’orologio; una fontana distante dalla terra circa mezzo miglio; cinque mulini di proprietà di privati, che non riuscivano però a supplire alla macinatura di tutte le castagne del luogo, le quali restando nei mulini per molti giorni prima di essere macinate, si inumidivano, risultandone poi le farine grosse e di cattiva qualità, cosicché spesso gli abitanti della corte si rivolgevano ai mulini di altre comunità, rappresentando le castagne il maggior capitale di questo paese, e l’alimento base per la sua sussistenza.
Il comune di Arcidosso aveva un Monte Frumentario e anche uno di farina dolce, eretti entrambi dagli abitanti del luogo, rispettivamente nell’anno 1626 e nell’anno 1632, con la finalità di sostenere le famiglie bisognose della terra; ma al tempo della visita Miller l’indolenza degli Abbondanzieri ne aveva oramai dissipato i capitali: il grano e la farina dolce erano stati prestati avventatamente e senza cautele, a famiglie che non li avevano mai restituiti.
Vi era nel luogo la canova del sale al prezzo di 16 quattrini la libbra. Di questo si faceva “la distribuzione dai priori della Comunità a forma degli ordini del magistrato del sale, imponendone alle persone comode da dieci sino a quindici libbre a testa”7, e a quelle persone che avevano animali da cacio 20 libbre ogni cento bestie; se il sale rimaneva nelle mani del salaiolo, la popolazione era poi obbligata a comprarlo in base a quanto predisposto dal suddetto magistrato del sale. Tale imposta era insomma decisamente gravosa per la comunità, essendo il sale distribuito forzatamente. Sarebbe stata necessaria una diminuzione del suo prezzo, e anche della quantità imposta, essendo scemato nel tempo il numero degli abitanti di Arcidosso, e per di più non avendo molti di questi neppure il necessario sostentamento.
Vi erano nella terra il provento di un’osteria, di tre forni, di tre pizzicherie, di due macelli.
Non vi erano fabbriche di salnitro, bensì solamente maceratoi di canapa collocati però in fossi correnti e distanti dal paese, che quindi non potevano né infettare l’aria, né recare pregiudizio alla salute degli abitanti.

Questo brano è tratto dalla tesi:

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Informazioni tesi

  Autore: Serena Martinelli
  Tipo: Tesi di Dottorato
Dottorato in Materie Letterarie
Anno: 2007
Docente/Relatore: Rombai Leonardo
Istituito da: Università degli Studi di Firenze
Dipartimento: Facoltà di Scienze della Formazione
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 778

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