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La Jugoslavia dal 1941 al 2000: tra esodi, scontri etnici e movimenti di popolazione

Una nazione negata

Sin dai primi anni del Novecento la «questione macedone» si era sempre più imposta all’ordine del giorno della diplomazia europea. Spartito tra Grecia, Bulgaria e Serbia al termine della seconda guerra balcanica, il territorio macedone era sprofondato in una grave crisi economica dopo essere stato per quasi un decennio teatro di guerre e distruzioni.
Nonostante l’intensa attività terroristica e insurrezionale delle proprie organizzazioni nazionalistiche sotto la dominazione turca, il popolo macedone non era riuscito ad ottenere una propria autonomia e si ritrovava ora diviso in tre stati, sottoposto ad una rigida e spesso sanguinosa politica di snazionalizzazione e di assimilazione.
In particolare la Bulgaria si dimostrava inflessibile nel considerare tutti gli slavofoni della regione macedone come bulgari e pertanto rivendicava l’unione di tutti i territori macedoni come parte costituente della «Grande Bulgaria» creata con il Trattato di Santo Stefano (1878).
Una politica filobulgara era condotta dalla ricostituita VMRO (Vnatrešna Makedonska Revolucionerna Organizacija, Interna organizzazione rivoluzionaria macedone), guidata dai criminali senza scrupoli T. Alexandrov e V. Mihajlov che, attraverso una violenta, brutale, mafiosa campagna terroristica, colpiva nei Balcani e in tutta Europa i suoi oppositori politici ma soprattutto il popolo macedone desideroso di emanciparsi dalla tutela dei suoi vicini.
In stretto contatto e in collaborazione con gli ustaša croati di Paveli?, i terroristi della VMRO (uno di loro era V. ?ernozemski, l’omicida del re Alessandro Karadjeordjevi? a Marsiglia nel 1934) divennero uno strumento di pressione nelle mani della Germania hitleriana, dell’Italia fascista e dell’Ungheria revisionista nei loro rapporti con la Jugoslavia.
In una regione caratterizzata dal ritardo economico, da grandi flussi migratori di profughi e colonizzatori su un territorio con scarsa disponibilità di terre coltivabili, la persecuzione nazionale e lo sfruttamento del popolo macedone consentiva ai partiti e alle organizzazioni di sinistra di ottenere un grande seguito.
Da parte loro i partiti comunisti di Bulgaria e Jugoslavia non erano apertamente schierati in favore dell’applicazione del principio di autodeterminazione del popolo macedone, ma più limitatamente rilanciavano per esso un autonomia all’interno di una più vasta Federazione balcanica comprensiva di tutti i popoli slavi.
Sulla questione macedone le correnti nazionalistiche all’interno dei partiti comunisti si fecero sempre sentire. Negli anni Venti il segretario della Federazione comunista balcanica, G. Dimitrov si dichiarò in favore di una «Grande Macedonia» comprensiva delle parti jugoslave, greche e bulgare, da porre sotto l’egida della Bulgaria in modo da creare una testa di ponte per l’Unione Sovietica nel Mediterraneo.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La Jugoslavia dal 1941 al 2000: tra esodi, scontri etnici e movimenti di popolazione

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Informazioni tesi

  Autore: Pasquale Diroma
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2006-07
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Storia
  Relatore: Renato Risaliti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 153

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